Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25866 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. III, 16/11/2020, (ud. 14/09/2020, dep. 16/11/2020), n.25866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31678-2018 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII

466, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SALVATORE COSSA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE CAMPEIS;

– ricorrente –

contro

CAMPO MARZIO COSTRUZIONI CMC S.P.A., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato

ALESSIO PETRETTI, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati GIANFRANCO CARBONE, e FABRIZIO DEVESCOVI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII

466, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SALVATORE COSSA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE CAMPEIS;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 419/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 30/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Trieste ingiunse alla Campo Marzio Costruzioni CMC s.p.a. (d’ora in poi CMC) il pagamento, in favore dell’ing. C.G., della somma di Euro 641.294,88 a titolo di compensi professionali per interventi di carattere urbanistico e edilizio svolti dal professionista in favore della società.

Avverso il decreto propose opposizione la società CMC, rilevando che i compensi richiesti erano eccessivi e non dovuti e proponendo altresì domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni da parte dell’ing. C., a titolo di responsabilità professionale.

Si costituì in giudizio l’ing. C., contestando il contenuto dell’atto di opposizione e chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo.

Fatta svolgere una c.t.u. ed espletati l’interrogatorio formale delle parti e la prova per testi, il Tribunale accolse in parte l’opposizione, revocò il decreto ingiuntivo e condannò la società CMC al pagamento della minore somma di Euro 220.211,50 nonchè alla rifusione delle spese di lite e di c.t.u., compensate nella misura di un terzo.

2. La pronuncia è stata impugnata in via principale dalla società CMC e in via incidentale dall’ing. C. e la Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 30 luglio 2018, ha accolto in parte l’appello principale, ha rigettato quello incidentale, ha condannato la società CMC al pagamento, in favore del professionista, della minore somma di Euro 74.420,60 oltre interessi, ha confermato la sentenza di primo grado in punto di spese ed ha posto a carico dell’ing. C., ritenuto soccombente, il pagamento delle spese del giudizio di appello e del supplemento di c.t.u. espletato in secondo grado.

2.1. In ordine all’appello principale, la Corte territoriale ha rilevato che era fondato il primo motivo, col quale la società CMC aveva contestato la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile, per asserita tardività e novità, la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni da responsabilità professionale.

La sentenza ha affermato, sul punto, che tale responsabilità era stata sostenuta dalla società opponente già nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, là dove si era affermato che l’ing. C. era da ritenere responsabile “per aver indicato nella soluzione dei tiranti sotto la sede della proprietà “(OMISSIS)” la soluzione fondazionale più opportuna”. Detta domanda era stata precisata in sede di memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1), e poi istruita tramite la consulenza tecnica; per cui la domanda non poteva essere considerata nuova.

Una volta riconosciuta l’ammissibilità della domanda, la Corte d’appello l’ha ritenuta fondata nel merito. Richiamando il contenuto della c.t.u. svolta in primo grado e della relazione integrativa resa in appello dal medesimo consulente, la Corte ha riconosciuto l’esistenza di una responsabilità professionale dell’ing. C. per l’erronea previsione delle fondazioni sotto l’immobile sede del quotidiano “(OMISSIS)”. Recependo le indicazioni del c.t.u., la sentenza ha affermato che “il maggior costo delle opere e il relativo incremento delle spese tecniche” era da determinare nella somma di Euro 145.790,90; somma, questa, che doveva quindi essere compensata e detratta dalle spettanze professionali richieste dall’ing. C..

2.2. Quanto, invece, al terzo motivo dell’appello principale, avente ad oggetto la contestazione del compenso riconosciuto dal professionista per l’attività svolta come consulente tecnico interno (CTI), la Corte triestina l’ha ritenuto, invece, infondato, confermando la sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto all’ing. C., a quel titolo, la somma di Euro 148.489,50. Sulla base di quanto risultante dall’integrazione di c.t.u. espletata in appello, infatti, la Corte d’appello ha ritenuto non esservi responsabilità professionale sotto tale profilo.

2.3. La Corte d’appello ha poi rigettato l’appello incidentale, rilevando che il professionista non aveva adeguatamente provato di aver svolto un’ulteriore attività progettuale per la quale era stato riconosciuto un compenso in sede di decreto ingiuntivo.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Trieste propone ricorso principale l’ing. C.G. con atto affidato a dieci motivi.

Resiste la società CMC con controricorso contenente ricorso incidentale affidato a due motivi.

L’ing. C. resiste con controricorso al ricorso incidentale ed ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale.

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale della società CMC finalizzata al riconoscimento di una responsabilità professionale del ricorrente.

Si osserva, in proposito, che la società CMC aveva chiesto, nell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, che fosse accertata la responsabilità professionale dell’ing. C. “per aver indicato nella soluzione dei tiranti sotto la sede della proprietà “(OMISSIS)” la soluzione fondazionale più opportuna senza alcuna autorizzazione da parte della proprietà”. Nello stesso atto la società aveva precisato di non essere in grado di definire con esattezza l’ammontare del danno, ragione per cui si vedeva costretta a chiedere l’accertamento della responsabilità professionale quale elemento presupposto per la domanda di ripetizione delle somme già erogate in suo favore per l’attività svolta, con conseguente domanda di condanna generica e riserva della successiva determinazione del danno. Nella memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1), invece, la società opponente aveva, secondo il ricorrente, inammissibilmente modificato il petitum della domanda, invocando la necessità di recupero dei maggiori costi per la riprogettazione delle opere fondazionali, quantificando l’esborso nella somma di Euro 250.000. Si tratterebbe, quindi, di una domanda nuova, avente ad oggetto un diverso petitum e fatti costitutivi ulteriori. Per insegnamento giurisprudenziale che il ricorrente richiama, infatti, costituirebbe domanda nuova, tale da integrare una mutatio libelli, “anche la richiesta di condanna al risarcimento di un danno specificamente indicato e quantificato, rispetto all’originaria richiesta di condanna generica”.

1.1. Il motivo non è fondato.

La domanda risarcitoria fu in primo grado ritenuta inammissibile dal Tribunale sul rilievo che la parte opponente avesse proposto soltanto una domanda restitutoria di compensi pagati in eccesso, per cui la richiesta di risarcimento dei danni risultava nuova.

In realtà lo stesso odierno ricorrente, nel riportare il contenuto dell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, dimostra che in quella sede fu chiesto l’accertamento della responsabilità professionale dell’ingegnere, pur nell’impossibilità di indicare con precisione l’entità del danno lamentato e perciò “demandando ad una successiva fase processuale la sua determinazione”.

Nell’atto introduttivo, infatti, la società CMC affermò che l’ing. C. aveva indicato “nella palificazione con tiranti sotto la sede della proprietà de “(OMISSIS)” la soluzione fondazionale più opportuna” e specificò che tale indicazione aveva implicato “una riprogettazione delle opere fondazionali per la parte relativa al confine indicato; riprogettazione di cui non si conoscono ancora i costi”. Ne consegue che l’originario atto di opposizione non conteneva soltanto la domanda restitutoria, ma anche quella risarcitoria, benchè non esattamente determinata nella sua entità. Non si trattava, quindi, di una domanda generica che rimandava ad un separato giudizio l’individuazione del danno conseguenza, bensì di una domanda già proposta nell’an e tale da richiedere un accertamento specifico ai fini dell’indicazione del quantum. Si deve quindi concludere che le successive affermazioni contenute nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1), riportate alla p. 17 del ricorso odierno – quando la domanda di risarcimento dei danni fu precisata nella somma di Euro 250.000 – non costituissero una novità, bensì una specificazione consistente nella puntuale indicazione di un danno il cui risarcimento era stato già in precedenza richiesto.

Osserva il Collegio, infine, che è improprio il richiamo, contenuto nel ricorso, alla sentenza 24 giugno 2009, n. 14782, di questa Corte, nella quale si è affermato che, in presenza di una domanda generica al risarcimento dei danni proposta in primo grado, con richiesta di liquidazione in separata sede, costituisce domanda nuova quella, formulata in appello, di liquidazione del danno stesso (nello stesso senso già la sentenza 1 ottobre 1998, n. 9760); ipotesi affatto diversa da quella odierna. Ed è poi appena il caso di rilevare che ogni questione è da considerare risolta, su questo punto, dopo la sentenza 15 giugno 2015, n. 12310, delle Sezioni Unite di questa Corte.

2. Ragioni di economia processuale consigliano, a questo punto, di esaminare congiuntamente il secondo ed il quinto motivo di ricorso, modificando l’ordine delle censure proposte.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4), e dell’art. 111 Cost., comma 6, per mancanza del c.d. “minimo costituzionale” previsto con riguardo alla motivazione in relazione al punto della responsabilità professionale.

Osserva il ricorrente che la sentenza sarebbe un esempio tipico di mancanza assoluta della motivazione ovvero di motivazione soltanto apparente o comunque incomprensibile, perchè essa non permetterebbe in alcun modo di comprendere per quali ragioni si sia ritenuta sussistente la responsabilità professionale del ricorrente. La sentenza, limitandosi a richiamare il contenuto della c.t.u., ha affermato che tale responsabilità sussisteva senza consentire di comprenderne il perchè. In particolare, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, richiamando la relazione del c.t.u, abbia fondato la responsabilità professionale in relazione alla scelta di collocare i tiranti al di sotto della proprietà del “(OMISSIS)” (senza averne conseguito il consenso); non considerando, invece, che proprio il c.t.u. aveva fondato quella responsabilità sull’omessa vigilanza in ordine all’attività di altri professionisti, cioè su di un titolo del tutto diverso.

4. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ipotizzato in capo al ricorrente profili di responsabilità professionale mai dedotti e basati su fatti mai allegati.

Osserva il ricorrente che, ove si ritenesse che la sentenza impugnata abbia fondato la responsabilità professionale sull’ipotesi inedita formulata dal c.t.u., la sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione. Richiamando i rilievi contenuti nel secondo motivo, il ricorrente nota che nella relazione del c.t.u. risulta ipotizzata a carico dell’ing. C. una responsabilità per non aver tempestivamente controllato l’avvenuto ottenimento delle autorizzazioni necessarie e la coerenza tra la progettazione esecutiva e tali autorizzazioni. Si tratterebbe, secondo il ricorrente, di una responsabilità indiretta da omesso controllo sull’attività degli altri professionisti coinvolti nella vicenda; ma tale responsabilità non era stata mai invocata dalla società CMC, nè poteva esserlo in grado di appello; dagli atti di primo grado, infatti, emerge che il fondamento della responsabilità professionale era stato individuato dalla società CMC nell’errata indicazione dei tiranti senza aver ottenuto l’autorizzazione da parte della proprietà del quotidiano “(OMISSIS)”. In altri termini, la Corte d’appello avrebbe sostituito di sua iniziativa alla responsabilità diretta per non avere acquisito il consenso dei confinanti una responsabilità indiretta per omesso controllo sull’attività di altri.

5. I due motivi ora riportati devono essere trattati congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione tra loro esistente e sono entrambi fondati, sotto tutti i profili proposti.

5.1. Alla luce di quanto si è detto a proposito del primo motivo, è pacifico che la domanda risarcitoria avanzata dalla società CMC nei confronti dell’ing. C. era fondata su un’ipotesi di responsabilità diretta; l’odierno ricorrente, cioè, avrebbe indicato una soluzione tecnicamente non corretta (tiranti sotto la proprietà del quotidiano “(OMISSIS)”), costringendo in tal modo la committente a sostenere una serie di spese aggiuntive non previste (per la “riprogettazione delle opere fondazionali”).

La sentenza impugnata (pp. 10-11) ha in apparenza rispettato il principio della domanda, perchè ha indicato la fonte della responsabilità risarcitoria nella non idoneità della soluzione tecnica proposta (“tiranti”).

In realtà, però, il lamentato vizio di ultrapetizione sussiste.

La Corte triestina, infatti, nel ritenere fondata la domanda risarcitoria, si è appoggiata integralmente alla relazione del c.t.u., senza alcuna argomentazione propria. Il c.t.u., come risulta dallo stralcio della relazione riportata a sostegno dei due motivi di ricorso in esame (v. p. 21 e pp. 3031 del ricorso odierno), ha individuato a carico dell’ing. C. una responsabilità essenzialmente omissiva, di carattere indiretto. Le ragioni del positivo riconoscimento della sua responsabilità sono state individuate nel fatto che “al medesimo spettasse un tempestivo controllo dell’avvenuto ottenimento delle autorizzazioni necessarie e della coerenza tra la progettazione esecutiva e tali autorizzazioni”; all’ing. C. spettava, secondo la ricostruzione operata dal c.t.u., “controllare che fossero state presentate le necessarie richieste di autorizzazione prima della redazione del progetto strutturale e, nel caso, il compito di sollecitare il direttore dei lavori o il committente a presentarle”.

Ritiene la Corte, pertanto, che sia fondata la doglianza del ricorrente, ribadita sia nel secondo che nel quinto motivo, secondo cui la Corte d’appello ha finito con l’individuare a carico dell’ing. C. un titolo di responsabilità che non era stato posto a fondamento della domanda; il che comporta la sussistenza del lamentato vizio di ultrapetizione.

Occorre aggiungere, ad abundantiam, che il secondo motivo di ricorso è fondato anche nella parte in cui lamenta la nullità della sentenza per mancanza del c.d. minimo costituzionale della motivazione. Infatti, pur essendo indubbio che la non corrispondenza tra le affermazioni del c.t.u. e la motivazione della sentenza in ordine alla sussistenza della responsabilità rimane estranea al parametro dell’art. 132 c.p.c., n. 4), è altrettanto vero che la Corte d’appello ha fornito una motivazione che non può ritenersi tale. La sentenza si è limitata a dire che la responsabilità del professionista derivava dalle conclusioni del c.t.u. peraltro erroneamente intese, come si è appena visto – senza alcuna spiegazione e deduzione propria; e anche la liquidazione del presunto danno è stata ripresa dalla c.t.u. senza consentire in alcun modo a questa Corte di verificare il percorso logico seguito. Ricorre pertanto la situazione già delineata dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 3 novembre 2016, n. 22232, ove si censura la motivazione recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.

6. L’accoglimento dei motivi secondo e quinto comporta la cassazione della sentenza impugnata, con assorbimento degli ulteriori motivi sui quali questa Corte non ha necessità di pronunciarsi.

Ricorso incidentale.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., lamentando violazione delle regole sull’onere della prova.

8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre ad omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Osserva la società ricorrente, le cui censure sono riassumibili in via congiunta, che il ricorso incidentale contesta la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha confermato la sentenza di primo grado in relazione al compenso di Euro 148.489,50 spettante all’ing. C. per l’attività svolta come consulente tecnico interno. Secondo la CMC, la Corte d’appello, limitandosi su questo punto a riconoscere la correttezza della decisione del Tribunale, avrebbe erroneamente ritenuto dimostrata l’effettuazione, da parte del professionista, di una serie di attività; ma in tal modo la sentenza avrebbe finito col porre l’onere della prova a carico di una parte diversa da quella che ne era effettivamente gravata. L’affermazione per cui non era stata accertata responsabilità professionale dell’ing. C. sarebbe, secondo la società ricorrente, insufficiente a fondare il diritto al compenso nella misura fissata in sentenza.

9. I due motivi di ricorso incidentale, da trattare congiuntamente in considerazione della loro stretta connessione, sono entrambi inammissibili.

Anche volendo tralasciare i rilievi contenuti nel controricorso al ricorso incidentale – nel quale si fa notare come la sussistenza di una doppia pronuncia conforme sul punto renda inammissibile il ricorso per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (art. 348-ter c.p.c., comma 4) – è decisiva la circostanza per cui i motivi di ricorso in esame sono generici, privi di puntuali contestazioni e finalizzati ad un evidente riesame del merito. Neppure è ipotizzabile la violazione delle regole sull’onere della prova (primo motivo), posto che l’impugnata sentenza, richiamando la motivazione resa dal Tribunale, ha illustrato le ragioni per le quali ha escluso ogni responsabilità dell’ing. C. nello svolgimento della sua attività di consulente tecnico interno ed ha ritenuto congruo il compenso di Euro 148.489,50, in considerazione della complessità ed articolazione delle sue prestazioni professionali.

10. In conclusione, è rigettato il primo motivo del ricorso principale, sono accolti i motivi secondo e quinto, con assorbimento degli altri, mentre il ricorso incidentale è dichiarato inammissibile.

La sentenza impugnata è cassata in relazione e il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione personale, la quale deciderà il merito dell’appello alla luce delle indicazioni della presente sentenza.

Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese dell’odierno giudizio di cassazione.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della società ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie i motivi secondo e quinto, con assorbimento degli altri, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 14 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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