Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25856 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 14/10/2019), n.25856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15920/2018 r.g. proposto da:

O.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Raul Giangolini, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via

Bassano del Grappa n. 4, presso lo studio Legale Giangolini e Rossi.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata in data

05/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/09/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con ordinanza del 7 novembre 2016, il Tribunale di Roma confermò il provvedimento reiettivo delle istanze di protezione – internazionale ed umanitaria – emesso dalla competente Commissione Territoriale nei confronti del cittadino nigeriano Samuel O. (alias S.S.), ed il gravame proposto da quest’ultimo contro tale decisione venne dichiarato inammissibile dalla corte di appello della medesima città, con sentenza del 5 febbraio 2018, n. 701, la quale rimarcò “l’assoluta mancanza, nell’atto di gravame, di qualsiasi specifica censura avverso i contenuti dell’ordinanza impugnata, essendosi l’appellante limitato ad affermare l’erroneità delle conclusioni alle quali erano pervenuti la Commissione Territoriale ed il giudice di primo grado, senza minimamente indicare le motivazioni che potessero portare ad un diverso convincimento”. Affermò, invero, che “parte appellante (…) avrebbe dovuto censurare in termini specifici l’appellata ordinanza nella parte in cui si sostiene l’inverosimiglianza e la contraddittorietà del racconto esposto dinanzi alla commissione territoriale (…) nonchè l’essenza dei presupposti per il riconoscimento di forme di protezione minore. Di contro, l’appellante, nell’atto di impugnazione, non solo non individua con chiarezza le parti del provvedimento che si intende appellare e le modifiche che vengono richieste, ma si limita a sintetiche ed apodittiche affermazioni ed incorre anche in evidenti confusioni, sbagliando il nome del richiedente asilo alla riga 2 del paragrafo 1), parlando, poi, delle persecuzioni contro gli omosessuali in Gambia (alla fine della pagina 2), ribadendo, più avanti, la pericolosità di tale ultimo Paese, per poi sottolineare la necessità di accertare la situazione della Costa d’Avorio…”.

2. Contro la descritta sentenza Samuel O. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo. Il Ministero dell’Interno, evidenziando di non essersi costituito nei termini di legge mediante controricorso, ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di eventualmente partecipare all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

2.1. La formulata doglianza prospetta “violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nell’applicazione dell’art. 342 c.p.c.”, ed ascrive alla corte distrettuale di aver erroneamente dichiarato inammissibile il gravame dell’ O. atteso che quest’ultimo, come poteva agevolmente ricavarsi dal contenuto della sua citazione in appello, aveva effettivamente strutturato il gravame in pedissequa aderenza a quanto sancito dal vigente testo dell’art. 342 c.p.c..

3. Giova immediatamente rilevare che il ricorrente, pur denunciando formalmente un vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella sostanza lamenta la violazione d’una regola processuale, così prospettando il differente vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4. Questo errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non è, da solo, ostativo all’esame del motivo, avendo le Sezioni Unite di questa Corte chiarito che ove il ricorrente incorra nel cd. “vizio di sussunzione” (erri, cioè, nell’inquadrare l’errore che si assume commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 c.p.c.), il (motivo di) ricorso non può, per ciò solo, dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole (cfr. Cass., SU, n. 17931 del 2013). Nel caso di specie, la lettura delle pagine 3-8 del ricorso consente agevolmente di intendere che quella effettivamente prospettata è la pretesa violazione, da parte della corte d’appello, dell’art. 342 c.p.c..

3.1. Fermo quanto precede, il descritto motivo è inammissibile.

3.1.1. Invero, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo quanto puntualizzato da questa Corte, vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito. E’ stato, così, puntualizzato che ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. conseguente alla declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte (cfr. Cass. n. 86 del 2012; Cass. n. 9734 del 2004).

3.1.2. L’osservanza di tale principio avrebbe imposto, nel caso in esame, in cui si contesta la valutazione di genericità dei motivi di appello alla base del decisum di secondo grado, l’onere per il ricorrente non solo di trascrivere i motivi formulati nell’atto di gravame – come, sebbene sinteticamente, avvenuto – ma anche di trascrivere o riportare con precisione le argomentazioni della parte motiva del provvedimento di primo grado il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di riferimento per la verifica in concreto del rispetto del paradigma di cui agli artt. 342 e 434 c.p.c.. Ciò in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, al fine della valida impugnazione di un capo di sentenza, non è sufficiente che nell’atto d’appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (cfr. Cass. n. 12280 del 2016; Cass. n. 18704 del 2015; Cass., SU, n. 23299 del 2011).

3.1.3. La mancata trascrizione, nell’odierno ricorso, dello specifico contenuto della decisione di primo grado sul tema oggi controverso (la credibilità, o meno, del richiedente la protezione) impedisce, allora, la necessaria verifica di pertinenza e specificità delle censure articolate con l’atto di appello e, in definitiva, dell’astratta idoneità delle stesse ad incrinare il fondamento logico giuridico delle argomentazioni che sorreggono quella decisione.

4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato.

4.1. Il ricorrente, infine, va condannato al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, statuizione che la Corte è tenuta ad emettere in base al solo elemento oggettivo, costituito dal tenore della pronuncia adottata (di inammissibilità, improcedibilità o rigetto del ricorso, principale o incidentale), senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte, come l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. nn. 9660 e 9661 del 2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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