Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25860 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. II, 23/09/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 23/09/2021), n.25860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22389/2016) proposto da:

C.M., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Primo

Michielan, e Luigi Manzi, ed elettivamente domiciliata presso lo

studio del secondo, in Roma, v. Confalonieri, 5;

– ricorrente –

contro

F.M., (C.F.: (OMISSIS)), T.B., (C.F.: (OMISSIS)),

e S.F., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, in

virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso,

dagli Avv.ti Alberto Borella, Piero Borella, e Fabio Lorenzoni, ed

elettivamente domiciliati presso lo studio del terzo, in Roma, via

del Viminale, n. 43;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 1843/2015

(pubblicata il 23 luglio 2015);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31 marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

lette le memorie depositate dalle difese di entrambe le parti ai

sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione del maggio 2001 i sigg. C.G., C.M. e A.G. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Treviso – sez. dist. di Montebelluna, i sigg. F.M., T.B. e S.F., assumendo: – di essere proprietari di tre distinti lotti di terreno in (OMISSIS); – che, in particolare, il fondo edificato della C.M. confinava a nord-est con un terreno indicato al mappale (OMISSIS), di proprietà degli anzidetti convenuti, su cui veniva esercitata un’azienda agricola per la coltivazione della vite e la vendita di vino; – che il fondo dell’ A.G. confinava a nord con i mappali (OMISSIS), di proprietà di F.M. e di S.F.; – che il fondo di C.G. confinava sul lato ovest con il mappale (OMISSIS) e sul lato nord con il mappale (OMISSIS); – che su quest’ultimo mappale era stata realizzata una pavimentazione in calcestruzzo senza lasciare una porzione di verde tale da consentire lo smaltimento delle acque e sulla quale erano state collocate quattro cisterne vinarie, in (asserita) violazione dell’art. 890 c.c.; – che, infine, era stata omessa la creazione di un sistema di smaltimento delle acque meteoriche e dei liquidi di discarico della predetta azienda. Tanto premesso, i citati attori chiedevano, ciascuno in relazione al fondo di sua proprietà, la condanna dei convenuti alla rimozione o all’arretramento delle opere abusive, alla predisposizione di un sistema di smaltimento delle acque meteoriche o derivanti dall’attività produttiva ed al risarcimento dei danni, oltre all’inibizione a produrre rumori ed odori che superavano i limiti della normale tollerabilità.

Nella costituzione dei convenuti, Vada Tribunale, con sentenza n. 146/2007 condannava i convenuti al pagamento in favore della sola C.M. della somma di Euro 16.500,00, a titolo di risarcimento danni, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, rigettando ogni altra domanda e regolando le complessive spese giudiziali.

2. Decidendo sull’appello formulato in via esclusiva dalla citata C.M., cui resistevano gli appellati (i quali formulavano, a loro volta, appello incidentale con riferimento alla condanna disposta a loro carico in favore dell’appellante principale), la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 1843/2015 (pubblicata il 23 luglio 2015), respingeva il gravame proposto in via principale ed accoglieva quello incidentale, rigettando, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, la domanda risarcitoria proposta in primo grado dalla medesima C.M., la quale veniva condannata al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, oltre che di quelle occorse per l’espletamento delle c.t.u..

A fondamento dell’adottata decisione, la Corte veneta rilevava, innanzitutto, che la deduzione sulla violazione della normativa antisismica non faceva parte della “causa petendi” della domanda, non essendo nemmeno stata prospettata nell’atto di appello in cui si era fatto riferimento alle conclusioni precisate in primo grado. Di seguito il giudice di appello ravvisava l’infondatezza di tutti gli altri motivi formulati con l’appello principale poiché non era rimasta comprovata alcuna immissione molesta (per quanto emergente dagli accertamenti eseguiti dalla competente USL) e gli appellati avevano legittimamente costruito in aderenza stante la preesistenza del fabbricato della C..

Infine, la Corte territoriale riteneva meritevole di accoglimento il gravame incidentale degli appellati dovendosi escludere la risarcibilità per le violazioni relative alle prescrizioni contenute nella concessione, donde l’inapplicabilità dell’art. 872 c.c., comma 2, ed essendo, altresì, risultato che il fabbricato degli stessi appellati non alterava visivamente l’estetica complessiva, stante la mancanza di uniforme altezza anche di altri edifici adiacenti alla strada pubblica.

3. La soccombente C.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, riferito a cinque motivi.

Hanno resistito con controricorso gli intimati F.M., T.B. e S.F..

Le difese di entrambe le parti hanno depositato anche memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione fra le parti, avuto riguardo all’incontestata presenza sul mappale confinante di importanti vasi vinari, che avrebbero dovuto essere considerati come strutture permanenti e, come tali, soggetti al rispetto dell’art. 890 c.c..

2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 890 c.c., per aver ritenuto la Corte di appello, nell’impugnata sentenza, che lo stoccaggio di vini non costituisse attività di vinificazione.

3. Con la terza doglianza la ricorrente ha prospettato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost., per omessa motivazione sull’inesistenza dell’attività di vinificazione.

4. Con il quarto motivo la ricorrente ha censurato l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 872 c.c., nonché dell’art. 4 b) delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Farra di Soligo, contestando l’affermazione secondo cui la costruzione degli originari convenuti in pieno centro storico rispettava la disposizione contenuta nell’art. 30 N.T.A. del P.R.G. comunale, disattendendo quella di cui all’art. 4, lett. b) delle stesse N.T.A., come stabilite con le prescrizioni contenute nel titolo edilizio legittimante.

5. Con il quinto ed ultimo mezzo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 872 c.c., con riferimento alla parte dell’impugnata sentenza in cui si era ritenuto che ella avesse fatto delle allegazioni generiche in merito al danno estetico e all’inesistenza dello stesso, così non considerando l’indirizzo giurisprudenziale sul danno conseguenza “in re ipsa” in caso di violazioni urbanistiche.

6. I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente siccome tra loro connessi.

Essi sono infondati e devono, perciò, essere rigettati.

Dalla ricostruzione fattuale e dalla motivazione della sentenza di appello (che risponde certamente al requisito previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) si è desunto che l’attività di vinificazione veniva svolta nel fabbricato degli appellati insistente sul mappale (OMISSIS), non confinante con quello della ricorrente, e che sul mappale n. (OMISSIS) erano depositati i denunciati vasi vinari, ma che, in ogni caso, era rimasto comprovato, sulla scorta degli accertamenti della competente USL, che dai fondi degli appellati non proveniva alcuna propagazione di immissioni intollerabili o insalubri.

Occorre, peraltro, rilevare che l’evocato disposto dell’art. 890 c.c., non può essere riferito al mero deposito di vasi vinari, essendo rimasta esclusa – anche sulla base delle richiamate verifiche della competente azienda sanitaria, oltre in virtù degli accertamenti scaturiti dalla c.t.u. – la possibilità, al fine dell’applicazione della citata norma, dell’insorgenza di un pericolo di danni o di disturbo per la salute del vicinato per effetto dell’attività svolta (stante la mancata configurabilità della possibilità di formazione di processi putrefattivi suscettibili di espandersi all’esterno), tenendosi, altresì, conto delle dimensioni modeste dell’azienda, dell’utilizzazione di prodotti del proprio fondo e della mancanza di un apposito regolamento in proposito, il che comporta che l’odierna ricorrente avrebbe dovuto dare – ove sussistente – una prova concreta del danno (rimasta, invece, non assolta), non potendosene ravvisare la sua ricorrenza “in re ipsa”.

7. Anche il quarto e quinto motivo – esaminabili congiuntamente in quanto connessi – sono sforniti di fondamento e vanno respinti.

Per un verso, si deve, infatti, evidenziare che, nel caso in questione, non è conferente – come rilevato correttamente nell’impugnata sentenza – il richiamo all’applicabilità dell’art. 4-b) delle N.T.A., essendo, invece, applicabile, nello specifico, l’art. 30 delle stesse N.T.A., quale disposizione regolante in effetti l’altezza nel centro storico, il cui limite era rimasto rispettato nella fattispecie, siccome di mt. 6,40 (nel mentre il citato art. 4-b si riferisce all’individuazione del criterio per misurare l’altezza nel caso di edificio costituito da “più fronti aventi altezza diversi”). Inoltre la costruzione realizzata sul mappale (OMISSIS) aveva rispettato la prescrizione contenuta nella concessione edilizia del 14 giugno 2000, e, peraltro, nessun risarcimento sarebbe spettato alla ricorrente ove anche fosse stata violata, dato che essa non trovava riscontro nel citato art. 30 delle N.T.A..

In dipendenza di quanto appena posto in risalto e dell’accertata esclusione di violazioni urbanistiche la sentenza impugnata si profila altrettanto corretta nella parte in cui ha escluso, in primo luogo, la riconoscibilità del risarcimento del danno in via automatica (che potrebbe avere rilevanza quando sia l’ente pubblico a far valere la pretesa risarcitoria per le violazioni urbanistiche, ma non nei rapporti tra privati) e, in secondo luogo, che, sul piano concreto, non era rimasto dimostrato l’addotto deprezzamento commerciale del fabbricato della C.M. per ragioni estetiche, sul ravvisato presupposto implicante un accertamento fattuale ed una conseguente valutazione insindacabili in sede di legittimità – che le costruzioni si trovavano lungo la via pubblica, avevano altezza diversa ed il fabbricato degli appellati (odierni controricorrenti) non alterava l’estetica complessiva visivamente, anche per effetto della mancanza di uniforme altezza di altri edifici adiacenti la strada pubblica “in loco”.

10. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA