Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25863 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 04/10/2017, dep.31/10/2017),  n. 25863

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto dalla Mar-Vi s.a.s. avverso la sentenza del Tribunale di Treviso con cui l’appellante era stata condannata a pagare alla A-Leasing s.p.a. la somma di Euro 16.237,57, a titolo di penale per la risoluzione, imputabile ad inadempimento dell’utilizzatrice, del contratto di leasing finanziario con cui la A-Leasing s.p.a. aveva concesso alla Marvi s.a.s. l’utilizzazione di una autovettura.

Per quel che ancora interessa, la Corte territoriale ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:

– il giudice di primo grado aveva condannato l’utilizzatrice inadempiente al pagamento della predetta somma di Euro 16.237,57, dopo aver revocato il decreto ingiuntivo precedentemente ottenuto dalla concedente per la maggior somma di Euro 17.970,05, pari alla differenza tra l’ammontare dei canoni mensili a scadere sino alla conclusione pattuita del rapporto (Euro 38.970,05) e il valore stimato dell’autovettura, restituita in seguito alla risoluzione anticipata dello stesso (Euro 21.000);

– la riduzione dell’importo era stata operata dal primo giudice, in conformità alle conclusioni formulate dalla stessa A-Leasing s.p.a, in regione della circostanza che, nelle more del giudizio, quest’ultima aveva venduto l’autovettura al prezzo di Euro 24.250,00;

– il primo giudice aveva quindi determinato la somma dovuta facendo corretta applicazione dell’art. 14 delle condizioni generali del contratto di leasing, che prevedeva, per il caso di risoluzione, l’obbligo dell’utilizzatore di versare al concedente, a titolo di penale, tutti gli importi maturati a suo carico a qualsiasi titolo fino alla data di risoluzione, nonchè tutti gli importi contrattualmente previsti a suo carico fino alla data di scadenza originaria del contratto, salvo il diritto di ricevere dal concedente l’eventuale ricavo della vendita o del reimpiego in leasing del bene;

– la penale prevista dalla predetta clausola contrattuale, infatti, non era eccessiva e non sussistevano quindi i presupposti per la sua riduzione ex art. 1384 c.c., dovendosi avere riguardo, a tal fine, non già alla situazione economica del debitore ma soltanto all’eventuale squilibrio tra le posizioni delle parti;

– doveva invece attribuirsi rilievo, in senso contrario, alla circostanza che la vendita era stata effettuata dalla concedente a prezzo congruo e che l’utilizzatrice, ricevutane notizia, nulla aveva eccepito sul prezzo medesimo;

– altrettanto correttamente, infine, il primo giudice aveva condannato l’utilizzatrice al pagamento degli interessi moratori convenzionali (compresi nella predetta somma di Euro 16.237,57), in conformità alla richiesta formulata dalla concedente nella comparsa di risposta con cui si era costituita nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, atteso che tale richiesta, sebbene non già formulata con la domanda proposta in sede monitoria, integrava una consentita emendatio della domanda medesima.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia, la Mar-Vi s.a.s. propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. Risponde con controricorso la A-Leasing s.p.a.

Il pubblico ministero ha presentato conclusioni scritte con cui ha invocato il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 2697 c.c.), la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver confermato la decisione del primo giudice che aveva determinato la penale da essa dovuta basandosi sulla stima del valore di mercato dell’autovettura fatta eseguire dalla A-Leasing s.p.a. dopo averla ricevuta in restituzione. Deduce che il valore di Euro 21.000, attribuito al bene a seguito di tale accertamento tecnico di parte, era ingiustificatamente basso avuto riguardo alla circostanza che la concedente aveva acquistato l’autovettura soltanto 11 mesi prima per il prezzo di Euro 46.299. Sostiene che non avrebbe potuto ipotizzarsi un deprezzamento del bene superiore al 60% nel volgere di pochi mesi. Asserisce che la stima di parte costituiva un mero argomento di prova che il giudice avrebbe potuto porre a fondamento della sua decisione soltanto fornendo un’adeguata motivazione, nella specie mancante. Si duole quindi che il giudice del merito non abbia accolto la sua richiesta di disporre una consulenza tecnica d’ufficio di carattere estimativo.

2. Con il secondo motivo, la Mar-Vi s.a.s. – senza denunciare un vizio della sentenza impugnata riconducibile ad una delle fattispecie contemplate dall’art. 360 c.p.c. – si duole dell’errata valutazione, da parte della Corte territoriale, del contegno posto in essere dal suo legale rappresentante, il quale, nel momento in cui aveva ricevuto dalla A-Leasing s.p.a. la notizia della vendita dell’autovettura, nulla aveva osservato in ordine alla congruità del prezzo. Deduce che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del merito, il silenzio serbato in tale occasione non poteva essere interpretato come “non contestazione”, in considerazione del fatto che essa non aveva alcuna facoltà di intervenire nella vendita, nonchè della circostanza che la contestazione sulla congruità del prezzo era stata invece tempestivamente formulata nell’atto di citazione con cui era stata proposta opposizione al decreto ingiuntivo.

2.1. Gli illustrati motivi, che vanno congiuntamente esaminati per evidenti ragione di connessione, sono inammissibili.

In primo luogo, le doglianze formulate con il primo motivo difettano di specificità in relazione al tenore della decisione impugnata, atteso che essa ha confermato la decisione del primo giudice che, in applicazione dell’art. 14 delle condizioni generali del contratto di leasing stipulato tra le parti, aveva determinato la penale dovuta dall’utilizzatrice inadempiente sottraendo dall’ammontare dei canoni a scadere sino alla conclusione originaria del rapporto (Euro 38.970,05) l’importo equivalente al ricavato della vendita dell’autovettura (Euro 24.250), e non il minor importo equivalente al valore di mercato stimato mediante la consulenza estimativa di parte compiuta per conto della concedente (Euro 21.000). Anzi, proprio in ragione della ritenuta necessità di sostituire il primo importo al secondo, era stato revocato il decreto con cui era stato ingiunto alla Mar-Vi s.a.s di pagare la somma di Euro 17.970,05 ed era stata emessa la sentenza con cui la società era stata condannata al pagamento della minor somma di Euro 16.237,57.

La censura con cui si rimprovera al giudice del merito di avere basato la sua decisione sull’accertamento tecnico di parte appare dunque priva di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata e, come tale, va ritenuta inammissibile, non rientrando nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. 03/08/2007, n. 17125; Cass. 18/02/2011, n. 4036; Cass. 31/08/2015, n. 17330).

2.2. In secondo luogo le doglianze poste a fondamento del secondo motivo sono state formulate senza la prefigurazione di vizi della pronuncia di merito sussumibili in una delle fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c.. Anche queste doglianze sono dunque inammissibili (art. 366 c.p.c., n. 4; art. 375 c.p.c., n. 1), atteso che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, i quali assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito ed esigono una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c. (tra le altre, Cass. 22/09/2014, n. 19959).

2.3. In terzo luogo, infine, tanto le doglianze proposte con il primo motivo (nel censurare la valutazione asseritamente operata dal giudice del merito della consulenza estimativa di parte e l’implicito rigetto della richiesta di consulenza estimativa d’ufficio) quanto quelle formulate con il secondo motivo (nel censurare il significato asseritamente attribuito dal medesimo giudice alla mancata immediata contestazione del prezzo della vendita da parte della Mar-Vi s.a.s.) attengono a profili di fatto.

Con esse, infatti, si chiede una nuova e diversa valutazione di circostanze fattuali e di elementi istruttori al fine di suscitare dalla Corte di legittimità, sui predetti punti, un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello motivatamente formulato dalla Corte territoriale.

Ne discende l’inammissibilità degli esaminati motivi di ricorso.

3. Con il terzo motivo (violazione dell’art. 1384 c.c.), la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver reputato insussistenti i presupposti richiesti dalla legge ai fini della officiosa riduzione della penale.

Afferma che, al contrario, la manifesta eccessività della penale contrattualmente stabilita avrebbe dovuto desumersi dalla circostanza che l’art. 14 delle condizioni generali del contratto di leasing ne determinava l’ammontare sulla base della differenza tra quanto complessivamente dovuto al concedente e quanto egli avesse ricavato dalla vendita del bene, con ciò consentendogli di porre in essere, al di fuori dei casi di cui all’art. 1515 c.c., una vera e propria vendita in danno dell’utilizzatore, tenuto a sopportare per intero i rischi del cattivo affare eventualmente concluso dalla controparte.

3.1. Il motivo è infondato, in quanto non sussistono i dedotti presupposti giustificativi del potere giudiziale di riduzione della penale manifestamente eccessiva, pur dovendosi correggere, ex art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione resa dalla Corte di merito su tale specifico punto.

Deve premettersi che nel caso di specie si versava in ipotesi di leasing finanziario, di talchè non trovava applicazione il disposto dell’art. 1526 c.c., comma 1 – dettato in tema di vendita con riserva di proprietà ma analogicamente applicabile in tema di leasing traslativo – circa l’obbligo del concedente di restituire i canoni già riscossi (cfr., sul punto specifico, Cass. 29/04/2015, n. 8687).

3.2. Deve inoltre ricordarsi che questa Corte ha ripetutamente affermato che l’art. 1384 c.c., applicabile anche alla locazione finanziaria, nel prevedere il potere del giudice di ridurre la penale, determinata nei canoni ancora da pagare, per l’ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore, non impone una rigida correlazione all’entità del danno subito dal concedente (posto che non si tratta di risarcire un danno, bensì di diminuirne l’entità convenzionalmente stabilita) ma impone di condurre la valutazione sul piano dell’equilibrio delle prestazioni con riferimento al margine di guadagno che il concedente si riprometteva di trarre dall’esecuzione del contratto (Cass. 23/03/2001, n. 4208; Cass. 02/03/2007, n. 4969).

3.3. Deve infine evidenziarsi che la Convenzione di Ottawa sul leasing finanziario internazionale 28 maggio 1988, recepita nell’ordinamento italiano con L. 14 luglio 1993, n. 259 (le cui regole, sebbene non immediatamente applicabili nella presente controversia, costituiscono tuttavia un indice interpretativo per la ricostruzione della disciplina dell’inadempimento dell’utilizzatore: Cass. 16/11/2007, n. 23794), prevede che il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto e che la pattuizione della penale è valida solo se non comporti un risarcimento eccessivo in rapporto al predetto danno (cfr., sebbene con riguardo alla diversa fattispecie del leasing traslativo, Cass. 17/01/2014, n. 888, la quale richiama l’art. 13, p. 2, lett. b, e p. 3, lett. b, della citata convenzione internazionale).

3.4. Alla luce di tali osservazioni può concludersi che, al fine di verificare la manifesta eccessività della penale pattiziamente stabilita dalle parti, il giudice deve valutare se la clausola contrattuale attribuisca al concedente vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, ciò che nel leasing finanziario non si verifica per il solo effetto del cumulo tra il diritto ai canoni spettanti sino alla scadenza originaria del contratto e il diritto alla restituzione del bene (specie se tale cumulo sia temperato, come nel caso di specie, dall’attribuzione all’utilizzatore inadempiente del diritto ad ottenere il ricavato della vendita del bene medesimo), atteso che la predetta restituzione, a differenza di quanto accade nel leasing traslativo, è un effetto naturale della scadenza medesima, salva la possibilità dell’utilizzatore di riscattare il bene verso il pagamento di un prezzo ulteriore.

Ne discende l’infondatezza del motivo di ricorso in esame.

4. Con il quarto motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c.) la Mar-Vi s.a.s. censura la sentenza impugnata per aver confermato la decisione del primo giudice nella parte in cui l’aveva condannata alla corresponsione degli interessi moratori convenzionali, sebbene gli stessi non fossero stati richiesti dalla creditrice nell’originario ricorso per decreto ingiuntivo, ma soltanto nella comparsa di risposta con cui essa si era costituita nel giudizio di opposizione. Sostiene che, pertanto, la domanda avente ad oggetto i predetti interessi avrebbe dovuto ritenersi inammissibile in quanto domanda “nuova”.

4.1. Anche questo motivo è infondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la richiesta ulteriore di pagamento degli interessi convenzionali relativi al credito dedotto in sede monitoria, formulata dall’opposto in comparsa di risposta, non implica modifica della domanda originaria, così come non integra (a maggior ragione) gli estremi di una domanda riconvenzionale, ma costituisce una mera emendatio libelli, siccome comportante un mero ampliamento del petitum al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (Cass. 08/01/2010, n. 75; Cass. 08/07/2010, n. 16155).

Di tale principio ha fatto corretta applicazione la Corte di merito, la quale ha confermato il giudizio di ammissibilità della richiesta avente ad oggetto gli interessi moratori (richiesta poi accolta nel merito) proprio sul presupposto che la sua proposizione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo integrasse una consentita emendatio della domanda proposta dalla A-Leasing s.p.a. in sede monitoria.

In definitiva, il ricorso proposto da Mar-Vi s.a.s deve essere rigettato.

5. Le spese del giudizio legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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