Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25854 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 14/10/2019), n.25854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28851/2014 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) S.a.s., in persona del curatore fallimentare

Dott. Q.L., elettivamente domiciliato in Roma Vicolo

del Mazzarino n. 14, presso lo studio dell’avvocato Del Vaglio

Mario, rappresentato e difeso dagli avvocati Miccinesi Marco,

Pistolesi Francesco, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Equitalia Centro S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via delle Quattro Fontane

n. 161, presso lo studio dell’avvocato Ricci Sante, rappresentata e

difesa dagli avvocati Cimetti Maurizio, Parente Giuseppe, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il

30/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2019 dal Cons., Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Firenze, con ordinanza n. 4486/14 pubblicata il 30 ottobre 2014, ha rigettato l’impugnazione proposta dalla curatela fallimentare avverso l’ammissione in via privilegiata di Equitalia al passivo del fallimento della (OMISSIS) sas, relativamente all’importo di 287.625,13 Euro, a titolo di sanzioni tributarie.

La Corte territoriale in particolare rilevava che secondo lo steso tenore letterale dell’art. 2752 c.c. le sanzioni dovute in materia Iva erano assistite da privilegio generale e che l’eccezione di illegittimità costituzionale di tale disposizione doveva ritenersi manifestamente infondata, nonostante l’indubbio carattere afflittivo della stessa: la sanzione infatti non colpisce un soggetto terzo, non potendo attribuirsi tale qualifica al fallimento, che integra una procedura concorsuale di gestione dell’insolvenza, posto che dalla dichiarazione di fallimento non deriva la successione del fallimento alla debitrice, ma il mero spossessamento della medesima.

Avverso detto decreto propone ricorso, con due motivi, la curatela del fallimento (OMISSIS) sas Equitalia resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di legge, censurando la statuizione della sentenza impugnata con la quale è stata respinta l’eccezione della curatela fallimentare, sul rilievo che la natura afflittiva del credito sanzionatorio non varrebbe a sottrarre detto credito all’ammissione allo stato passivo fallimentare.

La ricorrente deduce che dall’afflittività che caratterizza il sistema delle sanzioni tributarie discenderebbe il carattere strettamente personale delle stesse, che impedirebbe di trasferirne il peso su un soggetto diverso dall’autore dell’illecito.

Ad avviso della ricorrente tali argomenti non sarebbero contraddetti dalla disposizione dell’art. 2752 c.c. (nella formulazione successiva alle modifiche apportate dal D.L. n. 98 del 2011), che opererebbe su un piano distinto da quello concernente la formazione dello stato passivo fallimentare, in quanto essa opererebbe nell’ambito delle sole procedure esecutive di carattere non concorsuale, nelle quali non si dà luogo alla liquidazione dell’intero patrimonio del debitore.

Il motivo è inammissibile, in quanto non attinge la ratio della statuizione impugnata.

La Corte territoriale ha rilevato che il carattere afflittivo della sanzione non è incompatibile con l’operatività del privilegio generale, espressamente sancita dall’art. 2752 c.c..

L’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale non implica successione nella titolarità delle relative situazioni giuridiche ma mero spossessamento del debitore, onde non è ravvisabile alcuna modifica o traslazione del soggetto passivo del tributo, attuandosi unicamente il concorso del credito per sanzioni, secondo i principi generali, con gli altri crediti nei confronti della debitrice.

Tale statuizione è conforme a diritto.

Come questa Corte ha già rilevato, le sanzioni pecuniarie per la violazione di leggi tributarie commesse in data antecedente al fallimento del contribuente, costituiscono un credito che soggiace all’applicazione di tutte le regole civilistiche, sia che si verta in una fase fisiologica del rapporto obbligatorio, sia che si verta nell’ambito di una procedura concorsuale, dovendo l’Amministrazione soddisfarsi secondo le regole del concorso, nei modi stabiliti dalla legge. Pertanto, è infondata l’eccezione per la quale, in costanza di fallimento, l’esigibilità delle sanzioni tributarie dovrebbe essere congelata, potendo l’amministrazione finanziaria farle valere esclusivamente una volta che il fallito sia tornato “in bonis”, sia perchè il fallimento non equivale alla morte dell’imprenditore, tanto che con esso il contribuente non viene privato della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, sia perchè la postergazione del pagamento dei crediti derivanti dalle sanzioni pecuniarie violerebbe la disciplina imperativa di cui all’art. 2752 c.c. e diverrebbe un modo per sfuggire al pagamento delle sanzioni amministrative in danno dell’erario (Cass. 23322/2018).

Va altresì rilevata la manifesta infondatezza dell’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 2752 c.c., che prevede espressamente il privilegio generale del credito per sanzioni derivanti da violazioni iva, attesa la discrezionalità del legislatore nell’attribuzione di qualifica privilegiata in ragione della particolare causa del credito, cui non osta, evidentemente, il carattere afflittivo della sanzione.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione alla statuizione della sentenza impugnata che ha condannato la curatela fallimentare alla refusione delle spese di lite, pur a fronte della novità della questione.

Il motivo è infondato, dovendo farsi applicazione del consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione, con una espressa motivazione, del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. 11329/2019).

Nel caso di specie, peraltro, il Tribunale ha specificamente rilevato che la condanna alle spese derivava dalla soccombenza integrale della curatela e dal fatto che l’orientamento adottato era già stato affermato da precedente pronuncia del medesimo Tribunale.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 10.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre al rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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