Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25861 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 14/06/2016, dep.15/12/2016),  n. 25861

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20950-2013 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO 12-D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.B.S., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO

NOTARO, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

S.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4563/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

22/05/2013, depositata il 05/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI MILENA;

udito l’Avvocato ITALO CASTALDI, difensore del ricorrente, che si

riporta ai motivi.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Con atto di citazione, notificato il 29 marzo 2004, C.B.S. evocava, avanti il Tribunale di Roma, A.F., per sentirlo condannare alla immediata rimozione della canna fumaria, realizzata in appoggio esterno al fabbricato condominiale e al ripristino dello status quo ante.

Previa chiamata in causa della proprietaria del locale condotto dal convenuto, S.C., il Tribunale di Roma, con sentenza n. 4626 del 2008, accoglieva la domanda ordinando all’ A. di rimuovere la canna fumaria entro il 31 maggio 2008.

Avverso tale sentenza interponeva appello A.F., con atto notificato il 1 agosto 2008, e la Corte d’Appello di Roma, nella resistenza dell’appellata C., disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti della S. quale litisconsorte necessaria, ordine che veniva reiterato all’udienza del 25/11/2010 per non avervi provveduto alcuna delle parti. Con sentenza n. 4563 del 2013 la Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile il gravame, con compensazione delle spese di giudizio, affermando che la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di Claudia SA UVE aveva determinato l’inammissibilità dell’impugnazione ai sensi del ex art. 331 c.p.c., comma 2.

Avverso le sentenze della Corte di Appello di Roma propone ricorso per cassazione l’ A., sulla base di due motivi, cui resiste l’intimata con controricorso.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione ed errata interpretazione dell’art. 331 c.p.c. e la contraddittorietà della motivazione, assumendo di avere egli provveduto all’integrazione del contraddittorio con atto notificato il 22.12.2010, depositato in cancelleria il 25.1.2011.

Il Collegio non condivide la relazione nella parte in cui prospetta la configurabilità quale error in procedendo della doglianza formulata col ricorso e ritiene che il ricorrente avrebbe dovuto censurare l'(asserito) errore della Corte d’appello nel ritenere omessa una produzione che invece il ricorrente assume essere stata fatta regolarmente non già riconducendolo al vizio dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (che, peraltro, non può più riguardare l’omesso esame di una prova documentale: cfr. Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014) o del n. 3 della stessa norma, ma dinanzi alla medesima Corte d’appello, come errore revocatorio, contestandosi l’errore percettivo nella lettura del fascicolo di parte.

Al riguardo è opportuno premettere che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, una pronuncia è affetta da errore di fatto revocatorio, cioè rilevante ai sensi dell’art. 391 – bis c.p.c., comma 1, e art. 395 c.p.c., n. 4, quando esso: a) consista in un mero errore di percezione od in una svista materiale concernenti un “fatto” (processuale o sostanziale) e, perciò, non riguardi nè la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche nè l’attività interpretativa o valutativa (come l’apprezzamento delle risultanze processuali) compiuta dal giudice (ex plurimis, Cass. n. 3180 del 2015; Cass. n. 1731 del 2014; Cass. n. 22569 del 2013; Cass. n. 1381 del 2012; Cass. n. 16003 del 2011; Cass. n. 22171 del 2010; Cass. n. 8180 del 2009 e Cass. SS.UU. n. 7217 del 2009; Cass. n. 14267 del 2007; Cass. n. 6198 del 2005; Cass. n. 5150 del 2003); b) emerga dal contrasto tra una dichiarazione espressa (basata, come rilevato, su una mera “supposizione”, che non integra un “giudizio” e che, quindi, non si risolve in una valutazione) contenuta nella pronuncia e quanto invece risulta dagli atti interni del giudizio (“atti o documenti della causa”) (ex plurimis, Cass. n. 22171 del 2010); c) appaia oggettivamente ed immediatamente rilevabile (supposizione di un fatto la cui verità è “incontrastabilmente” esclusa; oppure ritenuta inesistenza di un fatto la cui verità è “positivamente” stabilita), tanto da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche (ex plurimis, Cass. n. 3180 del 2015; Cass. n. 7127 del 2006; Cass. n. 6511 e n. 4295 del 2005); d) riguardi un fatto decisivo (nel senso che “la decisione è fondata” sul fatto erroneamente ritenuto esistente o inesistente, tanto che, se non vi fosse stato errore, la decisione sarebbe stata diversa) (ex plurimis, Cass. n. 12962 e n. 3379 del 2012; Cass. n. 4295 del 2005); e) attenga a fatto che non abbia costituito, in giudizio, un punto controverso sul quale si sia pronunciato il giudice.

Nella specie la corte territoriale ha affermato la mancata integrazione del contraddittorio necessario e a fronte di questa precisa affermazione la doglianza del ricorrente sembra rimproverare al giudice di merito una falsa percezione della realtà, un errore che lo ha indotto a ritenere l’inesistenza di un fatto, positivamente risultante dagli atti o documenti di causa. Insomma l’esistenza di un errore revocatorio, la cui prospettazione è inammissibile con il ricorso per Cassazione.

Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la contraddittorietà della sentenza in relazione alla qualifica di contumace della terza chiamata in causa.

Va ritenuta l’inammissibilità anche del secondo mezzo dovendosi rilevare la carenza di interesse alla impugnazione da parte dell’ A. della dichiarazione di contumacia della S., non essendo soccombente in relazione alla questione, che non fa più parte in ogni caso della materia del contendere.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e l’ A. va condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 – 2 Sezione Civile, il 14 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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