Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25854 del 02/12/2011

Cassazione civile sez. I, 02/12/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 02/12/2011), n.25854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 22158/2006 R.G. proposto da:

LE ASSICURAZIONI DI ROMA, MUTUA ASSICURATRICE COMUNALE ROMANA s.p.a.,

in persona del Direttore generale Dott. B.V.,

rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso,

dagli avv.ti IANNOTTA GREGORIO e Antonella Iannotta ed elett.te

dom.ta presso il loro studio in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 82;

– ricorrente –

contro

Avv. K.K.D.L.G.T.;

– intimato –

e sul ricorso n. 27383/2006 proposto da:

Avv. K.K.D.L.G.T., elett.te dom.to presso il

suo studio in Roma, Via degli Scialoja n. 6, rappresentato e difeso

da se medesimo e dal prof. avv. Antonino Cataudella;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

LE ASSICURAZIONI DI ROMA, MUTUA ASSICURATRICE COMUNALE ROMANA s.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3360/2005,

depositata il 21 luglio 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

settembre 2011 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;

udito per la ricorrente principale l’avv. Antonella IANNOTTA;

udito per il controricorrente e ricorrente incidentale il prof. avv.

Antonino CATAUDELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Ascoroma s.p.a. fora Le Assicurazioni di Roma – Mutua Assicuratrice Comunale Romana s.p.a.) esercitò azione di responsabilità nei confronti dei propri amministratori per il danno da essi cagionato alla società, la quale aveva dovuto pagare una pesante sanzione amministrativa pecuniaria dovuta al disordine amministrativo e contabile riscontrato dall’ISVAP. L’adito Tribunale di Roma condannò gli amministratori in solido al pagamento di L. 858.734.000.

Sul gravame di uno di essi – l’avv. K.K.D.L.G. T. – la Corte d’appello romana ha riformato la sentenza di primo grado, facendo applicazione del principio per il quale non è dovuto il risarcimento dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

Ha ritenuto che la società male aveva fatto ad eseguire il pagamento della sanzione in misura ridotta, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 16, dato che l’obbligazione sanzionatoria era estinta essendo la contestazione dell’addebito intervenuta oltre il termine di novanta giorni di cui all’art. 14, comma 2, L. cit.. Doveva infatti ritenersi che quantomeno dal 18 maggio 1993 l’ISVAP avesse ormai acquisito tutti gli elementi necessari per la contestazione, cui però aveva provveduto soltanto il 14 settembre successivo.

La Corte ha quindi respinto la domanda proposta nei confronti dell’appellante e ha dichiarato compensate le spese di entrambi i gradi del giudizio.

La società ha proposto ricorso per cassazione per un solo, complesso motivo, cui l’intimato ha resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale per un motivo. Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I ricorsi principale e incidentale vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Va inoltre respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente sul rilievo della mancanza dei quesiti di cui all’art. 366 bis c.p.c.: norma in realtà inapplicabile riguardando il ricorso una sentenza pubblicata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che l’ha introdotta.

2. – Con l’unico motivo del ricorso principale, deducendo violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si sostiene:

a) che l’art. 1227 c.c., comma 2, impone al creditore del risarcimento un comportamento attivo conforme a buona fede volto ad evitare o limitare il danno, così salvaguardando l’interesse del debitore; ciò che, appunto, nella specie aveva fatto la società pagando tempestivamente la sanzione in misura ridotta proprio per scongiurare il pericolo del pagamento della sanzione integrale;

b) che la stessa Corte d’appello ammette che “spetta al giudice di merito apprezzare la congruità del tempo ragionevolmente necessario all’amministrazione per acquisire i dati e valutarne la consistenza ai fini della corretta formulazione della contestazione” ed ha, in concreto, valutato la decorrenza del termine da una data diversa da quella ritenuta dal giudice di primo grado: è dunque contraddittorio che abbia poi escluso l’incertezza dell’esito di una eventuale impugnazione della sanzione amministrativa, incertezza che a sua volta destituiva di fondamento qualsiasi addebito di negligenza ai sensi dell’art. 1227, comma 2, cit., a carico della società;

c) che la condotta pretesa dai giudici di appello dalla società, ai sensi della predetta norma, ben avrebbe potuto essere posta in essere dallo stesso avv. K.K.D.L.G., il quale aveva titolo ad impugnare la sanzione quale obbligato diretto alla stessa;

d) la prova che il creditore avrebbe potuto evitare il danno usando l’ordinaria diligenza incombe sul debitore, che nella specie non l’aveva fornita: tale prova, infatti, sarebbe potuta scaturire soltanto dall’accoglimento dell’opposizione alla sanzione amministrativa, che però egli non aveva proposto.

2. – Nessuna di tali censure può essere accolta.

2.1. – Quanto alla prima, va precisato che l’art. 1227 c.c., comma 2, non si limita ad imporre un qualsiasi comportamento soggettivamente inteso ad evitare o ridurre il danno, ma impone un comportamento diligente. Non basta, dunque, la semplice finalità di operare nell’interesse del debitore, occorre anche obbiettivamente operare con diligenza in quel senso: ciò che invece è appunto mancato, secondo i giudici di merito, nella specie.

2.2. – La censura b) è inammissibile perchè attiene ad un profilo – quello della valutazione di congruità del tempo impiegato dall’amministrazione per acquisire i dati necessari per la contestazione dell’addebito – estraneo alla ratio della decisione della Corte d’appello, la quale non ha affatto operato, nè ritenuta necessaria nella specie tale valutazione, essendosi limitata, invece, a prendere atto – e si tratta di accertamento di fatto riservato al giudice di merito – che da una lettera dell’ISVAP del 18 maggio 1993 risultava chiaramente che l’Istituto era a quella data già in possesso di tutti gli elementi necessari, onde era appunto da quella medesima data che doveva farsi decorrete il termine di novanta giorni per la contestazione.

2.3. – La censure c) e d), fra loro connesse, sono infondate per l’assorbente ragione che l’avv. K.K.D.L.G. non aveva il potere di impugnare la sanzione pecuniaria.

L’avvenuto pagamento della sanzione in misura ridotta, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 16, estingue, infatti, l’obbligazione sanzionatoria e preclude l’esperimento di qualsiasi rimedio giurisdizionale (cfr. Cass. 2862/2005, 20100/2005, 6382/2007, 18061/2007, 6460/2008, 20544/2008 resa a sezioni unite, tutte riferite all’istituto di cui all’art. 202 C.d.S., che però non presenta particolarita, per il profilo che qui rileva, rispetto a quello disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, art. 16; con specifico riguardo al quale cfr., da ult., Cons. Stato Sez. 6^ 2216/2008). E ciò da parte non solo del soggetto che ha effettuato il pagamento, ma anche degli altri eventuali coobbligati in solido, perchè quel pagamento estingue l’obbligazione sanzionatoria per tutti i coobbligati in solido, ai sensi dell’art. 1292 c.c. (Cass. 8696/2001): del resto a seguito del pagamento in misura ridotta il procedimento sanzionatorio si arresta, l’organo accertatore non deve fare rapporto all’autorità competente per l’emissione dell’ordinanza ingiunzione (Cass. 3052/1991) e quest’ultima non viene dunque emessa, così venendo a mancare la base stessa dell’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 e ss..

3. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale si lamenta, invece, che la Corte d’appello abbia (a) disposto la compensazione integrale delle spese di lite con motivazione di stile ed abbia, altresì, (b) omesso di pronunziarsi sulla richiesta di condanna aggravata della società ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

3.1. – Il motivo è infondato quanto al profilo (a), perchè i giudici di appello hanno disposto la compensazione “anche in considerazione della particolarità e complessità delle questioni oggetto del contendere”, e il senso di tale affermazione ben si coglie sol che si consideri l’ampiezza e l’articolazione della motivazione nel merito.

Quanto al profilo (b) il motivo è inammissibile, perchè è evidente che la Corte d’appello, avendo disposto addirittura la compensazione delle spese per le ragioni dette, ha implicitamente rigettato la richiesta di condanna aggravata.

4. – Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati.

La soccombenza nettamente prevalente della ricorrente principale giustifica la condanna della stessa alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e condanna la ricorrente principale alle spese processuali, liquidate in Euro 11.200,00, di cui 11.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2011

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