Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25863 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. III, 16/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 16/11/2020), n.25863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18220-2018 proposto da:

ITALFONDIARIO S.P.A., in qualità di procuratore di VERBANIA

SECURITISATION S.R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

VILLA GRAZIOLI 15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato WALTER UMBERTO LIACI;

– ricorrente –

contro

G.A., e A.P., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE ANICIO GALLO 56, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO DE

LUCIA, rappresentati e difesi dall’avvocato SALVATORE ABATE;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

G.G., e G.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1283/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 25 novembre 2010 l’Italfondiario s.p.a., in qualità di procuratore del Banco di Napoli s.p.a., convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Maglie, G.A., A.P., S. e G.G., chiedendo che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto del 6 settembre 2009 con il quale G.A. e A.P. avevano venduto agli altri due convenuti la nuda proprietà di un immobile sito a (OMISSIS).

A sostegno della domanda espose che il Banco di Napoli, suo dante causa, aveva concesso apertura di credito in favore della società (OMISSIS) e che G.A. e A.P. si erano costituiti fideiussori per i debiti sociali fino alla concorrenza di Euro 900.000 ciascuno; aggiunse che l’atto dispositivo pregiudicava le ragioni del suo credito, posto che non vi erano altri beni a garanzia dei debiti esistenti.

Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale accolse la domanda, dichiarò inefficace, nei confronti dell’attore, l’atto suindicato e condannò i convenuti al pagamento delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dai soli G.A. e A.P. e la Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 12 dicembre 2017, ha accolto il gravame e, in riforma della pronuncia del Tribunale, ha rigettato la domanda di revocatoria proposta ed ha compensato integralmente tra le parti le spese del doppio grado.

Dopo aver dichiarato la contumacia di G. e G.S., la Corte territoriale ha osservato, per quanto di interesse in questa sede, che le parti erano state autorizzate a depositare in sede di appello tre sentenze: la n. 131 del 2013 del Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Maglie, e la n. 768 del 2016 della Corte d’appello di Lecce, relative al medesimo giudizio, con le quali il Banco di Napoli era stato condannato a pagare alla Curatela del fallimento della società (OMISSIS) la somma di Euro 191.991,95; nonchè la sentenza n. 335 del 2009 del Tribunale di Lecce, che aveva invece riconosciuto un credito della Banca appellata pari ad Euro 55.050,89. Tanto premesso, la Corte ha rilevato che, mentre la produzione delle prime due pronunce era ammissibile anche in grado di appello, poichè si trattava di sentenze sopravvenute rispetto al giudizio di primo grado, viceversa la produzione della sentenza n. 335 del 2009 era inammissibile, in quanto tale decisione era preesistente rispetto alla definizione del giudizio di primo grado. Il giudizio terminato con la sentenza n. 768 del 2016 della medesima Corte d’appello (passata in giudicato) aveva ad oggetto la riduzione degli interessi anatocistici pretesi dalla Banca nei confronti della società (OMISSIS), in relazione ad un certo conto corrente; mentre la sentenza n. 355 del 2009 aveva ad oggetto un diverso conto corrente.

Fatta detta premessa, la Corte salentina ha osservato che, alla luce delle suindicate pronunce, risultava che la Curatela della società (OMISSIS) era creditrice della somma di Euro 191.991,95 nei confronti della Banca, benchè sulla base di un diverso rapporto di conto corrente; ne conseguiva che, “anche a voler tener conto della sentenza n. 355 del 2009 del Tribunale di Maglie, i due diversi rapporti di dare avere si elidono”, con il risultato finale per cui la Curatela del fallimento risultava creditrice, e non debitrice, della s.p.a. Italfondiario.

Poichè, per pacifico e costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’esistenza di un credito costituisce requisito indispensabile per l’accoglimento della domanda di revocatoria, la medesima doveva, nella specie, essere respinta, con compensazione integrale delle spese a causa della sopravvenienza dei nuovi elementi di giudizio solo in grado di appello.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce propone ricorso l’Italfondiario s.p.a. con atto affidato a tre motivi.

Resistono G.A. e A.P. con un unico controricorso contenente anche un motivo di ricorso incidentale.

La società ricorrente ha depositato memoria.

S. e G.G. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre innanzitutto rilevare che il controricorso contiene un’eccezione di inammissibilità del ricorso, cui la parte ricorrente ha risposto nella memoria, per il fatto che l’Italfondiario avrebbe promosso il giudizio non nella qualità di procuratore del Banco di Napoli e della Banca Intesa San Paolo s.p.a., quanto in quella, del tutto nuova, di procuratore della Verbania securitisation s.r.l., soggetto estraneo al giudizio.

1.1. Tale eccezione è infondata alla luce di quanto questa Corte ha già affermato nell’ordinanza 13 giugno 2019, n. 15884, correttamente richiamata nella memoria della parte ricorrente.

E’ stato detto in quella pronuncia che “in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58 è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorchè gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione”.

Nel caso odierno l’Italfondiario s.p.a. ha premesso nel ricorso, ed ha poi ulteriormente specificato in memoria, che la Verbania securitisation aveva acquistato dal Banco di Napoli e da Intesa San Paolo s.p.a. la titolarità pro soluto di un portafoglio di crediti, dandone notizia a mezzo pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, parte seconda, n. 146, del 12 dicembre 2017 e sulla medesima, parte seconda, n. 1, del 2 gennaio 2018. Ne consegue che l’Italfondiario ben poteva proporre l’odierno ricorso e che la ragione di inammissibilità non sussiste.

2. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 e dell’art. 345 c.p.c..

La parte ricorrente – dopo aver ricordato i caratteri dell’azione revocatoria e la nozione ampia di credito a tutela del quale detta azione è esperibile – rileva che i documenti prodotti in primo grado costituivano prova dell’esistenza del credito vantato, mentre la produzione della sentenza della Corte d’appello ammessa nel giudizio di secondo grado avrebbe dovuto essere considerata tardiva. Poichè nel giudizio di appello, a norma dell’art. 345 cit., non possono essere proposte domande nuove, la sentenza impugnata avrebbe violato tale disposizione, consentendo di formulare l’eccezione di compensazione solo in grado di appello e consentendo la produzione di sentenze sopravvenute rispetto al giudizio di primo grado ed aventi ad oggetto “altri e diversi rapporti bancari intercorsi tra le parti”. Nel costituirsi in primo grado, rileva la società Italfondiario, i convenuti G. avevano eccepito l’infondatezza della domanda di revocatoria unicamente per carenza di pregiudizio delle ragioni del credito, ma non avevano eccepito alcunchè in ordine all’entità del credito, questione posta solamente nel giudizio di appello.

3. Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 101 e 345 c.p.c..

Osserva la parte ricorrente che la sentenza impugnata, consentendo la produzione in appello di sentenze relative a diversi rapporti tra le parti, sopravvenute rispetto al giudizio di primo grado, avrebbe indebitamente permesso l’ampliamento del petitum e della causa petendi, posto che nel diverso giudizio si discuteva di abbattimento di interessi anatocistici. Consentire la produzione delle sentenze relative ad altri giudizi solo ad una delle parti in causa, e non ad entrambe, avrebbe poi violato le regole costituzionali e processuali sulla parità delle parti nel processo.

4. Il primo ed il secondo motivo, benchè non in tutto coincidenti, sono da trattare insieme in considerazione della stretta connessione che li unisce.

Essi sono inammissibili per certi profili ed infondati per altri.

4.1. Rileva innanzitutto la Corte che le censure ivi proposte sembrano, da un certo punto di vista, non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha ammesso la produzione di due sentenze e non della terza per il semplice fatto che la terza era antecedente al giudizio di primo grado ed avrebbe quindi potuto e dovuto essere prodotta in prime cure; mentre le prime due potevano essere prodotte in appello in quanto sopravvenute rispetto al giudizio di primo grado. La Corte d’appello, infatti, ha chiarito che il giudizio di primo grado era stato intrapreso con citazione del 25 novembre 2010 e si era concluso con la sentenza del 22 ottobre 2013, essendo state precisate le conclusioni all’udienza del 12 giugno 2013. Rispetto a tale cronologia, la sentenza n. 131 del 2013 del Tribunale di Lecce (depositata il 22 luglio 2013) e quella n. 768 del 2016 della Corte d’appello di Lecce erano da considerare successive e comunque non producibili nel giudizio di primo grado; e la sentenza n. 768 del 2016 era passata in giudicato.

Rispetto a queste (corrette) argomentazioni della Corte salentina, i due motivi si rivelano inammissibili nella parte in cui contestano la tardività di quelle produzioni (v. soprattutto il primo motivo di ricorso).

4.2. I motivi in esame, però, contestano alla sentenza d’appello che essa, consentendo la produzione in appello delle due sentenze sopravvenute, avrebbe permesso, in sostanza, di eccepire la compensazione anche in grado di appello, in tal modo ampliando il petitum e la causa petendi della controversia, tanto più che le sentenze suindicate attenevano a diversi rapporti di conto corrente.

La società ricorrente ha richiamato a sostegno della propria tesi la sentenza 24 novembre 2004, n. 22133, di questa Corte, secondo cui non costituisce eccezione nuova, inammissibile in appello, la compensazione giudiziale prospettata già in primo grado con riferimento a credito in corso di accertamento in diverso giudizio pendente fra le stesse parti, qualora la parte specifichi in appello che in detto secondo giudizio il credito è stato definitivamente accertato con l’efficacia di giudicato. Ed ha aggiunto che l’eccezione di compensazione non era stata sollevata in primo grado, nel quale i convenuti si erano lamentati solo della carenza di pregiudizio alle ragioni del credito.

4.3. Osserva la Corte che le censure così poste sono prive di fondamento.

La citata sentenza n. 22133 del 2004 ha chiarito, interpretando l’art. 1243 c.c., comma 2, che “la compensazione giudiziale, presupponendo, innanzitutto, l’accertamento del controcredito da parte del giudice, non demanda necessariamente detto accertamento al giudice dinanzi al quale la compensazione medesima è fatta valere, sicchè la relativa indagine non è da escludere che possa dipendere anche dall’esito di un separato giudizio, già in corso al momento in cui la compensazione giudiziale venga eccepita”, sempre che, ovviamente, si tratti di un credito accertato con sentenza ormai irrevocabile.

Più di recente, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 15 novembre 2016, n. 23225, hanno confermato che la compensazione giudiziale “di cui all’art. 1243 c.c., comma 2, presuppone l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la medesima compensazione è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo” (principio, questo, affermato anche nelle sentenze 29 gennaio 2015, n. 1695, e 14 febbraio 2019, n. 4313).

Ne consegue che gli originari convenuti ben potevano opporre in compensazione il controcredito maturato nel (diverso) giudizio conclusosi con la citata sentenza n. 768 del 2016 della Corte d’appello di Lecce, trattandosi di sentenza passata in giudicato. Deve essere poi osservato, ai fini della tempestività, che la compensazione non poteva essere utilmente eccepita nel giudizio di primo grado, mancandone i necessari presupposti di fatto e di diritto (v. pure la sentenza 5 luglio 2019, n. 18219); ragione per cui la questione della compensazione non costituiva un indebito ampliamento del thema decidendum sul quale l’odierna ricorrente non abbia potuto esercitare le sue prerogative difensive. E’ evidente, d’altra parte, che il controcredito opposto in compensazione non era finalizzato ad ottenere una condanna dell’Italfondiario s.p.a. al pagamento della differenza, bensì soltanto a dimostrare l’insussistenza del presupposto fondamentale per l’esercizio dell’azione revocatoria.

5. Con il terzo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Osserva l’Istituto di credito di aver agito fin dal primo grado in relazione allo scoperto del conto corrente n. (OMISSIS) e per operazioni di anticipo su fatture per complessivi Euro 440. Oltre a ciò, il ricorrente ricorda di aver prodotto in primo grado note autorizzate dalle quali risultava che in sede di verificazione del passivo del fallimento della società (OMISSIS) la Banca era stata ammessa per due crediti, l’uno di Euro 55.050,89 quale saldo finale del conto corrente suindicato e l’altro per la somma di Euro 167.142,53, quale saldo finale del conto anticipi. Se la Corte d’appello avesse tenuto conto di tali documenti, avrebbe riconosciuto l’esistenza del credito e, per tale ragione, avrebbe dovuto ritenere ammissibile la domanda di revocatoria proposta.

5.1. Il motivo è inammissibile per una serie di concorrenti ragioni.

In primo luogo, perchè il mancato esame di uno o più documenti o prove non costituisce di per sè idoneo fondamento per la censura di vizio di omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). In secondo luogo, perchè la censura è formulata con una tecnica non rispettosa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6); ed infine, e soprattutto, perchè tende chiaramente a sollecitare questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito.

6. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., contestando la decisione di compensazione delle spese disposta dalla Corte d’appello.

Osservano i ricorrenti che non sarebbe corretto il richiamo ai fatti sopravvenuti nel corso del giudizio, perchè la sussistenza di un credito dei coniugi G. e A. era nota nel momento in cui è stato proposto il giudizio di secondo grado, per cui non vi sarebbe alcuna ragione di compensazione delle spese di lite.

6.1. Il motivo non è fondato.

Non è esatto, al riguardo, ciò che i ricorrenti osservano e cioè che l’inesistenza del credito fideiussorio fosse “già nota alle parti al momento della proposizione del gravame da parte dei sigg. G. e A. (19 aprile 2014), essendo gli stessi consacrati nella sentenza del Tribunale di Lecce n. 131 del 22 luglio 2013”. Tale sentenza, infatti, era pacificamente sub iudice nel momento di proposizione dell’appello, tant’è che la Corte d’appello si pronunciò sul gravame nel 2016; e comunque, l’esito alterno dei due giudizi di merito, unito alla particolarità della vicenda, dà conto della correttezza delle ragioni di compensazione delle spese.

7. In conclusione, sono rigettati il ricorso principale e quello incidentale.

In considerazione della reciproca soccombenza, vanno integralmente compensate le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono peraltro le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

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