Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25877 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 23/09/2021), n.25877

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16736/2020 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in Roma Via S. Cansacchi 11

presso lo studio dell’avvocato Caporilli Valentina, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Scalco Erica;

– ricorrente –

contro

Prefettura Roma;

– intimato –

avverso il provvedimento del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositata il

04/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Giudice di Pace di Roma, con decreto depositato il 4.10.2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da L.M., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento di espulsione emesso dal Prefetto di Roma in data 10.4.2019.

Il giudice di merito ha evidenziato che tale ricorso era stato depositato in data 7.8.2019, e quindi proposto oltre il termine previsto dalla legge, né la richiesta di rimessione in termini formulata dal ricorrente era stata documentata.

Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione L.M. affidandolo a due motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3 e art. 18, comma 1 e 5 art. 702 ter c.p.c., comma 5 nonché l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 7.

Il ricorrente espone che il decreto di espulsione gli è stato notificato in una lingua a lui non comprensibile, essendo stato redatto in italiano e tradotto in lingua araba. Di conseguenza, non avendo egli compreso il contenuto del provvedimento e la decorrenza del termine breve per impugnare (essendone venuto effettivamente e pienamente a conoscenza solo quando si è recato in data 24 luglio 2019 da quello che è poi diventato il proprio legale, accompagnato da un suo connazionale che gli ha fatto da interprete), aveva formulato, preliminarmente, nel ricorso istanza di rimessione in termini.

Espone, dunque, che il Giudice di Pace, nel dichiarare inammissibile il ricorso con decreto emesso fuori udienza, è incorso nelle violazioni di legge sopra indicate. Non è stata, infatti, fissata udienza, non è stato notificato il ricorso all’Autorità che ha emesso il provvedimento e si è provveduto in difetto di qualsivoglia contraddittorio.

2. Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 5 nonché la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 7, in relazione al rigetto della richiesta di remissione in termini per la proposizione del ricorso, giustificata dall’omessa traduzione del provvedimento di espulsione nella lingua urdu, la sola conosciuta dal ricorrente.

3. Il primo motivo è fondato.

Va osservato che, a norma del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 1 “le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del decreto di espulsione pronunciato dal prefetto ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo”.

Inoltre, a norma del comma 5 della predetta norma, “il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato a cura della cancelleria all’autorità che ha emesso il provvedimento almeno cinque giorni prima della medesima udienza”.

L’applicazione del rito sommario di cognizione (con esclusione dell’art. 702 ter c.p.c., commi 2 e 3 in virtù di quanto disposto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3) comporta, a norma dell’art. 702 ter c.p.c., comma 5, che “il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto del ricorso”.

Dall’esame delle norme che regolano il procedimento dell’opposizione all’espulsione emerge quindi che il Giudice di Pace deve seguire la disciplina del rito sommario di cognizione, che gli impone di provvedere in contraddittorio delle parti, previa notifica del ricorso, a cura della Cancelleria, all’Autorità che ha emesso il decreto. Non vi è dubbio quindi che, nel caso di specie, il Giudice di Pace di Roma, nel provvedere fuori udienza, senza convocare e sentire le parti, sia incorso nelle violazioni denunciate dal ricorrente e, in particolare in una palese violazione del principio del contraddittorio.

4. Il secondo motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento del primo.

L’ordinanza impugnata deve quindi essere cassata limitatamente al motivo accolto con rinvio all’Ufficio del Giudice di Pace di Roma, in persona di altro magistrato, per nuovo esame.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa l’ordinanza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia all’Ufficio del Giudice di Pace di Roma, in persona di altro magistrato, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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