Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25872 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. III, 16/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 16/11/2020), n.25872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 33783/2018 R.G. proposto da:

R.L., e D.D., rappresentati e difesi dall’Avv.

Alessandro Ciaccia, con domicilio eletto in Roma, Via T. Salvini, n.

2/a, presso lo studio dell’Avv. Luigi Pedretti;

– ricorrenti –

contro

M.F., rappresentata e difesa dall’Avv. Moreno Persia,

con domicilio eletto in Roma, Via Dei Colli Portuensi, n. 345,

presso lo studio dell’Avv. Stefano Venditti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, Sezione

Specializzata Agraria, n. 750/2018 depositata l’11 settembre 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 settembre

2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. R.L. e D.D. adirono, con separati ricorsi, la Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Avezzano chiedendo pronunciarsi la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico – stipulato dal loro dante causa ( C.A.M.) con M.F. – per grave inadempimento dell’affittuaria, in tesi consistito nel riversamento sui terreni affittati di due grossi mucchi di letame senza che tale operazione fosse stata loro preventivamente comunicata, nè fossero state documentate le caratteristiche e la tracciabilità del prodotto.

Instaurato il contraddittorio e riuniti i ricorsi, la Sezione adita accolse la domanda, compensando per metà le spese processuali, poste per l’altra metà a carico della resistente.

2. In riforma di tale decisione, la Corte d’appello di L’Aquila, sezione specializzata Agraria, ha invece rigettato la domanda, condannando gli appellati alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.

Ha, infatti, ritenuto che quello riversato sul fondo fosse “un fertilizzante di origine animale comunemente usato in agricoltura” e che l’affittuaria non potesse ritenersi gravata dell’onere di dar prova della tracciabilità del prodotto, ai sensi del D.Lgs. n. 29 aprile 2010, n. 75, art. 4, comma 2, dal momento che tale norma “contiene prescrizioni sulla tracciabilità che riguardano i produttori e i rivenditori di fertilizzanti e non gli utilizzatori che, in quanto tali, a differenza dei primi, non possono sapere come i fertilizzanti siano stati prodotti, siano essi chimici o di origine animale, nè quale sia la loro esatta composizione, e li acquistano ed utilizzano facendo affidamento sulla circostanza che siano liberamente venduti da soggetti che sono, essi sì, soggetti a controlli sulla tracciabilità dei prodotti venduti”.

Ha inoltre escluso l’applicabilità della L.R. Abruzzo 29 dicembre 2011, n. 44, art. 29, comma 3, che impone alle aziende agricole e zootecniche la predisposizione di programmi di utilizzazione agronomica (PUA), atteso che “tale norma riguarda solo le aziende individuate sulla base del “Programma d’azione per le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola”, tra le quali non è dimostrato vi sia anche quella dell’appellante”.

Ha infine soggiunto che – si trascrive testualmente dalla sentenza – “tenuto conto dell’estensione dei fondi affittati (mq. 24.320) il quantitativo di pollina, come si evince dalla C.T. depositata dall’appellante, le cui conclusioni collimano con le valutazioni di questo collegio, avente specifiche competenze tecniche, appare necessario a concimare un suolo che, come quelli circostanti del bacino del (OMISSIS), ha un PH pronunciatamente alcalino, sicchè l’uso di un fertilizzante animale, avente carica acida, risponde alle regole di normale coltivazione del fondo e non costituisce inadempimento grave, tale da giustificare la risoluzione del contratto”.

4. Avverso tale decisione R.L. e D.D. propongono ricorso per cassazione, articolando cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste M.F., depositando controricorso.

La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ infondata la preliminare eccezione di nullità della procura conferita da R.L. per il ricorso per cassazione sollevata sul rilievo che, con tale procura, “non risulta investito alcun difensore del potere di proporre ricorso per cassazione in suo nome e per conto”.

In realtà l’esame complessivo del testo della procura e dell’atto cui esso è meccanicamente unito, seppure evidenzia un salto redazionale al suo interno chiaramente imputabile a mero errore materiale (la frase “… R.L…. delega a rappresentarla e difenderla nel giudizio dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione…” manca di complemento oggetto), non consente tuttavia alcun dubbio: a) sul contenuto negoziale e giuridico suo proprio (atto di conferimento di procura per il giudizio in Cassazione); b) sulla individuazione dell’Avv. Alessandro Ciaccia come difensore di tale incarico officiato; in tal senso dovendosi rimarcare che: a) il predetto Avv. Ciacca rindicato nell’atto stesso come domiciliatario è poi quello che autentica la firma della conferente la procura; b) detta procura è redatta su foglio separato ma spillato al ricorso il quale in epigrafe indica l’Avv. Ciaccia come procuratore di entrambi i ricorrenti, ossia sia della R. che del D.; c) detta procura è seguita da altro foglio (anch’esso spillato al ricorso per formare, insieme alla precente, unico atto), che contiene analoga procura conferita da quest’ultima, in tutto sovrapponibile alla prima, ma esente dal descritto salto redazionale; d) l’esame congiunto delle due procure e del ricorso non può lasciar dubbi sulla indicazione dell’Avv. Ciaccia come unico procuratore di entrambi i ricorrenti (del resto in identica posizione processuale); e) non vi è alcun elemento, intrinseco o estrinseco, che possa lasciare ipotizzare l’esistenza di altri professionisti cui si intendesse conferire distinto mandato da parte della detta ricorrente.

2. Con il primo motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1176 e 2697 c.c. e alla L. n. 203 del 1982, art. 5, comma 2; errata delibazione in ordine ai criteri di riparto dell’onere probatorio di fatti decisivi in tema di risoluzione di contratto di affitto di fondi rustici” (così testualmente nell’intestazione).

Lamentano, in sintesi, l’applicazione da parte della Corte d’appello di una errata regola di riparto dell’onere probatorio, assumendo che, come ritenuto dai primi giudici, era onere della conduttrice dimostrare di non essere tra le aziende individuate sulla base del “Programma d’azione per le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola”.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (ed “in relazione alla L. n. 203 del 1982, art. 21”), “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; perdita della legittimazione e dell’interesse ad agire dell’intimata”.

Rilevano che controparte, nelle more del giudizio di appello, ha perduto la qualità di affittuaria dei fondi rustici per cui è causa, dal momento che, per sua stessa ammissione, i terreni in questione risultano ricompresi tra quelli dichiarati come coltivati negli anni 2016 e 2017 dal coniuge.

Il difetto della qualità di affittuaria, ancorchè sopravvenuto nel corso del giudizio ma tuttavia prima della decisione, avrebbe privato controparte della legittimazione e dell’interesse ad agire.

4. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 1375 c.c., L. n. 203 del 1982, art. 5, comma 2, e L.R. Abruzzo n. 44 del 2011, art. 29, comma 3”.

Lamentano l’ingiustizia della decisione in quanto fondata sull’assunto che controparte sarebbe da ritenere incolpevole per aver ignorato le regole imposte all’attività agricola, in tema di rischi di inquinamento ambientale.

Sostengono, in sostanza, che l’interpretazione accolta dalla Corte di merito disattende lo spirito della normativa comunitaria e nazionale.

Contestano l’affermazione secondo cui non è dimostrato che l’azienda agricola in questione rientri tra quelle individuate dal “Programma d’azione per le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola”, rilevando che la Regione Abruzzo, a tutela dell’ambiente e della salute e in ottemperanza alle direttive del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha adottato il Piano di Tutela delle acque, individuando nel proprio territorio le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, tra le quali è compresa la piana del (OMISSIS), in cui sono ubicati i fondi in questione.

5. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, “violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; manifesto travisamento ed erroneo recepimento della c.t. di parte, le cui risultanze hanno avuto rilevanza decisiva sulla ricostruzione della quaestio facti e sulla conseguente erronea applicazione delle norme di diritto” (così testualmente nell’intestazione).

Deducono l’inammissibilità della produzione di tale documento, in quanto effettuata per la prima volta in appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, e l’impossibilità comunque di attribuire allo stesso alcun valore probatorio.

Lamentano, quindi, che, fuorviati dalle erronee conclusioni del consulente di parte, i giudici d’appello non hanno correttamente valutato la mancata prova della tracciabilità dei fertilizzanti utilizzati e, dunque, il mancato superamento della presunzione di pericolosità di questi ultimi.

Contestano altresì la conclusione, per tal via raggiunta, secondo cui la quantità di letame utilizzato fosse esigua e rispondesse a criteri di normale coltivazione del fondo, in rapporto alla sua estensione.

6. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e in affermata stretta connessione con il terzo e il quarto motivo, vizio di “omessa motivazione… con riferimento all’affermazione del giudice di merito secondo cui l’immissione del letame sul fondo agricolo oggetto del contratto, non autorizzata dal concedente, non costituirebbe inadempimento grave dell’affittuario ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 5” (così testualmente nell’intestazione).

Rilevano che la fattura prodotta dalla controparte – oltre a far riferimento a n. 3 autotreni di pollina esausta di deposito (e non due autotreni come riportato in sentenza), dato questo che smentirebbe l’assunto secondo cui si trattava di entità non rilevante di fertilizzante – è del tutto inidonea a provare la provenienza del letame immesso nei terreni e l’assolvimento degli obblighi imposti dalla Direttiva CE sui nitrati.

Affermano che è la ditta che immette tale letame nel terreno (e non il rivenditore) a dover comunicare agli uffici competenti la quantità di azoto apportata.

Contestano il diverso convincimento espresso nella consulenza di parte e nella sentenza, in quanto in contrasto con l’art. 185 codice dell’ambiente e con il Regolamento CE n. 1773/2002.

7. Il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

7.1. Sotto il primo profilo (mancato tracciamento del fertilizzante) esso non coglie la ratio decidendi, la quale non risiede nell’attribuzione all’affittante invece che all’affittuaria dell’onere di dimostrare l’adempimento dell’obbligo di osservare le prescrizioni sulla tracciabilità dei prodotti, quanto piuttosto nella esclusione che un tale obbligo sia posto dalla legge a carico dell’utilizzatore finale, essendo invece posto solo a carico dei produttori e i rivenditori di fertilizzanti

7.2. Sotto il secondo profilo (mancata predisposizione del “Programma d’azione per le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola”) la sentenza ha bensì escluso la fondatezza della domanda argomentando dalla mancata dimostrazione che l’azienda ne fosse onerata e, dunque, facendo applicazione di una regola di riparto dell’onere probatorio che ne vede gravata la parte che richiede la risoluzione del contratto per inadempimento.

Diversamente da quanto dedotto in ricorso tale regola deve, però, ritenersi corretta.

Secondo noto e generale principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, “in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento (Cass. Sez. U. 30/10/2001, n. 13533).

Nella specie la mancata prova riguarda non l’inadempimento, nè il fatto estintivo dell’obbligo (adempimento o causa non imputabile che lo ha reso impossibile), ma, a monte, l’esistenza stessa dell’obbligo che si assume inadempiuto, in base alla sua fonte legale; correttamente, dunque, secondo detto principio, la Corte di merito ne ha (implicitamente) ritenuto gravati gli attori in risoluzione e non l’affittuaria, conseguentemente ritenendo che la mancata dimostrazione dell’esistenza di tale obbligo costituisse motivo di rigetto della domanda di risoluzione.

8. Il secondo motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

8.1. Si prospetta con esso una questione nuova, che non risulta trattata nel giudizio di merito e in ordine alla quale i ricorrenti omettono di fornire le specifiche indicazioni necessarie perchè ne sia consentito l’esame in sede di legittimità.

E’ noto al riguardo che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante, Cass. n. 31227 del 2019; n. 15430 del 2018): ciò, ovviamente, nel rispetto degli oneri di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6. Difatti, il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicchè sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (tra le molte v. Cass. n. 15196 del 2018).

8.2. Può comunque aggiungersi che l’assunto da cui muove la censura, secondo cui la perdita della qualità di affittuaria determinerebbe la perdita dell’interesse ad agire (recte: ad impugnare) è infondato. Trattandosi, infatti, di controversia relativa alla domanda di risoluzione per inadempimento di contratto di affitto, la cessazione per altri motivi del rapporto non determina comunque il venir meno dell’interesse ad ottenere una decisione sull’esistenza o meno della causa di risoluzione, potendo quella decisione costituire la premessa logica e giuridica per avanzare (o resistere a) ulteriori richieste giudiziali (cfr. Cass. n. 1076 del 19/04/1974).

Tanto meno è predicabile un sopravvenuto venir meno della legittimazione ad impugnare, spettando questa come noto alla parte che ha partecipato al giudizio precedente.

9. I restanti tre motivi, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono in parte infondati, in altra parte inammissibili.

Al di là dell’erroneo e comunque improprio riferimento (nel quarto e nel quinto motivo) ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 l’ubi consistam delle censure è rappresentato, da un lato, dalla contestata ricognizione del dato normativo di riferimento (assumendosi da parte dei ricorrenti che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, sarebbe obbligo dell’affittuario osservare le prescrizioni in tema di tracciabilità del fertilizzante utilizzato e, comunque, consentire di risalire alla quantità di azoto apportata), dall’altro, dalla contestazione della valutazione di merito secondo cui la quantità di letame utilizzato rispondesse a criteri di normale coltivazione del fondo, in rapporto alla sua estensione, e il suo impiego ai fini della coltivazione non integrasse grave inadempimento.

9.1. Sotto il primo profilo gli argomenti di critica appaiono del tutto generici e non risultano tali da revocare in dubbio la correttezza della interpretazione fornita dalla Corte di merito, in quanto del resto fondata su inequivoco dato letterale.

Il D.Lgs. n. 75 del 2010, art. 4 – il cui testo è utile qui di seguito trascrivere: “Art. 4. Immissione sul mercato: 1. I fertilizzanti possono essere immessi in commercio se sono adempiute le prescrizioni riportate nel regolamento (CE) n. 2003/2003 e nel presente decreto.

2. I prodotti di cui agli allegati 1, 2, 5, 6 e 13, che utilizzano nella composizione prodotti trasformati di origine animale, possono essere immessi sul mercato purchè questi ultimi siano conformi ai requisiti ed alle norme di trasformazione previsti dal Regolamento (CE) n. 1774/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 3 ottobre 2002, e successive modificazioni, sempre che tali prodotti di origine animale ricadano nel campo di applicazione del citato regolamento.

3. Per i concimi a base di nitrato ammonico valgono le indicazioni previste dalla decisione n. 1348/2008/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008” – appare, invero, chiaramente diretto (lo si desume dalla rubrica e dal costante riferimento alla “immissione sul mercato”) a regolare la produzione e la commercializzazione dei fertilizzanti, non anche il loro utilizzo finale da parte dei coltivatori. Non si può ricavare da essi alcun obbligo in capo a questi ultimi di provvedere essi stessi al tracciamento del prodotto utilizzato (per il che del resto non si vede come e da dove potrebbero ricavare le informazioni necessarie, se non dai diretti loro stessi fornitori).

Del tutto generico e inidoneo comunque a condurre a diverso convincimento si appalesa il riferimento al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 185 (Codice dell’ambiente) ed al Regolamento CE n. 1773/2002.

Nella restante parte le censure si risolvono in apodittiche e meramente oppositive asserzioni circa il carattere inadempiente della condotta dell’affittuario.

9.2. Quanto in particolare alla doglianza riferita all’ingresso in giudizio ed all’utilizzo della consulenza tecnica di parte occorre, da un lato, rilevare che, come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte, questa costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi consentita anche in appello (Cass. Sez. U. n. 13902 del 03/06/2013; Cass. n. 20347 del 24/08/2017), dall’altro, (occorre) considerare che quello contestato (ossia la corrispondenza dell’impiego del fertilizzante a consentita modalità coltivazione del fondo) costituisce accertamento di fatto che, nel vigente sistema, è censurabile nei limiti del paradigma censorio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Vale in proposito rammentare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella vigente formulazione (introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), applicabile ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/204, nn. 8053 e 8054).

L’unico argomento di critica che può ritenersi orientato in tale direzione è il riferimento (nel quinto motivo) al fatto che la “pollina” utilizzata fosse contenuta in tre autotreni a non solo a due.

Tale allegazione non rispetta però i suindicati requisiti, sia perchè, ed il rilievo è assorbente, il dato dovrebbe risultare da documento (fattura d’acquisto n. (OMISSIS)) del quale non è specificato se è stato anche riversato in appello e se e con quale localizzazione sia stato anche prodotto nel presente giudizio (con evidente inosservanza degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6), sia comunque perchè non ne è illustrata la decisività, non essendo offerti nè ravvisandosi argomenti che possano attribuire alla ipotizzata maggiore quantità rilievo scriminante ai fini della valutazione (come gravemente inadempiente o meno) della condotta dell’affittuaria.

10. In ragione delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, in definitiva, rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in solido in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Trattandosi di controversia agraria, il processo è esente dal contributo unificato e non si applica pertanto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (v. ex aliis Cass. 31/03/2016, n. 6227; n. 537 del 15/01/2020).

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione in solido delle spese, in favore della controricorrente, liquidate in Euro 4.000 per compensi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Euro 200 per esborsi e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA