Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25854 del 18/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25854 Anno 2013
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

Data pubblicazione: 18/11/2013

SENTENZA
sul ricorso 4333-2008 proposto da:
MILE1 I ROSA MLTRS057P54C568H, MOTTA LUIGI
MTTLGU52D28C351Y, domiciliati ex lege in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati
e difesi dall’avvocato RISICATO PAOLO giusta procura in atti;
– ricorrenti contro

A9-51

INSENGA DOMENICO MSNDNC27L15F9943U, quale erede della
defunta CULTRERA MARIA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE B. BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato D’ALESSIO
ANTONIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FIACCAVENTO

q\(

MARIO con studio in 96100 SIRACUSA, V.LE TERACATI 75 giusta
procura in atti;

– controricorrenti nonchè contro

EDILCALCESTRUZZI DI ADERNO’ CORRADO E C. S.A.S. E
DEL FALLIMENTO DI ADERNO’ CORRADO;

intimato

avverso la sentenza n. 1398/2006 della CORTE D’APPELLO di
CATANIA, depositata il 29/12/2006, R.G.N. 1893/2003;
udita l. relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/09/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato nel mese di maggio del 1992, Motta Luigi e Mileti
Rosa, deducevano di aver acquistato con atto del 20 novembre 1986
dalla Edilcalcestruzzi di Adernò Corrado e C. s.a.s., successivamente
fallita, un appartamento e un posto auto siti in Noto al prezzo di
30.000.000 interamente versato; di aver ricevuto nel mese di novembre
1991 un atto di precetto per il pagamento della somma di
95.590. l77, oltre interessi e spese in favore della Cassa Centrale di
Risparmio per le Province Siciliane in virtù di d.i. emesso dal Tribunale
di Siracusa nei confronti della predetta società e in base al quale era
stata iscritta dal già indicato istituto bancario ipoteca giudiziale sui beni
della Edilcalcestruzzi sin dal 1986; rappresentavano che gli immobili da
loro acquistati, per effetto, della ricordata ipoteca, erano stati
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ALESSE PAOLO quale curatore del FALLIMENTO DELLA

successivamente sottoposti a pignoramento. Tanto premesso e
ritenuto che il notaio Cultrera non aveva effettuato le dovute visure
ipotecarie, il Motta e la Mileti convenivano in giudizio, innanzi al
Tribunale di Siracusa, il notaio Cultrera Maria, Adernò Corrado e il
curatore del fallimento della Edilcakestruzzi di Ademò Corrado e C.

condanna dei convenuti al risarcimento dei danni nella misura di L 150
milioni, oltre interessi e rivalutazione.
Si costituiva in giudizio il curatore dei due fallimenti e deduceva che gli
attori, assistiti da un legale alla stipula del contratto, ben sapevano che
l’immobile acquistato era gravato di ipoteca e non avevano provveduto
a corrispondere l’intero prezzo; chiedeva, pertanto, il rigetto della
domanda e proponeva domanda riconvenzionale volta alla condanna
degli ati ori al pagamento del prezzo residuo.
Anche il notaio Cultrera si costituiva e rappresentava che le parti
l’avevano espressamente esonerata dall’eseguire le visure ipotecarie e
catastali per motivi di urgenza, si erano presentate al suo studio
assistite da un avvocato di fiducia e già munite della necessaria
documentazione ed avevano dichiarato di essere consapevoli
dell’esistenza delle formalità gravanti sull’immobile; concludeva per il
rigetto della domanda.
Non si costituiva Adernò Corrado.
Il Tribunale di Siracusa, con sentenza del 3 febbraio 2003, dichiarava
improponibile la domanda degli attori proposta nei confronti del
fallimento della Edilcalcestruzzi di Adernò Corrado e C. s.a.s. e del
fallimento di Ademò Corrado e inammissibile la domanda proposta
dalla curatela dei predetti fallimenti; dichiarava inammissibile la
domanda degli attori proposta nei confronti di Adernò Corrado;
accoglieva la domanda degli attori nei confronti del notaio Cultrera e la
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s.a.s. e il curatore del fallimento di Ademò Corrado, chiedendo la

condannava al pagamento, in favore degli istanti, della somma di €
115.000,00, oltre interessi; regolava tra le parti le spese di lite.
Avverso tale decisione Cultrera Maria proponeva appello, cui
resistevano i coniugi Motta e Mileti nonché il curatore dei già indicati
fallimenti.

riteneva che dalle risultanze istruttorie non emergeva che il notaio
fosse stato dispensato dall’effettuare le visure ipotecarie ed era anzi
risultava che aveva eseguito tali visure; rilevava che non era stata
fornita la prova dell’asserita urgenza di stipulare l’atto di vendita;
affermava che tuttavia non andava riconosciuto il chiesto risarcimento
dei danni in quanto “l’incipiente esproprio immobiliare”, dedotto
nell’atto introduttivo, non costituiva di per sé prova di un pregiudizio
attuale ed effettivo, che si configurava solo con l’avvenuta
espropriazione dell’immobile, non dimostrata dai coniugi appellati;
rigettava, pertanto, la domanda avanzata da questi ultimi nei confronti
del notaio e confermava nel resto la sentenza impugnata, con integrale
compensazione delle spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito Motta Luigi e Mileti Rosa
hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
Ha resistito con controricorso Insenga Domenico, quale erede del
notaio Cultrera Maria.
L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con la sentenza dell’il aprile 2012, n. 5698 le Sezioni unite di questa
Corte, ribadendo e precisando principi già enunciati in precedenti
pronunce delle stesse Sezioni unite (Cass. 17 luglio 2009, n. 16628;
Cass., ord., 9 settembre 2010, n. 19255) e delle Sezioni semplici (Cass.,
1° febbraio 2010, n. 2281; Cass. 23 giugno 2010, n. 15180; Cass. 16
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La Corte di appello di Catania, con sentenza del 29 dicembre 2006,

marzo 2011, n. 6279; Cass. 9 febbraio 2012, n. 1905) hanno affermato
che, nel ricorso per cassazione, una tecnica espositiva dei fatti di causa
realizzata mediante la pedissequa riproduzione di atti processuali e
documenti non soddisfa il requisito di cui all’art. 366, primo comma,

pena di inammissibilità.
Costituisce onere del ricorrente operare una sintesi funzionale alla
piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza
impugnata in base alla sola lettura del ricorso, onde evitare di delegare
alla Corte un’attività, consistente nella lettura integrale degli atti
assemblati finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai
fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di
competenza della parte ricorrente.
La pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti
processuali è – hanno affermato da ultimo le Sezioni Unite e tanto va
ribadito in questa sede – per un verso, del tutto superflua, non essendo
affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali
la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a tener
il luogo della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad
affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello
di cui non serve affatto che sia informata), la scelta di quanto
effettivamente rileva in relazione ai motivi di ricorso.
Il rilievo che la sintesi va assumendo nell’ordinamento è del resto
attestato – come evidenziato dalle sezioni Unite con la sentenza più
recente già ricordata – anche dall’art. 3, n. 2, del codice del processo
amministrativo (di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), il quale prescrive
anche alle parti di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica.
Ciò vale anche per quanto riguarda gli atti e i documenti, nel caso in
cui si assuma che la sentenza impugnata è censurabile perché non ne
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c.p.c., che prescrive “l’esposizione sommaria dei fatti della causa” a

ha tenuto conto o li ha male interpretati: in questo caso, la testuale
riproduzione nel ricorso di tali atti e documenti è bensì richiesta, ma
pur sempre attraverso un ineludibile compito di sintesi e di selezione
che non costringa questa Corte a leggerli nella loro interezza (a meno
che ciò non sia assolutamente necessario) e a stabilire se ed in quale

ord., 11 gennaio 2013, n. 593; Cass., ord., 12 ottobre 2012, n. 17447;
Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168, Cass. maggio 2012, n. 7332).
Nella specie il ricorso, risultante in gran parte dall’assemblaggio di
interi atti (atto di citazione, comparsa di risposta della Cultrera,
comparsa di costituzione e risposta del curatore dei due fallimenti
convenuti, sentenza di primo grado, atto di appello, comparsa di
costituzione in secondo grado degli attuali ricorrenti, comparsa di
costituzione in secondo grado del curatore dei predetti fallimenti,
sentenza di secondo grado), così come formulato, è assolutamente
inidoneo ad assolvere al requisito dell’esposizione sommaria del fatto,
equivalendo ad un mero rinvio alla lettura di tali atti della fase di
merito e “bypassando”, in tal modo, il principio di autosufficienza del
ricorso per cassazione. In sostanza, il requisito dovrebbe essere attinto
da atti estranei al ricorso e, quindi, non si connoterebbe più come
requisito di contenuto-forma del ricorso.
2. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
3. Resta assorbita ogni altra questione.
4. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente

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parti essi rilevino per poter comprendere, valutare e decidere (v. Cass.,

giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 3.800,00, di cui
euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza

Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 settembre 2013.

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