Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25875 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep.15/12/2016),  n. 25875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 289 – 2016 R.G. proposto da:

S.B. – c.f. (OMISSIS) – I.G. – c.f.

(OMISSIS) – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in

calce al ricorso dall’avvocato Claudio Defilippi ed elettivamente

domiciliati in Roma, presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

Avverso il Decreto dei 22.4/6.5.2015 della corte d’appello di Torino,

assunto nel procedimento iscritto al n. 70/2015 V.G..

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5

ottobre 2016 dal consigliere Dott. Abete Luigi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, alla corte d’appello di Torino depositati in data 25.11.2014 S.B. e I.G. si dolevano per l’eccessiva durata del giudizio promosso dinanzi al tribunale di Genova con atto di citazione notificato il 20.12.1999 e definito da questa Corte di legittimità con sentenza depositata il 26.5.2014.

Chiedevano che si ingiungesse al Ministero della Giustizia di corrisponder loro un equo indennizzo, da determinarsi secondo i parametri di legge, a ristoro dei danni tutti subiti, oltre interessi e spese.

Riuniti i ricorsi, con decreto del 31.12.2014 la corte d’appello di Torino, in persona del giudice designato, li dichiarava inammissibili in dipendenza della mancata ottemperanza all’ordine di integrazione documentale all’uopo disposto.

Avverso tale decreto S.B. e I.G. proponevano opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter.

Non si costituiva il Ministero.

Con decreto dei 22.4/6.5.2015 la corte d’appello di Torino accoglieva l’opposizione e, per l’effetto, condannava il Ministero opposto a pagare a ciascun ricorrente la somma di Euro 3.600,00 con gli interessi; compensava per 1/2 le spese di lite e condannava l’opposto a pagare la residua metà.

Esplicitava – la corte – che il giudizio presupposto aveva avuto una durata complessiva pari a tredici anni e quattro mesi; che, al contempo, la durata ragionevole era da determinare in complessivi sette anni; che, segnatamente, in considerazione della particolare intensità e concentrazione della attività istruttoria la durata ragionevole del primo grado era da computare in quattro anni anzichè in tre; che, conseguentemente, il periodo di irragionevole durata si specificava in sei anni e quattro mesi.

Esplicitava altresì che alla stregua dei parametri di cui alla L. n. 89 del 2001 l’equo indennizzo poteva computarsi in Euro 600.00 per ogni anno di irragionevole ritardo, esclusa la frazione di quattro mesi.

Esplicitava infine che il diritto dei ricorrenti era stata acclarato unicamente in fase di opposizione, sicchè ben si giustificava la compensazione fino a concorrenza di 1/2 delle spese di lite; che, in pari tempo, la residua metà, in considerazione “del valore complessivo del decisimi (…) e della moderata complessità della controversia, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, dei complessivi (…) risultati dell’intero procedimento” (così decreto impugnato, pag. 13), poteva liquidarsi in Euro 450.00, oltre accessori ed esborsi.

Avverso tale decreto hanno proposto ricorso sulla scorta di due motivi S.B. e I.G.; hanno chiesto che questa Corte ne disponga la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese del giudizio, da attribuirsi al difensore antistatario.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciano la violazione della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6, par. 1, della C.E.D.U., come interpretati dalla giurisprudenza della Corte europea; la violazione dell’art. 117 Cost.; l’erroneo calcolo dell’indennizzo.

Deducono che la quantificazione dell’indennizzo, quale operata dalla corte di merito, non si conforma nè ai parametri individuati dalla giurisprudenza di legittimità, che li ha indicati in Euro 750,00 per i primi tre anni di irragionevole durata ed in Euro 1.000,00 per gli anni successivi, nè ai parametri individuati dalla giurisprudenza della Corte E.D.U..

Con il secondo motivo i ricorrenti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, denunciano la violazione dell’art. 91 c.p.c.. l’errata motivazione in tema di regolamentazione delle spese.

Deducono che la corte distrettuale ha determinato -in maniera globale l’entità delle spese sostenute, senza specificare (…) la ripartizione delle somme riconosciute in relazione all’attività difensionale svolta nelle diverse fasi del procedimento, nè l’indicazione delle modalità di calcolo seguite” (così ricorso, pag. 8).

Il primo motivo è destituito di fondamento.

Si rappresenta previamente che questa Corte spiega che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può, tuttavia, apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli (cfr. Cass. 28.5.2012. n. 8471; Cass. 30.7.2010, n. 17922).

In questi termini la liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella ordinariamente applicata dalla Corte E.D.U. non costituisce, a rigore, violazione di legge ed, al più, può integrare vizio della motivazione (cfr. Cass. 7.11.2011, n. 23029).

Conseguentemente la denuncia veicolata dal motivo de quo, riveste valenza esclusivamente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ben vero nella formulazione applicabile ratione temporis, ossia in rapporto alla formulazione scaturita dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

In tal guisa, nel segno dell’insegnamento a sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014, la denuncia è vanamente formulata, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè il dictum non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Su tale scorta si rappresenta, per un verso, che la corte distrettuale ha debitamente dato atto dell’esito del giudizio presupposto”, -conclusosi dopo tre gradi, in senso sfavorevole ai ricorrenti” (così sentenza d’appello. pag. 12); per altro verso, che la materia del contendere – la -posta in gioco” – nell’ambito del giudizio “presupposto” non era in ogni caso di peculiare rilievo.

La motivazione addotta a supporto dell’operata quantificazione dell’indennizzo annuo risulta dunque più che congrua. E ciò tanto più giacchè la corte territoriale ha da decidere con decreto, sicchè ben può la motivazione assumere caratteri di sommarietà a condizione che si riescano ad individuare – siccome nel caso in esame – almeno per grandi linee ed anche dall’insieme delle indicazioni espresse nel provvedimento, i fondamentali elementi di giudizio sui quali la decisione è basata (cfr. in tal senso Cass. 18.2.2013, n. 3934).

Destituito di fondamento è pur il secondo motivo.

E’ sufficiente il riferimento all’insegnamento di questa Corte.

Più esattamente questo Giudice del diritto spiega, sì, che la liquidazione delle spese processuali non può essere compiuta in modo globale per spese, competenze di procuratore e avvocato, dovendo invece essere eseguita in modo tale da mettere la parte interessata in grado di controllare se il giudice abbia rispettato i limiti delle relative tabelle e così darle la possibilità di denunciare le specifiche violazioni della legge o delle tariffe (cfr. Cass. 8.3.2007, n. 5318).

Nondimeno, questo Giudice soggiunge che non è ammissibile, per carenza di interesse, censurare una liquidazione siffatta, ove non sia stato specificamente comprovato che la liquidazione globale arreca un pregiudizio alla parte vittoriosa, in quanto attributiva di una somma inferiore ai minimi inderogabili, essendo quindi irrilevante – siccome nel caso di specie – la mera allegazione della violazione dei criteri per la liquidazione delle spese (cfr. Cass. 8.3.2007, n. 5318: cfr. altresì Cass. 16.2.1998, n. 1619, secondo cui, in materia di spese giudiziali non è ammissibile, in quanto carente d’interesse ad agire, alcuna doglianza ove non sia stato specificamente comprovato che la liquidazione globale arreca un pregiudizio alla parte vittoriosa in quanto attributiva di una somma inferiore ai minimi inderogabili: è quindi irrilevante la mera allegazione della violazione dei criteri per la liquidazione delle spese. come quelli relativi alle cause oggettivamente connesse, ove non venga indicato il concreto pregiudizio che essa ha comportato).

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Nonostante il rigetto del ricorso, pertanto, nessuna statuizione in ordine alle spese va assunta.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (cfr. Cass. sez. un. 28.5.201-1. n. 11915).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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