Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25885 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 14/05/2021, dep. 23/09/2021), n.25885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21206/2020 proposto da:

K.A., elettivamente domiciliato presso l’avv. Angelo Russo,

dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro p.t., elett.te domic.

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappres. e difende;

– intimato –

avverso la sentenza n. 681/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 14/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/05/2021 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

K.A., cittadino della Costa D’Avorio, ha proposto appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna che aveva rigettato il ricorso per il riconoscimento delle varie forme di protezione internazionale. Con sentenza del 14.2.2020, la Corte territoriale ha rigettato il gravame, confermando la motivazione del Tribunale, osservando che: era generico e non credibile il racconto del ricorrente circa i motivi per cui era partito dalla Costa D’Avorio (sulle aggressioni finalizzate alla persecuzione religiosa da parte dei suoi familiari, musulmani, perpetrate nei suoi confronti in quanto cristiano) e il transito dalla Libia; che dalle COI esaminate non si desumeva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato nel paese di provenienza dell’istante; non ricorrevano i presupposti del permesso umanitario, in mancanza di prove di indici personali di vulnerabilità e dell’inserimento sociale in Italia, non dimostrabili attraverso lo svolgimento di attività precaria lavorativa o l’apprendimento della lingua.

K.A. ricorre in cassazione con tre motivi.

Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, lamentando che la Corte d’appello abbia ritenuto contraddittorie le dichiarazioni del ricorrente sulla sua fuga dalla Libia, omettendo comunque di espletare l’onere di cooperazione istruttoria sulla situazione interna del paese di provenienza, in ordine alle violenze e ai conflitti inter-etnici.

Il secondo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla protezione sussidiaria, in considerazione delle fonti internazionali dalle quali si desumeva una situazione di violenza indiscriminata nel paese di provenienza del ricorrente.

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, per aver la Corte territoriale escluso la protezione umanitaria senza effettuare la comparazione tra la situazione attuale e quella in cui l’istante verserebbe in caso di rimpatrio, e non tenendo conto degli indici di vulnerabilità derivanti dalle gravi problematiche socio-sanitarie interne al paese di origine (instabilità politico-sociale; povertà diffusa; bassa scolarizzazione; emergenza sanitaria da covid 19).

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo tende al riesame dei fatti, circa il riconoscimento dello status di rifugiato in ordine alla doglianza afferente alle contraddizioni del racconto del ricorrente sul transito in Libia, nonché sulla vicenda della sua fuga dalla Costa D’Avorio; al riguardo, la Corte territoriale, che ha acquisito varie informazioni sulla situazione del paese d’origine dell’istante, ha soggiunto che, anche se ritenuto veritiero, il racconto reso dal ricorrente in ordine al timore espresso di subire aggressioni da parte dei suoi familiari non afferiva, come prospettato nel ricorso, ad una fattispecie di persecuzione secondo i parametri normativi.

Il secondo motivo è del pari inammissibile, diretto a prospettare una diversa interpretazione dei fatti relativi alla situazione di violenza indiscriminata nel paese di provenienza mediante il riferimento a fonti asseritamente diverse dalle COI poste a fondamento della sentenza impugnata. In particolare, va osservato che il ricorrente adduce un rapporto riferito ad un periodo lontano nel tempo, successivo alle elezioni presidenziali svoltesi nel 2010, reso pubblico nel giugno 2011, implicitamente riconoscendo, peraltro, l’evidente inattualità delle informazioni citate sulla situazione d’instabilità della Costa d’Avorio.

Il terzo motivo è infine inammissibile, avendo la Corte d’appello escluso, ai fini della protezione umanitaria, l’avvenuta integrazione del ricorrente nel territorio italiano, mentre è irrilevante il riferimento alle problematiche socio-sanitarie del paese di provenienza, nella misura in cui non sono allegati fatti specifici, espressivi di una situazione individuale di vulnerabilità in caso di rimpatrio.

Nulla per le spese, considerato il mancato deposito del controricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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