Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25869 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 12/10/2020, dep. 23/09/2021), n.25869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14676/2019 proposto da:

F.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Chiara Bellini, per procura speciale estesa in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso gli uffici

dell’Avvocatura Generale dello Stato che per legge lo rappresenta e

difende;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1487 della Corte D’Appello di Venezia

depositata il 8 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12 ottobre 2020 dal relatore Dott. Marco Vannucci.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 8 aprile 2019 la Corte d’Appello di Venezia rigettò l’appello proposto da F.A. (di nazionalità ivoriana) per la riforma dell’ordinanza pronunciata il 27 giugno 2017 dal Tribunale di Venezia (a definizione di processo svoltosi nelle forme del rito sommario di cognizione), dispositiva del rigetto delle domande di protezione internazionale (sussidiaria e umanitaria) da tale persona proposte in sede di impugnazione di provvedimento di diniego adottato in sede amministrativa.

2. Per la cassazione di tale sentenza F. propose ricorso contenente tre motivi di impugnazione.

3. L’intimato Ministero dell’Interno, costituitosi al solo scopo dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa, non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), prescrive che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa; sì da garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (in questo senso, cfr., per tutte: Cass. S.U. n. 11653 del 2006).

Per soddisfare il requisito imposto dalla citata disposizione del codice di rito è necessario che il ricorso per cassazione contenga una “sintesi funzionale” o almeno una “attività di narrazione”, purché non brevissima, del contenuto degli atti dei giudizi di merito, tale per cui l’esposizione, per raggiungere almeno lo standard della sommarietà, evidenzi con sufficiente chiarezza sia i fatti sostanziali, ossia i fatti su cui si fondano le pretese delle parti, sia quelli processuali, ossia la sintesi dello svolgimento dei gradi di merito; quantunque non si imponga che tale narrativa costituisca una premessa autonoma e graficamente distinta rispetto ai motivi di ricorso, e anzi risultando “sufficiente ed, insieme, indispensabile” che “dal contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del fatto” (in questo senso cfr., fra le molte: Cass. n. 1959 del 2004; Cass. n. 11433 del 2007; Cass. n. 10288 del 2009; Cass. S.U., n. 16628 del 2009; Cass. S.U., n. 5698 del 2012; Cass. n. 24163 del 2014; Cass. S.U., n. 1308 del 2014; Cass. n. 13312 del 2018; Cass. S.U. n. 22575 del 2019; Cass. n. 10588 del 2020).

La sopracitata esposizione dei fatti permette alla Corte di percepire con una certa immediatezza il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale e, così, acquisire l’indispensabile conoscenza, sia pure sommaria, del processo, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti.

La ricostruzione non deve essere lunga e diffusa (sì da fuorviare la Corte dal punto centrale della controversia) ma deve essere funzionale alla percezione dei singoli vizi, in ciò differenziandosi dal requisito di cui al successivo n. 4) dello stesso art. 366 c.p.c., dato che, mentre con i motivi di ricorso si enunciano i vizi della decisione dal punto di vista statico e se ne fa la critica, l’enunciazione dei fatti serve ad individuare i singoli vizi dal punto di vista dinamico e ciò quando si sono formati e come si sono formati e valutare se la questione sia ancora “viva” o meno, ossia se il singolo motivo d’impugnazione investa un tema spendibile in quanto non precluso dalla formazione del giudicato interno per mancata impugnazione, in sede d’appello, del capo della sentenza di primo grado su cui il ricorrente già era risultato soccombente (in questo senso cfr, fra le molte: Cass. n. 593 del 2013; Cass. n. 12525 del 2016; Cass. n. 15342 del 2017).

La costante giurisprudenza di legittimità (come sopra accennato brevemente) ha inoltre avuto cura di precisare che, per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sé stante del ricorso, ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi (la sentenza capostipite in questo senso fu Cass. n. 720 del 1952, la quale espressamente affermò che gli “opportuni cenni” sullo svolgimento del processo potevano ricavarsi anche “dalla motivazione in diritto del ricorso”).

Tenuti presenti tali ordini di concetti il ricorso si caratterizza per l’assenza di qualunque indicazione relativa: alle ragioni specifiche, in fatto e in diritto, dal ricorrente dedotte nel giudizio di primo grado e in quello di appello a sostegno delle, invocate, “protezione internazionale e umanitaria”; alle difese svolte dal Ministero dell’Interno nei due giudizi di merito; alle ragioni a sostegno della decisione di segno negativo contenuta nell’ordinanza di primo grado; al contenuto della sentenza di appello nell’atto solo criticata.

Il ricorso è dunque inammissibile per violazione della citata disposizione di legge processuale.

Non vi è obbligo di pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione non avendo la parte intimata svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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