Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2587 del 05/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 2587 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: BOTTA RAFFAELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale
dello Stato, che la rappresenta e difende per legge;

34 Rio

– ricorrente —
Contro

F.11i Amato s.r.1., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Carlo Mirabello 26, presso l’avv. Pasquale Iannuccilli, rappresentata e difesa dall’avv. Giorgio Sagliocco giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente —
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania (Napoli), Sez. 15, n. 85/15/10 del 21 dicembre 2009, depositata il 22
marzo 2010, non notificata;
Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 5 dicembre 2013 dal
Relatore Cons. Raffaele Botta;
Uditi l’avv. Paolo Gentili per l’Avvocatura Generale dello Stato;
Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott. Ennio
Attilio Sepe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia concerne l’impugnazione da parte della società contribuente
dell’avviso di accertamento IVA per l’anno 2004 ad essa notificato il 7

Oggetto:
Accertamento IVA.
Mancato rispetto
del termine di cui
all’art. 12, comma
7, L. n. 212 del
2000. Conseguenze.

Data pubblicazione: 05/02/2014

maggio 2007 sulla base delle risultanze del processo verbale redatto dalla
Guardia di Finanza 1’8 marzo 2007.
La società contribuente eccepiva la nullità dell’avviso per violazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000, oltre che per la mancata autorizzazione all’accesso, e deduceva l’infondatezza della pretesa tributaria nel merito.
La Commissione adita accoglieva il ricorso ritenendo che l’amministrazione
non avesse fornito la prova delle ragioni di urgenza che avrebbero ad essa
L. n. 212 del 2000. La decisione era confermata, con la sentenza in epigrafe,
con la quale era rigettato l’appello dell’Ufficio.
Avverso tale sentenza l’amministrazione propone ricorso per cassazione con
due motivi. Resiste la società contribuente con controricorso
MOTIVAZIONE
Con i due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente
per ragioni di connessione logica, l’amministrazione censura la sentenza impugnata, sotto il profilo di violazione di legge per avere interpretato erroneamente la disposizione di cui all’art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000, ritenendo che al mancato rispetto del termine ivi indicato da parte dell’amministrazione conseguisse ipso iure la nullità dell’atto impositivo e che fosse legittima una impugnazione dell’atto da parte del contribuente che si limitasse
a dedurre il mancato rispetto di quel termine.
Le censure sono fondate, nei sensi di cui alle seguenti considerazioni.
La questione relativa all’interpretazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212 del
2000 è stata risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.
18184 del 2013 che ha affermato il seguente principio di diritto: «In tema di
diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12,
comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel
senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o
una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che
ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo
emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria
espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e
buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più
efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste
nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne han2

impedito il rispetto del termine di 60 giorni imposto dall’art. 12, comma 7,

i
.,
.,

no determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto
requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella
concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dal-

dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza,
perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del diritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e “particolare” – cioè specificamente
riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento».
La sentenza impugnata – dopo aver ricordato che in giudizio l’amministrazione aveva dedotto che le ragioni per le quali era stata anticipata la notificazione dell’atto impositivo impugnato consisteva nelle «reiterate condotte
penali tributarie» riscontrate in capo alla società contribuente — nega che
possano costituire valide ragioni giustificative dell’urgenza «asserzioni di
pericolosità» e afferma che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe «fornito elementi a sostegno del suo comportamento», non comprendendosi, peraltro,
«quale danno poteva derivare all’Amministrazione Finanziaria dal notificare
l’accertamento trascorsi i previsti sessanta giorni o al cinquantanovesimo
giorno, così come è avvenuto».
In realtà, contrariamente a quanto sembra ritenere il giudice a quo, il pericolo derivante da reiterate condotte penali tributarie è, in astratto, una indubitabile e valida ragione d’urgenza atta a giustificare l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo in deroga al termine imposto dal comma 7 dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000, tanto più nel quadro della situazione,
emersa dal verbale di verifica, della supposta partecipazione della società
contribuente ad una organizzata frode ai danni dell’Erario che è accuratamente descritta nella narrativa della stessa sentenza impugnata: il giudice
d’appello avrebbe dovuto, piuttosto, verificare se tale ragione d’urgenza potesse, come si esprimono le Sezioni Unite, essere, come probabilmente era
alla luce della ricordata narrativa, «specificamente riferita al contribuente e
al rapporto tributario in questione». Ma di tanto non v’è traccia nel ragionamento che ha portato alla decisione oggetto di impugnazione in questa sede di legittimità.

3

l’Ufficio». Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite a fronte di
«un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo
e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio
della violazione del termine: spetterà, quindi, all’Ufficio l’onere di provare
la sussistenza (all’epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine e,

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata deve essere
cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria
Regionale della Campania, anche per l’esame del merito pretermesso dalla
decisione di nullità che ha esaurito la precedente fase del giudizio. Il giudice
del rinvio provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese,
ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 5 dicembre 2013.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

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