Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25854 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 20/09/2017, dep.31/10/2017),  n. 25854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2216/2016 proposto da:

F.A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA COLA DI

RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA NARDONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA ANNA SCIABOLA, GIUSEPPE

LA SPINA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., in qualità di titolare e legale rappresentante

della ditta individuale GAIE AGRIEMPORIO, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA, 4, presso lo studio dell’avvocato

MARCO SANTARONI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO

BELLINGACCI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 34/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 15/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/09/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza resa in data 15/1/2015, la Corte d’appello di Perugia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da F.A.R. per la condanna di C.M. al risarcimento dei danni subiti dall’attrice a seguito di una caduta verificatasi per esser rimasto incastrato, il tacco della scarpa dell’attrice, in una delle rientranze presenti su uno zerbino posto all’ingresso dei locali della ditta gestita dal convenuto nel mentre l’attrice entra intenta ad attraversarlo;

che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha confermato la ritenuta riconducibilità causale dei danni lamentati dall’attrice al comportamento nell’occasione osservato dalla stessa, tenuto conto dell’agevole visibilità dello zerbino e delle relative caratteristiche, con la conseguente piana evitabilità del fatto dannoso con l’adozione di un contegno più accorto;

che, avverso la sentenza d’appello, F.A.R. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione, illustrato da successiva memoria;

che C.M. resiste con controricorso;

considerato che, con il motivo d’impugnazione proposto, la ricorrente censura la sentenza d’appello per violazione dell’art. 2051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, nonchè in relazione del D.M. 14 giugno 1989, n. 236, art. 4, comma 1, n. 2, per avere la corte territoriale erroneamente escluso il carattere oggettivamente e intrinsecamente pericoloso dello zerbino sul quale ebbe a cadere l’attrice, con la conseguente erronea attribuzione di una valenza causale esclusiva (in relazione ai danni occorsi) al comportamento tenuto dalla stessa in occasione del fatto dannoso oggetto di giudizio;

che il motivo è inammissibile, sotto tutti i profili dedotti ai sensi dell’art. 360 c.p.c.;

che, con riguardo alla dedotta violazione di legge – premessa la totale inconferenza, al caso di specie, del riferimento del D.M. 14 giugno 1989, n. 236, art. 4, comma 1, n. 2 (recante il “Regolamento di attuazione della L. 9 gennaio 1989, n. 13, art. 1”, a sua volta contenente “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”), non vertendosi in tema di violazione di “prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata” -, osserva il Collegio come, nel riproporre una diversa considerazione dei fatti così come ricostruiti e interpretati dai giudici di merito, l’odierna ricorrente abbia trascurato di procedere alla necessaria deduzione dell’errata ricognizione, ad opera del giudice a quo, delle fattispecie normative astratte dalla stessa richiamate, nonchè a un’adeguata specificazione dell’eventuale erronea sussunzione di fatti incontroversi nello spettro di applicazione delle norme invocate, avendo la F. propriamente rivendicato una diversa lettura e configurazione dei fatti controversi rispetto a quanto operato, nella sentenza impugnata, sulla base di una coerente e lineare interpretazione dei fatti di causa;

che, infatti, occorre evidenziare, come attraverso le odierne censure, la ricorrente si sia limitata a invocare una reinterpretazione degli elementi di prova e delle risultanze processuali complessive al fine di accreditare una descrizione dello zerbino oggetto di lite nei termini di una cosa intrinsecamente e oggettivamente pericolosa, là dove i giudici di merito hanno espressamente escluso che detto zerbino presentasse detti profili di intrinseca e oggettiva pericolosità, avuto riguardo alla oggettiva visibilità dello stesso e delle relative caratteristiche, così come puntualmente descritti in motivazione;

che, pertanto, l’impostazione critica avanzata dall’odierna ricorrente deve ritenersi del tutto estranea al paradigma della violazione o della falsa applicazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, in questa sede, pertanto, inammissibilmente richiamata;

che quanto al preteso omesso esame di fatti controversi – così come richiamato nel motivo di censura illustrato – osserva il Collegio come la ricorrente abbia del tutto trascurato di articolare in modo specifico, tanto le occorrenze concrete delle omissioni denunciate, quanto i profili di eventuale decisività dei fatti dedotti, non emergendo, in modo incontroverso e inequivocabile, il disegno del differente esito della risoluzione della controversia che sarebbe emerso con certezza là dove la corte territoriale avesse tenuto conto in modo specifico e analitico dei fatti richiamati;

che, anche da tale differente prospettiva, pertanto, la doglianza dell’odierna ricorrente si risolve nella mera invocazione (non già dell’omesso esame, ad opera del giudice a quo, di fatti decisivi già controversi tra le parti, bensì) di una rilettura nel merito degli elementi istruttori e dei fatti emersi nel corso del processo, riproposti in una diversa prospettiva interpretativa, essendosi la F. sostanzialmente limitata a criticare (inammissibilmente) le valutazioni di fatto espresse dalla corte territoriale in ordine ai riconosciuti profili di non intrinseca e oggettiva pericolosità dello zerbino, e in ordine al difetto di un diretto nesso di causalità tra l’uso dello stesso e i danni dalla stessa denunciati, che il giudice a quo ha viceversa integralmente ascritto – sulla base di un percorso argomentativo giuridicamente corretto e logicamente congruo – alla condotta imprudente e/o negligente della danneggiata;

che, sulla base delle considerazioni sin qui richiamate, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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