Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25878 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. III, 16/11/2020, (ud. 21/09/2020, dep. 16/11/2020), n.25878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22917-2018 proposto da:

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE TOSCANA CENTRO, elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE MARESCIALLO PILSUDSKI n. 118, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO STANIZZI, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAOLO PISANI;

– ricorrente –

contro

QBE INSURANCE EUROPE LTD, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

PARIOLI 63, presso lo studio dell’avvocato FABIO GIUSEPPE LUCCHESI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CIRIACO ROSSI, domiciliazione

p.e.c. ciriacorossi-ordineavvocatibopec.it;

– ricorrente –

e contro

G.L., M.M., in proprio e quali genitori esercenti la

potestà sul figlio minore M.E., elettivamente domiciliati

in ROMA, PIAZZA ADRIANA n. 11, presso lo studio dell’avvocato

SALVATORE PIERMARTINI, rappresentati e difesi dall’avvocato RICCARDO

VASELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 996/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 08/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/09/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

M.M. e G.L., in proprio e quali genitori del minorenne M.E., convenivano in giudizio il dottore S.A. e l’Azienda USL (OMISSIS) Firenze, che a loro volta chiamavano in manleva, rispettivamente, la società Reale Mutua Assicurazioni e la QBE International Insurance Limited, esponendo che:

– spettava loro il risarcimento dei danni, anche non patrimoniali e anche in proprio, per le conseguenze pregiudizievoli subite da M.E. al momento della nascita;

– il parto era avvenuto presso il (OMISSIS);

– nel corso del travaglio, inizialmente regolare, era emersa una significativa bradicardia, sicchè era stato contattato telefonicamente il medico, dottor S., che non era intervenuto fisicamente;

– successivamente, non si era proceduto al trasferimento in altra struttura per il taglio cesareo, e il parto si completava naturalmente, con il bambino che veniva alla luce cianotico e con gravi problemi respiratori;

– sottoposto a manovre rianimatorie, il bambino era trasferito all’ospedale di (OMISSIS), dov’era formulata una diagnosi di encefalopatia in esito a sofferenza ipossico ischemico neonatale, caratterizzata da tetraparesi spastica distonica e ritardo piscomotorio;

-sussisteva quindi la responsabilità dei sanitari del (OMISSIS) e di S., nonchè quella dell’ASL di riferimento;

il Tribunale rigettava la domanda rilevando che:

– il (OMISSIS), scelto consapevolmente dai genitori, non aveva caratteristiche ospedaliere ma di casa di maternità, con assistenza esclusivamente ostetrica, senza intervento medico, sicchè si era in presenza di un parto domiciliare organizzato;

– la condotta delle ostetriche, sia pure colposa, non aveva avuto effettiva incidenza causale, poichè il presumibile lasso temporale di trasferimento ospedaliero, seppure deciso tempestivamente, non avrebbe permesso un utile intervento cesareo, atto a evitare le conseguenze pregiudizievoli che si erano verificate;

era interposto gravame dai soccombenti, ma senza notifica ad S.A. e al terzo chiamato in manleva da questo, Reale Mutua Assicurazioni s.p.a., nei cui confronti la sentenza di rigetto della domanda passava, pertanto, in cosa giudicata;

La Corte di appello riformava la decisione rilevando che:

-la causa certa dei danni subiti dal bambino era stata lo stato di ipossia asfissia verificatosi in occasione del travaglio;

– le manovre di rianimazione neonatale delle ostetriche erano state inidonee;

– seppure il tempo di trasferimento non avrebbe garantito un utile taglio cesareo e che, quindi, l’ipossia non avrebbe prodotto le conseguenze che vi furono, “tale incertezza non poteva non ridondare a danno del comportamento colposo che a maggior ragione doveva essere evitato”;

– “corrette tecniche di rianimazione effettuate nella immediatezza da medico competente, con attrezzature idonee poteva certamente se non eliminare attenuare le devastanti conseguenze” subite;

– in ogni caso la responsabilità delle ostetriche era stata accentuata dalla cattiva organizzazione della struttura, posto che avrebbe dovuto essere realizzata “con presidio medico e chirurgico nella assoluta prossimità”, come non era accaduto, e come non era stato detto ai genitori al momento della scelta, posto che risultava un consenso scritto all’esito d’informazioni non veritiere, che segnalavano l’opportuna presenza di un ospedale ad alcuni minuti dal centro nascita, per le urgenze eventuali;

la Corte di appello liquidava dunque i danni;

avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Unità Sanitaria Locale Toscana Centro, articolando sei motivi;

hanno resistito con controricorso M.M. e G.L., anche quali esercenti la potestà su M.E.;

ha proposto ulteriore ricorso per cassazione la QBE, articolando due motivi;

hanno resistito a tale controricorso l’AUSL e i genitori M.;

il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte;

le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RILEVATO

che:

con il primo motivo del ricorso dell’AUSL si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1176 c.c., artt. 40,41 c.p., poichè la Corte di appello avrebbe errato sovrapponendo il profilo della colpa con quello causale, affermando che l’incertezza sul secondo profilo non poteva non riflettersi a carico del soggetto che aveva posto in essere condotte colpose, posto che il rilievo di queste ultime avrebbe dovuto seguire quello eziologico il quale, ove escluso, avrebbe dovuto impedire l’affermazione di responsabilità;

con il secondo motivo di questo ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 40,41 c.p., art. 1223, c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato motivando la prospettata riduzione delle conseguenze dannose sulla vittima con l’affermazione del consulente tecnico d’ufficio per cui il comportamento alternativo corretto avrebbe offerto maggiori “chances” di sopravvivenza integra, laddove, invece, avrebbe dovuto accertare la maggiore probabilità della stessa sopravvivenza, e non un mero aumento della sua possibilità: proprio per ciò il giudice di prime cure aveva accertato che le concrete possibilità di un utile trasferimento in ospedale, con presidi idonei, erano sostanzialmente nulle, posto che, per averne, avrebbe ragionevolmente dovuto procedersi a un taglio cesareo pressochè immediato;

con il terzo motivo di questo ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 40 c.p., poichè la Corte di appello avrebbe errato addebitando alle ostetriche di non aver posto in essere corrette manovre rianimatorie proprie di un medico, invece assente nella struttura scelta;

con il quarto motivo di questo ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 32 Cost., poichè la Corte di appello avrebbe errato obliterando la scelta consapevole del centro nascita effettuata dai genitori M., posto che non era stata allegata alcuna contestazione sulla sussistenza delle condizioni per l’ammissione della partoriente in una struttura non ospedaliera per un parto non medicalizzato;

con il quinto motivo di questo ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato pronunciando sulla pretesa violazione dell’obbligo d’informazione ai genitori in ordine all’organizzazione del centro nascita e alla conseguente prevenzione delle eventuali urgenze, senza che nell’atto introduttivo vi fosse alcuna domanda in tal senso, risultando introdotta inammissibilmente solo nell’atto di appello; al contempo, la Corte territoriale avrebbe pronunciato “ultra petita”, mutando la domanda di risarcimento del danno per violazione degli obblighi alla corretta prestazione sanitaria in una domanda di danni per violazione del consenso informato, mai formulata, nè in primo nè in secondo grado;

con il sesto motivo di questo ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 40,41 c.p., artt. 1218,2043 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di accertare, secondo il corretto criterio civilistico del “più probabile che non”, l’imputabilità eziologica del pregiudizio oggetto di risarcimento, che sarebbe stata da escludere posto che solo con un intervento in un lasso temporale inipotizzabile, tra i 3 e i 5 minuti, avrebbe potuto evitarsi l’evento pregiudizievole;

con il primo motivo del ricorso di QBE si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato pronunciando la condanna al pagamento del risarcimento, come determinato, in solido tra l’AUSL e la deducente compagnia di assicurazione, in assenza di domanda anche in estensione da parte degli attori, e in mancanza di una norma di legge che permettesse l’azione diretta in parola, sicchè la sentenza avrebbe dovuto cassarsi disponendo, altresì, la restituzione delle somme eventualmente versate nelle more;

con il secondo motivo del ricorso della QBE si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,346 c.p.c., art. 1273 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato pronunciando la suddetta condanna solidale senza che vi fosse neppure stata adesione, da parte degli originari attori, alla richiesta formulata dalla deducente, in funzione liberatoria dell’assicurata AUSL, solo in primo grado e senza riproposizione in seconde cure;

Rilevato che:

i motivi del primo ricorso sono da esaminare congiuntamente per connessione, e sono fondati per quanto di ragione;

la Corte di appello ha sovrapposto vari profili che dovevano, al contrario, essere tenuti distinti:

a) il profilo della causalità materiale con quello della colpa;

b) il profilo della causalità materiale con quello della causalità giuridica;

risulta invece estraneo alle statuizioni della Corte territoriale l’affermato mutamento della domanda di risarcimento del danno (oltre che patrimoniale) alla salute da inadempimento contrattuale, in quella specificatamente circoscritta alla violazione del consenso informato in sè considerato;

prendendo le mosse da questo ultimo profilo va subito evidenziato che il Collegio di merito ha effettuato l’analisi del consenso informato prestato dai genitori M. non per pronunciarsi su domanda risarcitoria circoscritta alla sua ritenuta e isolata violazione, bensì, più complessivamente, per vagliare se vi fosse stata una causa di esclusione dell’imputazione dell’illecito contrattuale posto alla base della domanda attorea di risarcimento del danno alla salute (e correlativamente morale), come tale scrutinata, in ragione dell’assenso al parto in un centro non ospedaliero quale quello descritto nel momento perfezionativo del contratto di spedalità;

correttamente gli originari attori, nell’odierno controricorso (pag. 26), ribadiscono che la domanda da essi proposta era quella, sintetizzata, da lesione del diritto alla salute conseguente a inadempimento contrattuale, e su tale pretesa ha pronunciato il giudice di seconde cure, che proprio perciò, liquidando il danno c.d. biologico e morale alla persona, conclude (pag. 12, quinto capoverso, della sentenza impugnata) affermando la responsabilità pattizia per inadempimento negoziale dell’AUSL “sia in relazione all’operato dei suoi dipendenti sia (in relazione) all’organizzazione di un centro nascita intrinsecamente pericoloso, le cui caratteristiche non erano (state) portate ad adeguata conoscenza dei pazienti”, sicchè non poteva, al riguardo, avere rilievo ostativo il consenso prestato in base a informazioni rivelatesi inveritiere (cfr. sempre alla pag. 12, terzo capoverso) in relazione all’accertata impossibilità di un trasferimento in presidio ospedaliero in tempo utile a prevenire o comunque risolvere sopravvenute e urgenti necessità;

l’interpretazione della domanda – quale quella che viene implicata con la censura – è accertamento di fatto riservato al giudice di merito che può essere sindacato in questa sede solo sotto il profilo della motivazione, qui non sollevato, nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non ponendo in discussione il significato delle norme coinvolte (Cass., 03/12/2019, n. 31646);

anche nell’ottica di un eccesso di pronuncia quale violazione procedimentale, la stessa avrebbe dovuto escludersi: infatti, che quella fosse la domanda proposta emerge univocamente dagli stessi stralci della citazione riportati nel ricorso dell’AUSL (a pag. 27, primo capoverso), dai quali risulta, come del resto inteso dal medesimo ente ricorrente (cfr. stessa pagina), che l’addebito cadeva, nella prospettazione di parte istante, sulla mancata tempestività dell’idonea prestazione professionale in relazione a quanto l’azienda (allora AUSL di Firenze ora AUSL Toscana Centro: cfr. nota 2 pag. 5 del ricorso dell’ente), per il tramite del centro nascita (OMISSIS), si era impegnata a garantire, assicurando sul punto gli informati;

vanno dunque escluse violazioni degli artt. 345 e 112 c.p.c.;

ora, questa Corte ha chiarito che in materia di responsabilità sanitaria, qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, un danno c.d. biologico, ai fini dell’individuazione della causa “immediata” e “diretta” (ex art. 1223 c.c.) di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute determinata dalla successiva errata esecuzione della prestazione professionale, mentre, se egli avesse negato il consenso, il danno c.d. biologico scaturente dall’inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile “ab origine” alla violazione dell’obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all’errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza (Cass., 11/11/2019, n. 28985);

la Corte di appello, implicitamente quanto univocamente, ha ritenuto, in fatto, proprio in relazione alle riportate prospettazioni spiegate dagli attori nella citazione introduttiva, che quel consenso non sarebbe stato prestato ove fosse stato idoneamente chiarito che, per la localizzazione del (OMISSIS), la tempistica effettivamente assicurabile, in relazione a urgenze che avessero imposto il presidio medico, non era di “alcuni minuti”, quali quelli specificati nell’informativa resa in ordine alla distanza tra il centro e l’ospedale, ma, complessivamente, fino a circa un’ora e mezzo, in misura non idonea per far fronte alle suddette sopravvenienze;

il Collegio di merito fonda dunque, in questa chiave, la responsabilità dell’AUSL sulle carenze di organizzazione del centro, dal punto di vista di una sua localizzazione non “finitima” all’ospedale;

in questo senso non coglie nel senso la censura di parte ricorrente in ordine alla pretesa violazione degli artt. 13 e 32 Cost., per l’assunta obliterazione del diritto di autodeterminazione dei genitori che scelgano un’assistenza al parto non “medicalizzata”;

ciò però non toglie, d’altro canto, che la Corte di appello, collocando il rilievo della violazione del consenso informativo nella sequenza causale, avrebbe dovuto procedere, come non ha fatto, a un giudizio controfattuale vagliando se, anche con un presidio ospedaliero finitimo, ossia anche escludendo questa condotta causalmente ritenuta, in fatto, determinante, un trasferimento senza alcun ritardo colposo, come quello decisionale imputato alle ostetriche (a pag. 8 della sentenza), avrebbe potuto, o meno, evitare l’evento dannoso;

in quest’ottica colgono nel segno le critiche, come quelle contenute nella seconda censura del ricorso dell’AUSL, che, al riguardo, richiamano il procedimento motivazionale effettuato dal Tribunale (pag. 18 del ricorso in parola): si tratta di critiche che, a ben vedere, involgono, in uno a quelle del primo motivo, anche la “ratio decidendi” inerente all’informazione sull’organizzazione del centro nascita, ragione individuata come autonoma dal pubblico ministero ma, per ragioni evincibili dai suoi stessi contenuti, strutturalmente connessa a quella afferente all’operato proprio dell’azienda sanitaria per il tramite dei suoi dipendenti;

in luogo del ricostruito accertamento la Corte di appello si è limitata ad affermare che l’incertezza sulla descritta tempistica, non poteva riflettersi se non a carico dei soggetti in colpa (pag. (OMISSIS), primo capoverso, della sentenza) come le ostetriche oltre che l’azienda dal punto di vista dell’organizzazione del centro, per poi affermare apoditticamente che l’evento di danno non si sarebbe verificato o almeno le conseguenze sarebbero state più tenui;

in questo modo per un verso si sovrappone il profilo della colpa con quello della causa materiale, e per altro verso il profilo della causalità materiale con quello della causalità giuridica: la causalità materiale si risolve nel giudizio controfattuale sopra indicato, da condurre secondo il parametro del “più probabile che non”, la causalità giuridica selezionerà le conseguenze riconducibili, con un canone di “regolarità causale” (“id quod plerumque accidit”) anch’esso da apprezzare fattualmente, a quell’evento di danno, e come tali risarcibili (Cass., 11/11/2019, n. 28985, cit.);

con la prima sovrapposizione la Corte di appello non solo ha obliterato il giudizio controfattuale in discussione, ma ha altresì fatto ricadere l’incertezza eziologica non meglio scandagliata sui soggetti ritenuti in colpa, ascrivendo alla responsabilità civile una funzione prettamente sanzionatoria alla stessa estranea, e violando il principio per cui, diversamente da quanto argomentato dai controricorrenti, in tema d’inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle “leges artis” nella cura dell’interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato): sicchè, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra la patologia e la condotta, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione (Cass., 11/11/2019, n. 28991, in cui si richiama la giurisprudenza evolutasi, precisandone la portata, dopo Cass., Sez. U., 11/01/2008, n. 577: cfr. già, ad esempio, Cass., 30/(OMISSIS)/2018, n. 27449);

con la conseguenza ulteriore che qualora resti ignota la causa dell’evento di danno, le conseguenze sfavorevoli saranno a carico del creditore della prestazione, qualora invece rimanga ignota la causa dell’impossibilità sopravvenuta ovvero l’imprevedibilità e inevitabilità di tale causa, le suddette conseguenze ricadranno a sfavore del debitore (Cass., n. 28991 del 2019, cit.);

con la seconda sovrapposizione la Corte di appello ha scambiato lo scrutinio dell’individuazione delle conseguenze risarcibili con quello dell’imputazione oggettiva;

in questa cornice, anche l’affermazione con cui la Corte di appello ha imputato alle ostetriche la mancanza di corrette manovre rianimatorie che utilmente avrebbero potuto essere poste in essere da un medico competente (pag. 10 della sentenza), conferma le obliterazioni e sovrapposizioni sopra riassunte;

l’angolo prospettico ricostruito rende, infine, al riguardo, più evidente la ragione per cui la Corte territoriale, errando, innerva la propria motivazione facendo richiamo alla consulenza tecnica officiosa, svolta in prime cure, nel punto in cui menziona le “maggiori chances” che il neonato avrebbe avuto con un trasferimento deciso anticipatamente: la domanda pacificamente svolta e scrutinata non è quella per la rifusione del danno da perdita di “chances”, bensì quella di risarcimento del danno alla salute e dei danni allo stesso correlati;

in tema di lesione del diritto alla salute da responsabilità sanitaria, la perdita di “chance” a carattere non patrimoniale consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale conseguente secondo gli ordinari criteri di derivazione eziologica – alla condotta colposa del sanitario, e integra evento di danno risarcibile (da liquidare in via equitativa) soltanto ove la perduta possibilità sia apprezzabile, seria e consistente (Cass., 11/11/2019, n. 28993);

si tratta innanzi tutto di specifica domanda, diversa da quella di generale risarcimento del danno alla salute (cfr. Cass., 08/03/2016, n. 4540, pag. 13), e in secondo luogo, infatti, di domanda diretta non a porre in relazione la condotta contestata con un pregiudizio subito alla propria integrità personale, bensì a porre in relazione quella condotta, omessa, con la determinazione, venuta così meno, di una situazione che avrebbe invece offerto, sempre secondo il criterio del “più probabile che non”, una significativa possibilità invece perduta, in termini, in questo caso, di situazione psicofisica e correlata qualità della vita;

mai, cioè, la perdita di “chances” – che dev’essere perciò inequivocamente domandata – può significare una supplenza dell’incertezza causale, traducendosi, diversamente, in un’incertezza eventistica finale, e però contenente apprezzabili probabilità utili, pur sempre conseguente al previo accertamento del nesso eziologico con la corretta condotta omessa;

di qui la fondatezza, per quanto di ragione, delle critiche svolte in particolare nei motivi dal primo al terzo, e sesto;

il ricorso della QBE è assorbito;

peraltro, può per mera completezza osservarsi che la domanda svolta in prime cure dalla QBE, chiedendo che l’eventuale condanna al pagamento del risarcimento fosse direttamente pronunciata nei propri confronti, necessaria, al fine, non essendovi norme legislative che lo consentano, avrebbe dovuto dirsi integrare la pretesa di veste processuale correlativa a una fattispecie sostanziale di delegazione (art. 1268 c.c.) più che accollo;

la QBE, infatti, implicitamente quanto univocamente in accordo con il debitore originario AUSL, domandava così di constatare l’assegnazione, da parte dell’azienda sanitaria, ai creditori eventuali, M., di sè stessa quale nuovo debitore, qualora fosse stata pronunciata condanna all’adempimento dell’obbligazione risarcitoria;

non essendovi stata delegazione sostitutiva, con liberatoria del debitore originario da parte dei creditori (eventuali), la condanna, così richiesta con sotteso accertamento della delegazione, avrebbe dovuto essere in solido, con “beneficium ordinis” una volta accettata, da parte dei creditori, l’obbligazione del terzo, così come avvenuto in secondo grado, posto che in prime cure la questione fu assorbita dal rigetto;

del resto, sull’interpretazione della domanda e sulla sua dichiarata ammissibilità non vi è stata in questa sede censura;

le censure sono concentrate nel preteso sopravvenuto difetto di domanda in seconde cure, vuoi da parte della QBE, vuoi da parte degli originari attori;

in secondo grado tale domanda, non fu effettivamente riproposta ex art. 346 c.p.c., poichè, seppure a questo fine non sono necessarie formule sacramentali, la riproposizione dev’essere espressa, non essendo quindi sufficienti formule generiche come il richiamo, sia pure a mente dell’esplicitata norma di rito civile, di “tutte le difese ed eccezioni svolte nel corso del primo grado di giudizio”: in tal senso avrebbe dovuto dirsi confermata l’affermazione della QBE per cui non vi fu espressa riproposizione;

ma in senso ostativo al prospettato rilievo di mancata riproposizione sarebbe stata, per converso, la constatazione per cui la mancata riproposizione in parola fu operata dal medesimo difensore, allora patrocinante sia l’AUSL che la QBE;

è evidente – al di là dell’esplicitazione solo in questa sede (da parte dell’ente assicurativo) dei motivi del contrasto insorto tra QBE e AUSL (in relazione a una mancata transazione nelle more del giudizio di appello) – che l’omessa riproposizione, cui corrisponde una rinuncia presunta, poneva l’unico difensore in situazione di conflitto d’interessi, sicchè la stessa, in chiave processuale, avrebbe dovuto esser ritenuta, anche d’ufficio, inefficace (cfr. Cass., 20/01/2020, n. 1143: nel caso in cui tra due o più parti sussista un conflitto di interessi, è inammissibile la costituzione in giudizio a mezzo dello stesso procuratore e la violazione di tale limite, investendo i valori costituzionali del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, è rilevabile d’ufficio: nella specie questa Corte, in relazione ad un’opposizione a precetto, ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto da un avvocato, in proprio, e da un suo cliente, assistito dall’avvocato medesimo, ravvisando conflitto di interessi nel fatto che oggetto della controversia fosse un pagamento asseritamente eseguito in favore del cliente su un conto riferibile al suo difensore; nel caso qui in delibazione, la costituzione non potrebbe ritenersi di per sè inammissibile, quanto alla posizione avversariale rispetto agli originari attori, ma inoperante quanto al profilo del conflitto d’interessi);

questo avrebbe comunque superato i profili della sostenuta infrangibilità dell’accordo di delegazione (ovvero dell’opponibilità o meno al delegatario delle eccezioni in tesi incidenti sul rapporto tra delegato e delegante) e sulla, parimenti sostenuta, acquisita estensione della domanda operata dagli attori;

la prima sarebbe stata una questione nuova e come tale inammissibile, la seconda infondata, poichè la fattispecie, come visto, non è quella della costituzione del terzo chiamato in causa indicandolo quale unico responsabile sostanziale (cfr., Cass., 15/01/2020, n. 516);

spese al giudice del rinvio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso dell’AUSL per quanto di ragione, assorbito il ricorso della QBE, cassa la sentenza impugnata in relazione a quanto accolto, e rinvia alla Corte di appello di Firenze perchè, in altra composizione, provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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