Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25882 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 14/10/2019), n.25882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18293/2018 proposto da:

B.R., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Elena Petracca, in forza di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1150/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 08/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/09/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, B.R., cittadino del Bangladesh, ha adito il Tribunale di Venezia, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il richiedente asilo aveva raccontato di aver lasciato il proprio Paese in seguito al coinvolgimento in una rissa fra due gruppi per motivi di proprietà, nel corso della quale due persone erano rimaste ferite; denunciato e ricercato dalla polizia, era fuggito all’estero, non avendo i soldi per difendersi in giudizio.

Con ordinanza del 1/6/2017 il Tribunale di Venezia ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto dal B. è stato rigettato dalla Corte di appello di Venezia, con revoca dell’ammissione al patrocinio statuale, con sentenza del 8/5/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso B.R., con atto notificato il 7/6/2018, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non ha depositato tempestivo controricorso e si è costituita con memoria del 20/5/2019 al solo fine dell’eventuale partecipazione alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione od errata applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e L. n. 241 del 1990, art. 3.

1.1. Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale ha violato la regola dell’onere probatorio e il preciso dovere del giudice di attivarsi al fine della cooperazione istruttoria in ordine all’accertamento delle condizioni del paese di origine del richiedente asilo.

In particolare la Corte di appello avrebbe omesso di verificare le attuali condizioni socio politiche del Bangladesh, le diffusissime lotte che concernono i terreni, l’efficienza dello Stato nel combattere tali fenomeni e aiutare le vittime, nonchè l’efficienza del sistema giudiziario e carcerario di quel Paese.

1.2. La doglianza è espressa in termini del tutto generici e svincolati dalla ratio decidendi del provvedimento impugnato, che ha fatto leva sul carattere meramente privato della contesa che aveva determinato la rissa, peraltro mai portata in sede di giustizia, e sull’ammissione dello stesso ricorrente di aver ferito due persone nella rissa, peraltro per asserita legittima difesa, non verificata in sede giudiziale.

Quindi il racconto del ricorrente non è stato ritenuto implausibile o inattendibile, ma è stato semplicemente escluso che una simile vicenda potesse configurare una persecuzione o determinare un pericolo di danno grave alla persona, suscettibili di giustificare il riconoscimento della protezione internazionale, principale o sussidiaria.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento al combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c) e della L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè difetto di motivazione.

2.1. Secondo il ricorrente, la sentenza in modo illogico e pretestuoso ha negato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria con riferimento alle tre ipotesi di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 14 predetto.

In particolare, la situazione descritta in sentenza non corrisponde alla situazione generale del paese come riportata dalle principali agenzie internazionali e come riconosciuto da plurima giurisprudenza di merito che la Corte doveva accertare.

2.2. La censura è inammissibile poichè il ricorrente esprime il proprio dissenso nel merito dalla valutazione formulata dalla Corte territoriale circa la situazione generale socio-politica del Paese di origine e in particolare circa l’esclusione di violenza generalizzata e indiscriminata e di un conflitto armato interno, debitamente corredata dalla citazione delle fonti consultate (Report UNHCR del 29/9/2017), a cui il ricorrente contrappone altre fonti, ritenute più attendibili, senza peraltro nè allegare, nè dimostrare la loro precedente sottoposizione al contraddittorio nel giudizio di merito e sollecitando comunque questa Corte di legittimità ad una inammissibile intrusione nel giudizio di fatto che compete ai Giudici del merito.

3. Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e della L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè difetto di motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento di una situazione di vulnerabilità ai fini del riconoscimento della tutela residuale di natura umanitaria.

A tal fine il ricorrente sottolinea da un lato il suo positivo inserimento socio lavorativo in Italia, dall’altro la sua personale vulnerabilità scaturente ai rischi connessi alle accuse pendenti nei suoi confronti.

Il ricorrente invoca quali elementi da prendere in esame e da porre in comparazione il suo inserimento lavorativo in Italia dal 2017, senza allegare e dimostrare quando e come tali circostanze sarebbero state introdotte nel processo, e il timore connesso all’accusa pendente nei suoi confronti, riproponendo le stesse circostanze fattuali già introdotte al fine del riconoscimento della protezioni maggiori, senza affrontare e confutare, specificamente come sarebbe stato necessario, la motivazione addotta dalla Corte di appello (p. 10, pag. 5) basata sul difetto di allegazione dell’esposizione a rischio.

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Non occorre provvedere sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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