Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25856 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 20/09/2017, dep.31/10/2017),  n. 25856

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 10325 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

R.G., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa,

giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato Mauro Pasquale

D’Antonio (C.F.: DNT MPS 58D03 B842B);

– ricorrente –

nei confronti di:

CONDOMINIO DEL (OMISSIS) (C.F.: non indicato), in persona

dell’amministratore, legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.

6864/2014, depositata in data 10 novembre 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 20

settembre 2017 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.G. ha agito in giudizio nei confronti del condominio del fabbricato sito in Roma, alla via Carlo Denina n. 34, per ottenerne la condanna (generica, con riserva di agire in separata sede per la quantificazione) al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un infortunio patito scivolando sulle rampe della scala condominiale.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Roma, con sentenza confermata in sede di gravame, ma la decisione di secondo grado è stata cassata con rinvio da questa Corte.

La Corte di Appello di Roma, all’esito del giudizio di rinvio, ha nuovamente confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la R., sulla base di un unico motivo.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede il condominio intimato.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione dell’art. 375 c.p.c. e art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2051,1117,2055,1292,1293,1294 e 2697 c.c.; nullità della sentenza per omessa, contraddittoria o illogica motivazione”.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata risulta conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di responsabilità per i danni causati da beni in custodia e di distribuzione dei relativi oneri probatori (che il ricorso non offre motivi idonei a indurre a rivedere).

In base a tali principi: a) “in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonchè di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (nella specie, la S.C. ha ritenuto eziologicamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada)” (Cass., Sez. 6 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017, Rv. 644282 – 01); b) “ai sensi dell’art. 2051 c. c., allorchè venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 23584 del 17/10/2013, Rv. 628725 – 01); c) “in tema di responsabilità del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento dí fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10014 del 20/04/2017, Rv. 643830 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004, Rv. 571873 – 01).

Nella specie, la corte di merito ha ritenuto, in fatto e con valutazione fondata su adeguata motivazione, come tale non sindacabile nella presente sede, che la ricorrente era caduta scivolando sui residui di un sacchetto di immondizia lasciato aperto sulle scale condominiali, e che tale circostanza rappresentava un evento estraneo alla sfera di custodia dell’amministratore del condominio, eccezionale, imprevedibile e non evitabile, tale da poter configurare il caso fortuito, e quindi costituiva l’unica causa del danno, il che era sufficiente ad integrare la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c..

L’esclusione della sussistenza del nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento lesivo, escludono in radice, d’altra parte, la possibilità di affermare una responsabilità per colpa ai sensi dell’art. 2043 c.c. da parte dello stesso amministratore del condominio.

I fatti storici rilevanti risultano tutti presi in considerazione dalla corte di merito, la quale ha prudentemente valutato le emergenze istruttorie.

In relazione ai suddetti accertamenti di fatto, in sostanza, la ricorrente chiede una diversa valutazione delle prove e un riesame del merito del giudizio, il che non è ammissibile in sede di legittimità, considerato che al presente processo è applicabile (essendo la sentenza impugnata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui non sono più deducibili, come in passato, genericamente vizi di motivazione, ma esclusivamente l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (Sezioni Unite, 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054; conf.: Cass. 27 novembre 2014 n. 25216; 9 luglio 2015 n. 14324).

D’altra parte, la violazione dell’art. 2697 c.c. non risulta neanche dedotta in conformità al paradigma indicato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione: “la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio – fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c. -, mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”: Cass. n. 11892 del 2016″).

Risultano infine del tutto inconferenti le ulteriori questioni poste nel ricorso, con riguardo all’applicabilità alla fattispecie delle norme in tema di condominio negli edifici e di responsabilità solidale dei condomini, dal momento che, da una parte, è stato escluso che l’evento lesivo sia derivato causalmente da beni di proprietà condominiale e quindi nella custodia dell’amministratore, e dall’altra parte l’eventuale responsabilità per colpa di un singolo condomino (peraltro non individuato), in relazione all’infortunio della ricorrente, non sarebbe in alcun modo idonea a determinare la responsabilità dell’ente di gestione convenuto e/o comunque degli altri condomini.

2. Il ricorso è rigettato.

Nulla è a dirsi in ordine alle spese del giudizio, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– nulla per spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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