Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25889 del 14/10/2019
Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 14/10/2019), n.25889
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 23226/2018 proposto da:
M.N., domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato
Valentina Valeri, rappresentato e difeso dall’Avvocato Giacomo
Cainarca giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in Roma, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che
lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE DI MILANO n. 2839/2018, depositato
il 26.6.2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
13.9.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.
Fatto
RILEVATO
che:
M.N. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione del decreto indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Milano aveva respinto il ricorso presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, e, in subordine, di protezione umanitaria;
la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Senegal) dovuti alle minacce ed agli atti di violenza nei suoi confronti da parte di pastori appartenenti ad etnia diversa, che gli contestavano l’utilizzo dei campi di famiglia, motivo per il quale era fuggito raggiungendo l’Italia;
il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1.1. con il primo motivo di ricorso si lamenta “violazione dell’art. 10 Cost., comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, censurandosi il mancato riconoscimento della protezione cd. umanitaria;
1.2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, censurandosi il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;
1.3. le censure, malgrado il diverso oggetto delle doglianze rispettivamente poste, sono suscettibili di decisione unitaria perchè entrambi affette dalla medesima ragione di infondatezza;
1.4. occorre premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratìone temporis, risultando impugnato il decreto reso il 26 giugno 2018), oggetto del vizio di cui alla citata norma è esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”;
1.5. il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., un “fatto”, cioè, costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017), e non, invece, gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal Giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014);
1.6. occorre poi rilevare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”;
1.7. il mancato assolvimento, da parte del ricorrente, dell’onere da ultimo descritto, rende, di per sè, inammissibili i profili di doglianza riflettenti assertivi vizi motivazionali del decreto impugnato;
1.8. è opportuno comunque evidenziare, anche con riferimento alle prospettate violazioni di legge, che il provvedimento in questa sede impugnato ha compiutamente esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, indicando le fonti del proprio convincimento, anche con riferimento a report ufficiali aggiornati, ed ha correttamente ricostruito i presupposti per l’invocata protezione sussidiaria (escludendone la sussistenza nel caso concreto), sicchè i motivi in esame sono, nel loro complesso, insuscettibili di accoglimento, posto che le argomentazioni utilizzate dal ricorrente si risolvono, sostanzialmente, in una critica ai complessivo governo del materiale istruttorio operato dal Giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale o di violazione di legge, una diversa valutazione di quelle stesse risultanze istruttorie: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017);
1.9. inammissibile infine, è anche la doglianza che critica il decreto impugnato per aver disatteso la richiesta di positivo accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria sul presupposto, in primo luogo, della mancata allegazione di fatti diversi da quelli posti in generale a fondamento delle altre forme di protezione;
1.10. a causa della riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari la situazione interna del paese di provenienza ovvero l’allegato percorso di integrazione sociale non sono, infatti, decisive fonti ricognitive del diritto, in ragione delle quali possa essere accordata la misura richiesta;
2. il ricorso va in conclusione rigettato;
3. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, il 13 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019