Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25863 del 14/10/2019
Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 14/10/2019), n.25863
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 30886/2018 r.g. proposto da:
M.R., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta
procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Carlo
Barotti e Arturo Salerni, con cui elettivamente domicilia in Roma,
Via Alberigo II n. 4, presso lo studio dell’Avvocato Salerni.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del legale rappresentante pro
tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex lege,
dall’Avvocatura Generale dello Stato;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, depositata in
data 19.4.2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
26/9/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
Fatto
RILEVATO
che:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia, decidendo sull’appello proposto da M.R., cittadino del BANGLADESH, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Venezia (con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente) – ha respinto il gravame, confermando, pertanto, il provvedimento impugnato.
La corte del merito ha ritenuto non sussistenti le condizioni per il riconoscimento della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, posto che non era emerso che il ricorrente potesse essere esposto alle conseguenze di una condanna, a tortura o a trattamento disumano, e ciò anche in ragione della circostanza raccontata dallo stesso richiedente e secondo la quale, nonostante la denuncia presentata dal padre della moglie del richiedente, la polizia non era comunque intervenuta in ragione della maggiore età della donna; ha, inoltre, ritenuto generica la indicazione di altre fonti informative qualificate dirette a smentire la valutazione circa la non pericolosità interna dello stato di provenienza, valutazione che dunque veniva confermata anche in appello, con il richiamo anche ad altre e qualificate fonti informative. La corte territoriale ha infine ritenuto non fondata la richiesta protezione umanitaria, giacchè il racconto in ordine alle ragioni (collegate ad una faida familiare per il matrimonio non accettato dalla famiglia della moglie) – non era comunque credibile e perchè generico doveva ritenersi il riferimento alle condizioni di privazione dei diritti umani in Libia e non rilevanti le allegate condizioni di inserimento sociale in Italia.
2. La sentenza, pubblicata il 19.4.2018, è stata impugnata da M.R. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 – si duole del mancato riconoscimento della reclamata protezione sussidiaria in relazione alla mancata valutazione dell’intensificarsi del fenomeno terroristico in Bangladesh collegato ai noti gruppi di al-Queda e dell’Isis, oltre che ad altri gruppi terroristici, sempre di matrice islamista, di provenienza locale.
2. Con il secondo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19. Osserva la parte ricorrente che le ragioni poste alla base della decisione di espatriare dovevano essere ricondotte alla sua condizione di povertà e di difficoltà personale legate alla balbuzie e che non era stato adeguatamente valutato il suo livello di inserimento sociale in Italia che, tramite il lavoro svolto, comportava benefici per la fiscalità e la contribuzione versata nelle casse dell’Erario. Osserva ancora il ricorrente che una valutazione complessiva della sua situazione soggettiva, considerata nel contesto di vita del Bangladesh, delle difficoltà incontrate in Libia e del suo inserimento sociale in Italia avrebbe imposto il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1 Già il primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
La parte ricorrente pretenderebbe una nuova rivisitazione da parte della Corte di legittimità del merito della decisione già adottata dai giudici delle precedenti fasi processuali (e peraltro adeguatamente argomentata), attraverso la rilettura delle fonti informative internazionali volte a verificare la situazione di conflittualità interna del Bangladesh, profilo quest’ultimo che – come detto – è stato escluso dalla corte territoriale con valutazioni in fatto, che non sono censurabili in questo giudizio di legittimità. Peraltro, le allegazioni in ordine al pericolo di infiltrazioni islamiste (anch’esse articolate in fatto) non sembrano essere state dedotte nei precedenti gradi di giudizio, in assenza di specifiche indicazioni in tal senso nel ricorso introduttivo, con ciò evidenziandosi un ulteriore ed insuperabile profilo di inammissibilità della doglianza così articolata.
3.1 Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.
Irrilevanti risultano, infatti, essere le deduzioni difensive in ordine alle condizioni di povertà del richiedente che, in assenza di ulteriori deduzioni in relazione alla condizione di effettiva vulnerabilità del richiedente, non possono comportare una valutazione diversa rispetto a quella qui impugnata in riferimento al riconoscimento dell’invocata protezione umanitaria. Per il resto, il motivo di censura si compone solo di osservazioni, peraltro genericamente formulate, volte a sollecitare un nuovo (e dunque inammissibile) scrutinio dei presupposti fattuali di applicabilità della reclamata protezione, profilo quest’ultimo per il quale si assiste invece ad una adeguata risposta argomentativa da parte della corte di merito tramite una motivazione, che non è stata neanche impugnata da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità in assenza di difese da parte dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019