Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25873 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 14/10/2019), n.25873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23143/2018 proposto da:

O.J., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso

dall’avvocato Gaetano Bosco, in forza di procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione

Internazionale Prefettura Milano, Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/09/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 12/1/2018, O.J., cittadino nigeriano, ha adito il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il richiedente aveva riferito di essere cittadino nigeriano, nato a (OMISSIS) e vissuto a (OMISSIS), di etnia esan e religione cristiana; che il padre era morto e la madre e i fratelli erano ancora in Nigeria; che era espatriato per sottrarsi a un gruppo di persone che lo voleva uccidere; che era stato invitato a una festa nel corso della quale era stato bendato e picchiato e aveva appreso di essere entrato nella confraternita (OMISSIS); reclutato così forzatamente, aveva cercato di uscire dalla setta, che compiva furti, rapine e violenze sessuali, alle quali aveva un pò partecipato; di essere ritenuto un membro della setta e di non poterne uscire; che il padre si era ammalato nel 2014, dopo essere stato aggredito un anno prima; di non poter tornare in Nigeria a causa del timore della confraternita.

Con decreto del 8/6/2018, il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso O.J., con atto notificato il 12/7/2018, svolgendo quattro motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente lamenta omesso esame di fatto decisivo e in particolare del certificato di laurea prodotto in giudizio come documento n. 9, totalmente ignorato dal Tribunale nel contesto della complessiva valutazione di non credibilità del racconto della vicenda personale del richiedente, della cui attendibilità aveva dubitato perchè, figlio di gente povera e analfabeta, non avrebbe potuto iscriversi all’Università.

1.1. Il mezzo introduce una censura motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5 come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5 in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

1.3. Al proposito il ricorrente lamenta l’omesso esame di un documento, ossia il certificato di laurea (docomma 9) senza dar conto del suo contenuto, sia pur sinteticamente, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nè, tantomeno delle modalità, anche temporali della sua sottoposizione al contraddittorio processuale e senza allegarlo al ricorso, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

1.4. In ogni caso, l’omesso esame lamentato non presenta affatto il carattere della decisività, poichè il Tribunale ha fondato il proprio giudizio di non credibilità del racconto del richiedente asilo anche su altre concorrenti – ed anzi di gran lunga preponderanti motivazioni (modalità dell’asserito reclutamento; anomalia del reclutamento forzoso; incapacità di riferire il contenuto della personale attività partecipativa del richiedente; inconsistenza dei segreti appresi durante la militanza nel culto; contraddittorietà del racconto del richiedente circa la personale partecipazione ad atti di violenza; narrazione schematica e superficiale; contraddizioni nel racconto circa la morte del genitore; incongruenza della prodotta denuncia rispetto alla narrazione).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge perchè il Tribunale aveva dubitato del racconto perchè i reclutamenti forzosi nell’associazione segreta (OMISSIS) sono assai rari, ma quindi possibili (come avviene anche talora da parte della mafia siciliana).

2.1. La censura è inammissibile.

Certamente la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez.6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez.6, 27/06/2018, n. 16925; Sez.6, 10/4/2015 n. 7333; Sez.6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro allegativo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez.6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez.6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez.1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

Nella specie, lungi dall’introdurre una censura motivazionale conforme all’attuale canone dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in termini di omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti, la ricorrente denuncia, fra l’altro in gran parte in modo non pertinente, una insussistente violazione di legge per sollecitare inammissibilmente questa Corte ad una rivalutazione del materiale probatorio difforme da quella motivatamente effettuata dal Giudice di merito.

2.2. In ogni caso, anche a prescindere dal rilievo che quella addotta dal Tribunale – e criticata genericamente dal ricorrente – è solo una delle ragioni che hanno indotto i Giudici milanesi ad emettere un giudizio di inattendibilità del racconto dell’ O., appare assorbente la considerazione che nel valutare la complessiva attendibilità di un racconto reso dal richiedente asilo, sfornito di prove e anche solo di adeguati riscontri, ben può il Giudice del merito fondare la propria valutazione di non credibilità sull’assoluta anomalia di un fenomeno socio-criminale descritto in grave distonia rispetto alle fonti accreditate.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo perchè il Tribunale aveva ritenuto generico e superficiale il racconto dell’unico episodio di violenza a cui il ricorrente aveva personalmente partecipato, senza procedere all’audizione personale e approfondire il suo interrogatorio sul punto.

3.1. Il motivo non rispetta i canoni di deduzione del vizio motivazionale sopra compendiati nel precedente p. 1.1. e in ogni caso l’omesso esame non sussiste affatto, poichè il Tribunale ha, come ammette lo stesso ricorrente, esaminato e valutato l’episodio.

3.2. Il ricorrente sostiene che il Tribunale se riteneva incongruo, poco circostanziato, carente e complessivamente non credibile il racconto del richiedente asilo circa la vicenda personale avrebbe dovuto consentire l’introduzione di elementi correttivi e di precisazione e di completamento proprio tramite la rinnovata audizione.

Tale assunto è infondato, poichè prescinde dall’elemento fondamentale, rappresentato dal contenuto del ricorso introduttivo, che articola la domanda giudiziale del richiedente asilo e nel quale, come in qualsiasi altro giudizio di ordinaria cognizione, egli è libero di introdurre, con l’assistenza e il ministero di un legale, tutti gli ulteriori elementi, principali e secondari che cristallizzano il thema decidendum, opportunamente completando, correggendo e integrando le dichiarazioni rese in sede amministrativa.

Non può quindi dolersi della mancata audizione il ricorrente sol perchè egli aveva rilasciato in sede amministrativa dichiarazioni incomplete, generiche e implausibili, in difetto di specifiche allegazioni integrative contenute nel ricorso che il Tribunale si sia rifiutato di esplorare.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo perchè il Tribunale aveva ritenuto rilevante il fatto che la setta (OMISSIS) non controllasse il territorio, senza tener conto del rischio effettivo e concreto di morte e trattamenti inumani e degradanti che il O. correrebbe ritornando in Nigeria.

Il motivo è del tutto eccentrico e sfocato rispetto alla ratio decidendi, basata invece sulla non credibilità del racconto dell’ O. circa il suo coinvolgimento nelle attività della setta (OMISSIS).

Nè, per altro verso, il Tribunale ha omesso di considerare il controllo del territorio in Edo State da parte della setta (OMISSIS), concretamente escluso, senza che il ricorrente indichi quali elementi contrastanti sarebbero stati pretermessi.

5. Vi è da aggiungere che l’ulteriore autonoma motivazione contenuta a pagina 10, terzultimo capoverso, del decreto impugnato, circa l’esaurimento della vicenda narrata, risalente comunque di circa sei anni, non è stata affrontata e confutata da parte del ricorrente.

Ne scaturisce ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso.

6. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Non occorre provvedere sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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