Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25874 del 15/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep.15/12/2016),  n. 25874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22764 – 2015 R.G. proposto da:

S.R. – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso

congiuntamente e disgiuntamente in virtù di procura speciale a

margine del ricorso dall’avvocato Italia Ferraro e dall’avvocato

Silvio Ferrara ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Sardegna, n. 29, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara.

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente

domicilia.

– controricorrente –

Avverso il decreto dei 24.11.2014/24.2.2015 della corte d’appello di

Roma, assunto nel procedimento iscritto al n. 50.815/2011 V.G..

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5

ottobre 2016 dal Consigliere Dott. ABETE Luigi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, alla corte d’appello di Roma depositato in data 1.2.2011 S.R. si doleva per l’eccessiva durata, pari a quattordici anni. otto mesi e ventiquattro giorni, del fallimento della “Costruttori” s.p.a., fallimento dichiarato dal Tribunale di Napoli con sentenza del 3.4.1996 ed al cui passivo era stato ammesso con decreto del 9.5.1997 per il credito alla corresponsione di spettanze lavorative insolute e del t.f.r..

Chiedeva condannarsi il Ministero della Giustizia a corrispondergli a ristoro dei danni tutti subiti un equo indennizzo, da determinarsi in Euro 23.000,00, ovvero, in subordine, nella diversa, maggiore o minore, somma ritenuta di giustizia; con il favore delle spese di lite da attribuirsi al difensore anticipatario.

Resisteva il Ministero della Giustizia.

Con Decreto dei 24.11.2014/24.2.2015 la corte d’appello di Roma accoglieva il ricorso e condannava il Ministero resistente a pagare al ricorrente per l’irragionevole durata del giudizio “presupposto – la somma di Euro 3.500,00 nonchè a pagare al difensore anticipatario del ricorrente le spese di lite liquidate in Euro 915,00, oltre accessori di legge.

Esplicitava – la corte – che la durata ragionevole della procedura fallimentare doveva determinarsi in sette anni, sicchè il periodo di irragionevole durata si specificava a sua volta del pari in sette anni.

Esplicitava ulteriormente che, in considerazione della “posta in gioco” e dell’esito della lite, l’indennizzo per ciascun anno eccedente la durata ragionevole ben poteva essere quantificato in Euro 500,00, sicchè l’indennizzo complessivo era da determinare in Euro 3.500.00.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso sulla scorta di un unico motivo S.R.; ha chiesto che questa Corte ne disponga la cassazione, eventualmente decidendo nel merito, con condanna del Ministero alle spese e del primo giudizio, da distrarsi in favore dell’avvocato Massimo Ferraro, e del giudizio di legittimità, da distrarsi in favore dell’avvocato Silvio Ferrara.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2; la violazione degli artt. 6, par. 1, 13. 19 e 53 della C.E.D.U. e degli artt. 24 e 111 Cost..

Deduce che la quantificazione dell’indennizzo, quale operata dalla corte di merito, non si conforma nè ai parametri individuati dalla giurisprudenza di legittimità, che li ha indicati in Euro 750,00 per i primi tre anni di irragionevole durata ed in Euro 1.000,00 per gli anni successivi, nè ai parametri individuati dalla giurisprudenza comunitaria.

Deduce altresì che la corte distrettuale non ha in alcun modo esplicitato l’iter logico – argomentativo che l’ha indotta all’operata quantificazione, nè ha tenuto conto delle sue prospettazioni, ancorate all’importanza della -posta in gioco”, segnatamente alla natura dei crediti – da lavoro subordinato – azionati ed alla sua non più giovane età.

Il motivo è destituito di fondamento.

Si rappresenta previamente che questa Corte spiega che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale, tuttavia, può apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli (cfr. Cass. 28.5.2012, n. 8471: Cass. 30.7.2010. n. 17922).

In questi termini la liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella ordinariamente applicata dalla Corte E.D.U. non costituisce, a rigore, violazione di legge ed, al più, può integrare vizio della motivazione (cfr. Cass. 7.11.2011. n. 23029).

Conseguentemente la denuncia veicolata dall’unico motivo di ricorso riveste rilievo esclusivamente in relazione alla previsione del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ben vero nella formulazione applicabile catione temporis, ossia in relazione alla formulazione scaturita dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito nella L. n. 134 del 2012.

In tal guisa, nel segno dell’insegnamento a sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014, la denuncia è vanamente formulata, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè il dictum non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Su tale scorta si rappresenta che la corte territoriale ha debitamente dato atto della valenza della “posta in gioco” nell’ambito del giudizio – presupposto – e dell’esito della lite “presupposta”.

La motivazione addotta a supporto dell’operata quantificazione dell’indennizzo annuo risulta dunque più che congrua. E ciò tanto più giacchè la corte d’appello ha da decidere con decreto, sicchè ben può la motivazione assumere caratteri di sommarietà a condizione che si riescano ad individuare – siccome nel caso de quo – almeno per grandi linee ed anche dall’insieme delle indicazioni espresse nel provvedimento, i fondamentali elementi di giudizio sui quali la decisione è basata (cfr. Cass. 18.2.2013, n. 3934).

D’altro canto, va doverosamente rimarcato che questa Corte spiega che, in tema di equa riparazione, ove il processo “presupposto” sia un procedimento fallimentare, la sua durata, ai fini dell’accertamento in ordine alla violazione del termine ragionevole, deve, propriamente, essere commisurata, per il creditore insinuato, al periodo compreso tra la proposizione della domanda di ammissione al passivo e la distribuzione finale del ricavato (cfr. Cass. 29.1.2010, n. 2207), cosicchè ai fini del giudizio di equa riparazione non assume rilevanza il precedente periodo di svolgimento della procedura concorsuale cui il creditore è rimasto estraneo (cfr. Cass. 19.3.2015, n. 5502; Cass. 6.7.2016, n. 13819).

In dipendenza del rigetto del ricorso S.R. va condannato a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo (si tenga conto che, in sede di condanna del soccombente al rimborso delle spese del giudizio a favore di un’amministrazione dello Stato – nei confronti del quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario – riguardo alle spese vive la condanna deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito: cfr. Cass. 18.4.2000, n. 5028: Cass. 22.4.2002, n. 5859).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, S.R., a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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