Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25876 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 23/09/2021), n.25876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16677/2020 proposto da:

T.I., difeso dall’avv. Giorgio Nicastro, domiciliato presso la

cancelleria della I sezione civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Prefettura Siracusa;

– intimato –

Prefettura Siracusa, elettivamente domiciliata in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di SIRACUSA, depositata il

19/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2021 dal Cons. Dot. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Giudice di Pace di Siracusa, con ordinanza depositata il 19 maggio 2020, ha rigettato l’opposizione proposta da T.I., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento di espulsione emesso dal Prefetto di Siracusa in data 1.10.2019.

Il giudice di Pace ha ritenuto che il provvedimento di espulsione fosse stato regolarmente emesso, anche se non tradotto nella lingua del paese di origine del cittadino straniero, ma nella lingua veicolare dell’inglese, avendo quest’ultimo dichiarato che tale lingua era da lui conosciuta. Inoltre, essendo stato allo T. negato lo status di rifugiato sia dalla Commissione Territoriale che dal Tribunale di Catania, è stato ritenuto dal Giudice di Pace non esservi un rischio reale che il cittadino straniero potesse correre un rischio reale di essere sottoposto a persecuzioni nel paese di origine.

Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione T.I. affidandolo a tre motivi. L’amministrazione intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo ed il secondo motivo stata dedotta rispettivamente la violazione e falsa applicazione della L. n. 50 del 1998, art. 11, comma 7 nonché l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per non essere stato il decreto di espulsione tradotto in una lingua conosciuta dal ricorrente.

2. I due motivi, da esaminare unitariamente, attenendo entrambi alla traduzione del decreto di espulsione, sono infondati.

E’ orientamento consolidato di questa Corte (vedi recentemente Cass. n. 2953 del 2019) che l’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato, o in quella c.d. veicolare, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana o altra lingua nella quale il decreto è stato tradotto, circostanza accertabile anche in via presuntiva e costituente accertamento di fatto censurabile nei ristretti limiti dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Questa Corte (Cass. n. 24015 del 30/10/2020) ha, altresì, osservato che il giudice di merito, nell’accertare in concreto se il cittadino straniero conosca o meno la lingua nella quale il provvedimento espulsivo sia stato tradotto, deve, a tal fine, valutare gli elementi probatori acquisiti al processo, tra cui assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall’interessato nel cd. foglio-notizie, ove egli abbia dichiarato di conoscere una determinata lingua nella quale il provvedimento sia stato tradotto.

Nel caso di specie, emerge dall’esame dell’ordinanza impugnata che il decreto di espulsione è stato notificato in una lingua conosciuta dall’odierno ricorrente, l’inglese, essendo stato proprio costui a dichiararlo e sottoscriverlo nel foglio-notizie depositato in atti.

Tale rilievo del Giudice di Pace non è stato minimamente censurato dal ricorrente.

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 8, art. 14, comma 4 e 5, art. 19, art. 135 c.p.c. in relazione agli artt. 5 e 7 par 2 Dir 115/2006/CE.

Lamenta il ricorrente che il giudice di pace non ha esercitato i suoi poteri istruttori omettendo di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 19 legge cit., sul concreto pericolo dello stesso di essere sottoposto a persecuzione o trattamenti inumani o degradanti in caso di rimpatrio.

4.Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), della Carta di Nizza e della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, sul rilievo che il ricorrente era esposto al rischio di trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio.

5. Il terzo ed il quarto, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta correlazione delle questioni trattate, sono inammissibili.

Va osservato che il Giudice di Pace di Siracusa ha fatto buon uso del principio di diritto enunciato da questa Corte (Cass. n. 9762 del 08/04/2019) secondo cui l’istituto del divieto di espulsione o di respingimento previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 1, postula che il giudice di pace, in sede di opposizione alla misura espulsiva, esamini e si pronunci sul concreto pericolo, prospettato dall’opponente, di subire persecuzione o trattamenti inumani e/o degradanti in ipotesi di rimpatrio nel paese di origine.

In proposito, è stato evidenziato dal Giudice di Pace di Siracusa che, come risulta dallo stesso decreto di espulsione, al ricorrente è stato negato il riconoscimento dello status di rifugiato sia dalla Commissione Territoriale che dal Tribunale di Catania (decisione che non risulta impugnata), né risulta nel (OMISSIS) una situazione di conflitto armato interno o internazionale dalla quale possa derivare una minaccia per la sua vita.

Il ricorrente non si è minimamente confrontato con tali precisi rilievi del Giudice di Pace, neppure allegando eventualmente che la situazione socio-politica del (OMISSIS) fosse mutata e fosse evoluta in termini negativi nel periodo successivo al rigetto delle domande di protezione da parte del Tribunale di Catania.

Ne consegue che le censure del ricorrente si appalesano inammissibili in quanto finalizzate apoditticamente a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dal giudice di merito.

Le spese di lite seguono la soccombenza si liquidano come in dispositivo. Non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quaterm essendo i ricorso esente dal contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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