Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25859 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. II, 23/09/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 23/09/2021), n.25859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 10021/2016) proposto da:

G.B., (C.F.: (OMISSIS)), e R.M.G., (CF.:

(OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in

calce al ricorso, dagli Avv.ti Umberto Deflorian, e Giovanni

Rambaldi, e domiciliati “ex lege” presso la Cancelleria civile della

Corte di Cassazione, in Roma, piazza Cavour;

– ricorrenti –

contro

COSTRUZIONI A. S.R.L., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di

procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Flavio

Maria Bonazza, ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv. Paolo Migliaccio, in Roma, via Cosseria, n. 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Trento n. 322/2015

(pubblicata il 14 ottobre 2015);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31 marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

lette le memorie depositate dalle difese di entrambe le parti ai

sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione ritualmente notificato, G.B. e R.M.G. proponevano appello – dinanzi alla Corte di appello di Trento avverso la sentenza n. 962/2013 del Tribunale di Trento, con la quale veniva dichiarata la cessazione della materia del contendere sulla domanda formulata nei loro confronti dalla Costruzioni A. s.p.a. di accertamento del diritto di accedere ai sensi dell’art. 843 c.c., al fondo di loro proprietà di cui alla particella fondiaria (OMISSIS) al fine di eseguire opere sui fondi distinti dalle particelle fondiarie (OMISSIS) di proprietà della citata società, e con la quale era stata respinta la loro domanda riconvenzionale diretta all’accertamento dell’illegittimità delle predette opere sull’asserito presupposto della violazione delle distanze legali, ritenendola, per un verso, inammissibile per le modificazioni introdotte a seguito della diversa realizzazione rispetto al progetto originario delle opere contestate e, per altro verso, infondata, salvo che con riferimento ad un manufatto in calcestruzzo, costituente volume tecnico, di cui era stato, perciò, ordinato l’arretramento secondo le indicazioni riportate nella relazione del c.t.u., con compensazione integrale delle spese giudiziali.

Nella costituzione della società appellata (che, a sua volta, proponeva anche appello incidentale, avuto riguardo al suddetto capo condannatorio di cui alla richiamata sentenza di primo grado), la Corte di appello di Trento, con sentenza n. 322/2015 (pubblicata il 14 ottobre 2015), in parziale riforma dell’impugnata pronuncia, dichiarava ammissibile la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti in primo grado, così come modificata, respingendo nel resto il gravame principale, mentre accoglieva il gravame incidentale, rigettando la citata domanda riconvenzionale di condanna all’arretramento del suddetto manufatto e disponendo la compensazione totale delle spese di entrambi i gradi.

A fondamento della decisione adottata la Corte trentina osservava, innanzitutto, che la domanda riconvenzionale avanzata dagli appellanti principali in primo grado si sarebbe dovuta considerare ammissibile perché, sul presupposto di essere rivolta alla violazione dell’art. 873 c.c. e delle disposizioni integrative del regolamento comunale, le diverse caratteristiche costruttive scelte in corso di causa per la realizzazione delle opere della società attrice non potevano costituire un “fatto” nuovo sul piano giuridico, attenendo le stesse non alla lesione del diritto denunciata, bensì ad aspetti secondari ed accidentali della lesione stessa ed in tal senso, quindi, la domanda riconvenzionale di sarebbe dovuta ritenere circoscritta e definita nella sua estensione senza possibilità di ulteriori modificazioni. Pertanto, in conseguenza della possibile violazione della distanza di mt. 5 di cui all’art. 873 c.c. e delle norme regolamentari comunali, si doveva ritenere legittimo il rifiuto del consenso dei coniugi G. – R. all’accesso al loro fondo per l’esecuzione del lavori di consolidamento del muro di fabbrica a confine da parte della società attrice.

Passando all’esame della natura e della funzione del suddetto muro di fabbrica di cui era stata dedotta l’illegittimità, la Corte territoriale rilevava che, sulla base delle risultanze della c.t.u., tale muro non aveva subito alcuna modificazione non solo di struttura ma nemmeno dal punto di vista morfologico (ovvero rispetto allo spessore e alle altezze) con riferimento a quello originario, ragion per cui tale opera non avrebbe potuto considerarsi come nuova e, quindi, in quanto tale, non sottoposta all’obbligo di osservanza dell’art. 873 c.c..

Per altro verso, i locali e le strutture portanti ed accessorie dell’autorimessa erano completamente interrate e, per questo motivo, insuscettibili di creare intercapedini dannose, con conseguente inapplicabilità delle disposizioni in materia di distanze legali, con la conclusiva conseguenza che la domanda di arretramento avanzata dai suddetti coniugi andava respinta, in tal senso pervenendosi alla riforma della sentenza di primo grado sul punto.

Passando alla disamina dell’appello incidentale, la Corte di appello ne ravvisava la fondatezza perché il denunciato manufatto non aveva alcuna funzione di aumento della volumetria fruibile della costruzione soprastante il piano di campagna o di maggior godimento della stessa o che per le sue modeste dimensioni e ubicazione fosse suscettibile di creare un intercapedine ostacolando la circolazione di aria e luce, ragion per cui, trattandosi di un mero volume tecnico, esso non poteva considerarsi come una costruzione soggetta al rispetto delle distanze legali.

2. Contro la suddetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, G.B. e R.M.G., resistito con controricorso dall’intimata Costruzioni A. s.r.l..

Le difese di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873 e 878 c.c. e dell’art. 38 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Trento, per il mancato accertamento dei parametri distanziometrici previsti per legge del muro in sassi posto sul lato ovest delle pp.ff. (OMISSIS) c.c. Povo, a confine con la p.f. (OMISSIS) di essi ricorrenti, così come trasformato in seguito all’attività edificatoria realizzata (relativa ad una palazzina residenziale), previo integrale sbancamento del terreno a tergo di detto muro della società Costruzioni A..

2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, avuto riguardo alla mancata rilevazione dell’accertamento da parte del c.t.u. dell’altezza superiore a metri 3 dell’antico muro di sassi per tutto il suo sviluppo, nonché l’asserita violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che dell’art. 2697 c.c., comma 1.

3. Con la terza doglianza i ricorrenti hanno prospettato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e dell’art. 38 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Trento, avuto riguardo alla mancata declaratoria di illegittimità per violazione dei parametri distanziometrici previsti per legge del posto auto collocato nella parte finale della rampa di accesso all’autorimessa di nuova edificazione, del garage posto nell’angolo sud-ovest a ridosso del muro di confine, di nuova edificazione, dei muri divisori e portanti dell’autorimessa, dei pilastri e della trave di fondazione, della soletta con parapetto perimetrale al di sopra dell’autorimessa, tutti elementi costruttivi posti a tergo e a ridosso del muro in sassi ubicato sul lato ovest delle pp.ff. (OMISSIS) c.c. Povo, a confine con la p.f. (OMISSIS) c.c. Povo di essi ricorrenti.

4. Con il quarto ed ultimo mezzo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – un’ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e dell’art. 38 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Trento, con riferimento all’asserito erroneo accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla controparte, alla mancata declaratoria di illegittimità per violazione dei parametri distanziometrici previsti per legge del manufatto in calcestruzzo armato sul lato sinistro della rampa di accesso al piano garage.

5. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e, quindi, deve essere rigettato.

Va, infatti, osservato che, sulla base di una congrua valutazione di fatto operata adeguatamente dalla Corte di appello (v. pagg. 19-21 della sentenza qui impugnata) sulla scorta delle risultanze della c.t.u., è rimasto accertato che il manufatto indentificantesi con il contestato muro a secco non aveva – a seguito degli interventi della società A. – subito alcuna modificazione di carattere strutturale o morfologico né era stato destinato ad assolvere una funzione diversa dalla precedente, ragione per cui era da escludere che potesse considerarsi come una “nuova costruzione”, in quanto tale assoggettabile al rispetto delle distanze legali applicabili “ratione temporis”, rimanendo, perciò, irrilevante anche la questione sulla configurabilità dello stesso muro come muro di cinta in relazione all’evocato art. 878 c.c..

Per quanto correttamente rilevato dalla Corte territoriale, il muro a secco in questione non aveva, quindi, costituito oggetto di ulteriori interventi rispetto alle mere opere di consolidamento effettuate dalla società Costruzioni A..

Pertanto, in virtù di tale ricostruzione fattuale – insindacabile nella presente sede di legittimità, siccome adeguatamente motivata – supportata dalle emergenze degli accertamenti peritali espletati al riguardo, è rimasta esclusa la configurabilità dell’intervento eseguito con riferimento al muro come una nuova costruzione, eventualità che – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – viene a verificarsi quando vi siano una variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio e un aumento della volumetria (cfr., tra le tante, Cass. SU n. 21578/2011 e, da ultimo, Cass. n. 28612/2020).

Rimane, altresì, pacificamente esclusa la rilevanza del possibile mancato rispetto delle distanze legali con riferimento all’esecuzione delle opere completamente interrate, per le quali, infatti, si prescinde dall’applicabilità dei limiti imposti dall’art. 873 c.c. e dalle eventuali norme regolamentari locali.

6. Anche la seconda doglianza è priva di fondamento perché, diversamente da quanto dedotto dai ricorrenti, nell’impugnata sentenza (v., in particolare, pagg. 21-22) è stata specificamente esaminata la questione assunta come omessa, essendo stata rilevata l’infondatezza della prospettazione degli appellanti principali con riferimento alla supposta altezza superiore a metri 3, sulla base di affermazioni estrapolate dalla consulenza tecnica di parte, smentite dalle conclusioni della relazione del c.t.u. ritenuta attendibile dalla Corte di appello, sulla cui scorta era emerso che l’altezza del muro si era trovata sempre al di sotto delle citata altezza, salvo che – ma in modo del tutto irrilevante – per un breve tratto finale di 53 cm in cui l’altezza variata tra 3 e 3,03 mt., sottolineandosi, tuttavia, che la conformazione della struttura muraria ed il relativo sviluppo verticale erano stati sempre presenti con tale forma e nella stessa dimensione.

Osserva, poi, il collegio che l’asserita violazione degli artt. 115 e 116 è del tutto inconferente, tenendo a sollecitare inammissibilmente una rivalutazione di merito delle circostanza fattuali rimaste accertata, così come è insussistenza l’assunta violazione dell’art. 2697 c.c., posto che gli accertamenti sono stati basati idoneamente sulle risultanze della c.t.u. e sulle rispettive produzioni documentali delle parti.

E’ appena il caso di sottolineare che – secondo l’uniforme giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 27000/2016 e Cass. n. 1229/2019) – in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una (sia pue possibile) erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

7. Anche la terza censura non coglie nel segno e va, perciò, respinta.

Con essa, invero, vengono parzialmente riproposte le censure di cui al primo motivo e sono, quindi, anch’esse infondate. Infatti, con la sentenza di appello, è rimasto accertato che i manufatti oggetto di contestazione di cui ai punti C), D), E) e F) erano risultati completamente interrati, donde l’inassoggettabilità al regime delle distanze legali, essendo emerso che la conformazione del lotto di proprietà della società A., nella parte latistante il terreno appartenente ai coniugi ricorrenti, come delimitato dall’immutata antica struttura muraria, era rimasta immodificata, con conseguente omessa configurazione di qualsiasi effetto negativo ai fini edificatori sulla p.f. (OMISSIS) Povo, come ritenuto, per l’appunto, con l’impugnata sentenza.

E’, infatti, indubbio che, ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c., o da norme regolamentari integrative, la nozione di “costruzione” comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, con la conseguenza che, ove ne sia accertato il totale interramento, non viene in rilevo – come già evidenziato – l’applicabilità della citata norma codicistica o di eventuali norme edilizie locali (v., da ultimo, Cass. n. 23856/2018 e Cass. n. 21173/2019).

Del tutto inconferente e’, poi, il richiamo alla possibile violazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, essendo tale norma inapplicabile nel caso di specie, imponendo la stessa un distacco tra pareti finestrate di edifici frontistanti e non essendo, perciò, la medesima invocabile nel caso in questione in relazione ad un’opera simile alla struttura muraria a secco preesistente, rappresentante l’opera di delimitazione a valle delle pp.ff. (OMISSIS) c.c. Povo.

8. Pure il quarto ed ultimo motivo è infondato e deve essere rigettato, avendo la Corte di appello, con motivazione adeguata supportata dalle emergenze della c.t.u., ritenuto correttamente legittima l’edificazione del corpo costituente un tronco di piramide avente un’altezza variabile da 0 a 0,70 cm, situato sul lato sinistro della rampa di accesso al garage interrato, siccome, oltre ad essere inaccessibile, non aveva alcuna funzione di aumento della volumetria fruibile della costruzione soprastante il piano di campagna o di maggiore godimento della stessa e che per le sue modeste dimensioni e ubicazione non era in grado di creare intercapedine ostacolando la circolazione di aria o luce. Pertanto, oltre ad essere risultato edificato interamente sottostante al terrazzo e a non emergere dal piano di spiccato, esso costituiva propriamente un “volume tecnico”, come tale – per pacifica giurisprudenza di questa Corte sottratto all’applicazione della normativa sulle distanze legali.

9. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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