Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25859 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 14/10/2019), n.25859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21681/2014 proposto da:

V.D., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini 123,

presso lo studio dell’avvocato Maria Cuozzo e rappresentata e difesa

dall’avvocato Rocco Baldassini, in forza di procura speciale rep.

(OMISSIS) a rogito del Notaio D.C.M. di (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Comune di Pontedera, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Corso Vittorio Emanuele II 18

presso lo Studio Legale Lessona e rappresentato e difeso

dall’avvocato Domenico Iaria, in forza di procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso le sentenze n. 1570/12 e 239/2014 della CORTE D’APPELLO di

FIRENZE, depositate il 10/12/2012 e il 5/2/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. V.D., comproprietaria per un terzo di un terreno (censito a catasto al foglio (OMISSIS)) sito nel Comune di Pontedera e interessato da una procedura espropriativa per l’ampliamento del parcheggio della zona ospedaliera, oggetto di dichiarazione di pubblica utilità del 28/10/2004 ed occupato d’urgenza con determinazione del 9/11/2004, ha convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Firenze il Comune di Pontedera, proponendo opposizione alla stima avverso la determinazione dell’indennità definitiva di espropriazione con riferimento al terreno espropriato con determinazione dell’11/9/2009, che era stata fissata complessivamente in Euro 83.709,82 (comprensiva dell’indennità di occupazione), ritenuta non congrua per un terreno edificabile.

Si è costituito in giudizio il Comune di Pontedera, chiedendo il rigetto delle domande dell’attrice e sostenendo che il terreno (incluso in zona F-sottozona F4, attrezzature sanitarie pubbliche-poliambulatorio) doveva ritenersi non edificabile, perchè assoggettato a vincolo conformativo di inedificabilità e destinato alla realizzazione di edifici pubblici in campo sanitario; in via riconvenzionale, il Comune ha quindi chiesto la determinazione dell’indennità con riferimento ai valori agricoli medi, in riduzione dell’indennità determinata in via provvisoria a solo fini deflattivi.

Esperita consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza non definitiva n. 1570 del 10/9/2012, la Corte di appello di Firenze ha accertato la natura non edificabile dei terreni oggetto di esproprio e con separata ordinanza ha disposto supplemento di c.t.u. anche con riferimento all’intervenuta sentenza n. 181 del 2011 della Corte costituzionale.

Espletato l’incombente, con sentenza definitiva n. 239 del 5/2/2014, la Corte di appello ha determinato l’indennità di espropriazione dovuta a V.D., per la sua quota, in Euro 9.766,65, e quella di occupazione, quanto al periodo 15/11/2004-11/9/2009, in Euro 3.934,00, oltre interessi, respingendo ogni diversa domanda e ha condannato la V. a rifondere al Comune di Pontedera il 50% delle spese di lite, per il resto compensate, con le spese di c.t.u. suddivise al 50% fra le parti.

2. V.D., con atto notificato il 10/9/2014 ha proposto ricorso per cassazione avverso le predette sentenze, ossia quella non definitiva n. 1570 del 10/12/2012 (tempestivamente gravata da riserva di ricorso per cassazione) e quella definitiva n. 239 del 5/2/2014, entrambe non notificate, svolgendo tre motivi.

Con atto notificato il 24/10/2014 ha proposto controricorso il Comune di Pontedera, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, e per violazione dell’art. 111 Cost. la ricorrente lamenta motivazione apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile, nonchè irreducibilmente contraddittoria.

La ricorrente premette che l’espropriazione per cui è causa era stata preceduta da una precedente procedura, non oggetto del presente giudizio, relativa all’occupazione illecita dei mappali n. (OMISSIS) per mancata tempestiva emissione del decreto di esproprio, oggetto della prodotta sentenza n. 5851 del 2009 del Consiglio di Stato, che aveva dichiarato l’obbligo del Comune di Pontedera di restituire le aree illecitamente occupate, salvo eventuale accordo bonario e salva acquisizione sanante con decreto allora previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43 fermo l’obbligo del Comune di rispettare i principi stabiliti dalla sentenza n. 349 del 2007 della Corte Costituzionale al fine della determinazione del valore di mercato delle aree occupate.

Con la predetta sentenza il Consiglio di Stato aveva riconosciuto la natura edificabile delle aree di cui alle particelle occupate.

In seguito alla sentenza predetta il Comune aveva emesso il decreto di acquisizione sanante n. 126 del 28/5/2010, ex art. 43 citato, notificato il 9/6/2010, che considerava un valore a metro quadro dell’area (confinante con quella oggetto del presente giudizio) di Euro 398,57.

Il C.t.u. (alle pagine 16/19 della relazione peritale) ha accertato che i mappali (OMISSIS) (acquisito dal Comune con il decreto 126 del 2010) e (OMISSIS) (acquisito con decreto di esproprio n. 206 del 2009 e oggetto del presente giudizio) sono stati originati ed erano compresi nella unica e unitaria particella catastale n. 131; lo stesso valeva per i mappali 303 (acquisito dal Comune con il decreto 126 del 2010) e 304 (acquisito con decreto di esproprio n. 206 del 2009 e oggetto del presente giudizio) originati ed compresi nella unica e unitaria particella catastale n. (OMISSIS).

La Corte di appello ha superato le difese della ricorrente, basate sull’eccezione di giudicato esterno circa l’edificabilità dei suoli espropriati, limitandosi a sostenere che le particelle oggetto della decisione del Consiglio di Stato erano diverse, ancorchè contigue, rispetto a quelle per cui è causa ed erano state oggetto di una diversa vicenda, senza considerare minimamente l’originaria unità catastale delle particelle oggetto della decisione del Consiglio di Stato e di quelle oggetto del presente giudizio, il fatto che la diversità della vicenda oggetto di causa fosse del tutto fisiologica e l’irrilevanza della diversità di titolo della responsabilità.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia, sulla base delle stesse premesse sopra ricapitolate con il primo motivo, violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2909 c.c., D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 e D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis.

Tale ultima norma, dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 349 del 2007 della Consulta, si riferiva alle sole aree edificabili, come del resto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità.

Quindi il riferimento espresso nella sentenza n. 5851/2009 del Consiglio di Stato ai criteri stabiliti dalla predetta sentenza 349/2007 costituiva prova certa della ritenuta natura edificabile dei terreni illecitamente occupati.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia ulteriore profilo di violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2909 c.c., D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 e D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis.

La Corte territoriale ha ritenuto di non poter attribuire alla parte residua espropriata con il decreto oggetto del presente giudizio (ossia alle particelle (OMISSIS) e (OMISSIS)) il crisma di edificabilità legale già attribuito alle particelle oggetto della prima procedura e ha disatteso la proposta eccezione di giudicato esterno, perchè il giudicato si forma sulle statuizioni costituenti l’antecedente logico imprescindibile della decisione, situazione non ravvisabile nel riferimento alla facoltà prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43 in tema di acquisizione sanante.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la vis espansiva del giudicato prescinde dalla natura della domanda dispiegata, fondata sulla natura indennitaria o risarcitoria del credito.

Inoltre la sentenza del Consiglio di Stato non imponeva solo la restituzione dei terreni occupati ma dettava anche le regole che dovevano presiedere alla determinazione dei criteri risarcitori nel presupposto della ravvisata natura edificabile dei terreni in questione.

4. I tre motivi, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

4.1. La sentenza non definitiva n. 1570/2012 ha negato il vincolo di giudicato esterno esercitato, secondo l’attrice, dalla sentenza del Consiglio di Stato 5851/2009 inter partes sulla base di due ben precise motivazioni, il che di per sè esclude l’omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti.

4.2. Il primo motivo si basa sul fatto che le due particelle oggetto dell’occupazione abusiva di cui alla sentenza dei Giudici amministrativi erano diverse rispetto a quelle per cui è causa, anche se ad esse contigue.

La Corte territoriale ha anche aggiunto che esse erano state oggetto di “una vicenda del tutto diversa”.

Tale ultima affermazione della Corte di appello circa la totale diversità della vicenda appare priva di autonoma dignità motivazionale e, come afferma correttamente la ricorrente, è del tutto ovvia, visto che la ricorrente invoca appunto l’efficacia del giudicato esterno formatosi all’esito di una diversa procedura giudiziari e di una diversa vicenda fattuale.

Anche sotto questo profilo può quindi escludersi l’omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti, lamentato dalla ricorrente, visto che la Corte si è posta il problema dell’identità delle particelle catastali oggetto delle due diverse vicende fattuali e giudiziarie e l’ha negata espressamente.

Ulteriore riflessione, che verrà affrontata più oltre, è quella della fondatezza o meno di tale valutazione.

4.3. La Corte di appello ha poi aggiunto che il Consiglio di Stato aveva dichiarato il Comune di Pontedera tenuto a restituire alla signora V. il diverso terreno oggetto di quel giudizio, oltre che al risarcimento del danno, e aveva al contempo posto in evidenza la facoltà del Comune di avvalersi della facoltà di acquisizione sanante allora prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43 (ora art. 42 bis dello stesso Testo Unico, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della prima norma), indicando il criterio di ristoro del danno.

La Corte toscana ha quindi richiamato il principio giurisprudenziale consolidato secondo cui il giudicato si forma esclusivamente sulle statuizioni che costituiscono un antecedente logico imprescindibile della decisione, per trarne la conseguenza che il riferimento del Consiglio di Stato alla facoltà di cui all’art. 43 Testo Unico e ai criteri di ristoro del danno in seguito alla sentenza n. 349 del 2007 della Corte Costituzionale non erano un antecedente logico della decisione, che riguardava solo la sussistenza o meno del della V. di ottenere la restituzione dell’area.

4.4. Tale affermazione è efficacemente confutata dalla ricorrente che riposa sul tenore letterale della sentenza dei Supremi giudici amministrativi che, nel dichiarare l’obbligo del Comune di restituire i terreni illecitamente detenuti, ha fatto salvo il potere del Comune di procedere ad un accordo bonario con la proprietaria ovvero, in difetto, di disporre l’acquisizione sanante quantificando il danno risarcibile in relazione alla destinazione urbanistica delle aree al momento iniziale della procedura espropriativo e nel rispetto dei principi fissati dalla sentenza n. 349/2007 della Consulta.

4.5. L’assunto della Corte di appello che nega l’efficacia del giudicato in relazione alla diversità dell’oggetto delle due procedure non è condivisibile e contrasta con un orientamento ormai radicato di questa Corte.

E’ stato infatti ritenuto (Sez. 1, n. 3909 del 17/02/2011, Rv. 616823-01; Sez.1, 18/12/2013, n. 28215; Sez. 1, n. 20234 del 07/10/2016, Rv. 641843 – 01) che in tema di espropriazione per pubblica utilità, il giudicato formatosi sulla qualificazione del terreno, quale antecedente logico giuridico della statuizione sulla indennità di occupazione legittima, calcolata secondo il criterio degli interessi legali sul valore del suolo, preclude ogni diversa qualificazione e valutazione del terreno medesimo nel giudizio risarcitorio per occupazione appropriativa, costituendo l’accertamento in fatto del valore del bene il comune punto di partenza per la stima sia dell’indennità di occupazione sia del danno risarcibile. E’ stato altresì recentemente ribadito (Sez. 1, n. 19758 del 25/07/2018, Rv. 649907-01) che le opposizioni alla stima dell’indennità di occupazione e quelle all’indennità di espropriazione contengono domande distinte ed autonome, avuto riguardo alle diversità delle relative causae petendi, costituite l’una dalla privazione del godimento del bene occupato e l’altra dall’ablazione di quello espropriato; di conseguenza, in relazione ai rapporti tra i detti giudizi può assumere efficacia di cosa giudicata esclusivamente la qualificazione giuridica del terreno, quale antecedente logico giuridico della statuizione sull’indennità di occupazione legittima, ma non l’accertamento del suo valore di mercato, tanto per l’evidenziata autonomia dei rapporti quanto per la diversità dei periodi considerati.

4.6. Occorre quindi considerare se – come sostiene la ricorrente – effettivamente la sentenza del Consiglio di Stato nel vincolare il Comune di Pontedera al rispetto dei criteri fissati dalla sentenza n. 349 del 2007 della Corte Costituzionale abbia (solo implicitamente peraltro, poichè la ricorrente non indica alcun inequivoco passaggio espresso della pronuncia dei Giudici amministrativi) accertato e affermato la natura edificabile dei terreni in questione, facenti parte, in origine, delle stesse particelle catastali di quelli per cui pende causa.

Come è noto, con la sentenza 24/10/2007, n. 349, la Corte Costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 7 bis, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, in quanto, non prevedendo un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della p.a., corrispondente al valore di mercato del bene occupato, si poneva in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Cedu e per ciò stesso violava l’art. 117 Cost., comma 1.

La norma dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 349/2007 si riferiva effettivamente ai terreni edificabili, poichè stabiliva che in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità, intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si applicassero, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione dell’indennità di cui al comma 1, con esclusione della riduzione del 40 per cento con l’aumento dell’importo del risarcimento del 10 per cento con applicazione anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato.

Lo stesso art. 5 bis, comma 1 così richiamato, si riferiva alle aree edificabili, disponendo che fino all’emanazione di un’organica disciplina per tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte o per conto dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, o comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi dichiarati di pubblica utilità, l’indennità di espropriazione per le aree edificabili fosse determinata a norma della L. 15 gennaio 1885, n. 2892, art. 13, comma 3, sostituendo in ogni caso ai fitti coacervati dell’ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui agli artt. 24 e seguenti del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e riduzione dell’importo così determinato del 40 per cento.

In effetti la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 19924 del 25/09/2007 Rv. 600647 – 01) ha precisato che in tema di espropriazione, la questione del contrasto del sistema indennitario previsto dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis convertito in L. n. 359 del 1992, con i principi enunciati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e con la Carta Costituzionale per violazione dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., riguarda il criterio di determinazione dell’indennizzo “per le aree edificabili” (regolato dai primi tre commi dell’art. 5 bis cit. ed, in via transitoria, dai commi sesto e settimo di questo), nonchè il criterio di “liquidazione del danno… in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità”, di cui al medesimo art. 5 bis, comma 7 bis ugualmente applicabile alle sole “aree edificabili”, non anche l’indennizzo “per le aree agricole e per quelle che… non sono classificabili come edificabili”, rispetto alle quali l’applicabilità delle norme contenute nel titolo secondo della L. n. 865 del 1971 (e successive modificazioni ed integrazioni), per un verso, è stata ritenuta conforme all’art. 42 Cost. (Corte Cost. sentenza n. 355 del 1985) senza risultare oggetto di condanne da parte della Corte Europea, laddove, per altro verso, neppure si palesa “retroattiva”, atteso che il menzionato art. 5 bis, comma 4 appunto “per le aree agricole e per quelle che, ai sensi del comma 3, non sono classificabili come edificabili”, si è limitato soltanto a richiamare, statuendone esattamente la persistente applicabilità, la disciplina che già vigeva in precedenza, ai sensi del titolo secondo della L. n. 865 del 1971.

Il tutto, beninteso, prima della ulteriore pronuncia di illegittimità costituzionale n. 181 del 2011, questa volta appunto relativa ai terreni agricoli.

4.7. Può quindi convenirsi con la ricorrente che la sentenza del Consiglio di Stato n. 5851/2009 abbia, sia pur implicitamente, considerato la possibile natura edificabile delle aree oggetto di quella procedura; una statuizione in tal senso sarebbe astrattamente suscettibile di assumere efficacia di giudicato in altra vicenda giudiziaria ove la natura e destinazione urbanistica di tali aree assumesse rilievo.

Tuttavia la frase di avvertimento utilizzata dai Supremi Giudici amministrativi “andranno tenuti presenti i principi fissati dalla sentenza n. 349/2007 della Corte costituzionale” non contiene un inequivoco riferimento alla natura edificabile del terreno, ben potendo anche intendersi nel senso di un’applicazione meramente eventuale del nuovo quadro normativo, condizionata all’accertamento, in concreto, della natura edificatoria.

4.8. In ogni caso e in via dirimente, la ricorrente non è riuscita a dimostrare l’erroneità del giudizio espresso dalla Corte territoriale circa la diversità delle aree oggetto delle due procedure giudiziali (quella definita dal Consiglio di Stato con la sentenza 5851/2009 e quella oggetto del presente giudizio).

Ben vero, la ricorrente si richiama all’accertamento svolto dal Consulente tecnico d’ufficio, riferito analiticamente e non contestato dal Comune controricorrente, di cui alle pagine 16/19 della relazione peritale del 31/1/2012, pag.16, secondo il quale i mappali oggetto delle due procedure erano originariamente unitari.

In particolare il mappale n. (OMISSIS) (acquisito dal Comune con il decreto n. 126 del 2010 e oggetto della vicenda giudiziale amministrativa) e il mappale n. (OMISSIS) (acquisito con decreto di esproprio n. 206 del 2009 e oggetto del presente giudizio) erano stati originati ed erano compresi nella preesistente unica e unitaria particella catastale n. (OMISSIS); lo stesso valeva per i mappali n. 303 (acquisito dal Comune con il decreto 126 del 2010 e oggetto della vicenda giudiziale amministrativa) e n. (OMISSIS) (acquisito con decreto di esproprio n. 206 del 2009 e oggetto del presente giudizio) originati ed compresi nella unica e unitaria particella catastale n. (OMISSIS).

Il fatto, però, che le particelle oggetto delle due procedure fossero originariamente ricomprese in unica particella catastale (ossia le particelle n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)) non dimostra affatto che esse avessero in tempi diversi, oltretutto, la medesima destinazione urbanistica.

La ricorrente, in primo luogo, non indica, e tantomeno dimostra con riferimento alle risultanze probatorie, quando la variazione catastale e la frammentazione delle particelle è stata eseguita.

In secondo luogo – e tale elemento risulta decisivo – la ricorrente non indica, e tantomeno dimostra, che la variazione in questione sia stata effettuata in un momento successivo alle vicende urbanistiche, riassunte alle pagine 5-6 della sentenza non definitiva 1570/2012, che la Corte territoriale ha ritenuto rilevanti per escludere ogni possibilità di edificazione da parte del privato e la natura conformativa del vincolo apposto a partire dall’approvazione del piano regolatore generale avvenuta il 4/10/1995 con deliberazione n. 399 del 4/10/1995.

Le particelle n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) sono state espropriate con decreto del 11/9/2009, in seguito a dichiarazione di pubblica utilità del 28/10/2004.

Le particelle n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) erano state occupate dal Comune di Pontedera il 6/3/1995 e la trasformazione irreversibile si era realizzata a maggio del 1997.

Non vi è alcuna prova che in tale momento il piano regolatore del 1995 – e con esso il vincolo conformativo ravvisato dalla Corte di appello – fosse già divenuto efficace.

Ciò impedisce, da un lato, di attrarre le particelle n. (OMISSIS) e (OMISSIS) sotto la stessa sorte delle particelle n. (OMISSIS), e, dall’altro di ritenere decisiva l’originaria unitarietà delle particelle in questione prima della frammentazione.

Non risulta affatto, cioè, che nella valutazione pro tempore di edificabilità emessa nella vicenda definita dal Consiglio di Stato, si sia tenuto conto degli stessi elementi, invece sopravvenuti, che hanno invece influenzato la decisione della Corte fiorentina.

5. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata a rifondere le spese al Comune controricorrente, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 7.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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