Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25851 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. II, 23/09/2021, (ud. 04/03/2021, dep. 23/09/2021), n.25851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17788/2016 R.G. proposto da:

R.M., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Binasco, alla via Matteotti,

n. 1, presso lo studio dell’avvocato Luigia Carla Germani, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso.

– ricorrente –

contro

DEUTSCHE BANK s.p.a., c.f./p.i.v.a. (OMISSIS), in persona del

dirigente Dottor M.D., giusta procura per notar C.

del 24.4.2013, elettivamente domiciliata in Roma, alla via delle

Quattro Fontane, n. 161, presso lo studio dell’avvocato Iolanda

Boccia, che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Gian Carlo

Sessa, la rappresenta e difende in virtù di procura speciale su

foglio allegato in calce al controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 225/2016 della Corte d’Appello di Milano;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 4 marzo 2021 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto notificato il 30.8.2006 R.M. citava a comparire dinanzi al Tribunale di Milano la “Deutsche Bank” s.p.a..

Esponeva che in data 15.12.2001 aveva sottoscritto contratto di franchising con la “Tucker” s.p.a., contratto contemplante il pagamento della somma di Lire 14.990.000, quale contributo ai fini dell’ingresso nel franchising facente capo alla “Tucker”.

Esponeva che nella stessa occasione il funzionario della “Tucker” lo aveva indotto a sottoscrivere un modulo denominato “Prestitempo” ai fini del finanziamento della somma necessaria per la corresponsione del contributo d’ingresso nel franchising.

Esponeva segnatamente che aveva sottoscritto il modulo “in bianco”, privo, tra l’altro, dell’indicazione dei tassi “tan” e “taeg”, del nome del finanziatore, del servizio finanziato, del numero delle rate da rimborsare e dell’importo di ciascuna rata e senza aver avuto la possibilità di leggere le condizioni di finanziamento apposte sul retro del modulo.

Proponeva quindi, in via principale, querela di falso avverso il modulo denominato “Prestitempo” – dalla “Deutsche Bank” s.p.a. nelle more posto a fondamento di un ricorso monitorio esperito nei confronti di egli attore – siccome il riempimento era avvenuto “absque pactis” e conseguentemente chiedeva accertarsi e dichiararsi la falsità dello stesso modulo.

2. Resisteva la “Deutsche Bank” s.p.a..

3. All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 13742/2012 l’adito tribunale rigettava la querela di falso.

4. Proponeva appello R.M..

Resisteva la “Deutsche Bank” s.p.a..

5. Con sentenza n. 225/2016 la Corte d’Appello di Milano rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Evidenziava la corte che dalle medesime allegazioni dell’appellante si desumeva che la richiesta di finanziamento era avvenuta contestualmente alla stipula da parte del R. del contratto di franchising con la “Tucker”, sicché la sottoscrizione del modulo “Prestitempo”, pur ad ammettere che non fosse stato compilato in ogni sua parte, non poteva considerarsi avvenuta “absque pactis”, trattandosi di una richiesta accessoria rispetto all’obbligo di versamento del contributo di affiliazione, oggetto appunto del finanziamento.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso R.M.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

La “Deutsche Bank” s.p.a. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 2729 c.c..

Deduce che ha errato la corte d’appello a disconoscere il riempimento “sine pactis”, facendo leva anziché sulle risultanze delle dichiarazioni dei testimoni escussi in primo grado su mere presunzioni, peraltro prive dei caratteri della gravità e precisione.

Deduce segnatamente che i testi escussi hanno chiaramente dato atto che aveva firmato “in bianco” il modulo “Prestitempo” e che non aveva avuto piena consapevolezza di sottoscrivere una proposta di finanziamento.

Deduce che la corte di merito per nulla ha esplicitato le ragioni per le quali ha privilegiato il ricorso alle presunzioni.

Deduce che la corte distrettuale, alla stregua del collegamento negoziale reputato sussistente tra il contratto di franchising ed il modulo di finanziamento, ha presunto sussistente un mandato ad scribendum.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 221 c.p.c..

Deduce che, contrariamente all’assunto della corte territoriale, l’obbligo di preventiva lettura non è elemento atto a scriminare l’ipotesi di riempimento “sine pactis” e l’ipotesi di riempimento “contra pacta”.

Deduce dunque che l’iter argomentativo della Corte di Milano risulta ultra petita, siccome il thema disputandum non era costituito dalla diligenza prestata nel sottoscrivere un “biancosegno”.

9. I motivi di ricorso sono strettamente connessi; il che ne suggerisce la disamina contestuale; ambedue i motivi, in ogni caso, sono da rigettare.

10. Va rimarcato, dapprima, che, merce’ la proposizione della querela di falso, il ricorrente ha innegabilmente prefigurato che il modulo “Prestitempo” sia stato riempito “absque pactis”, in assenza di qualsivoglia patto di riempimento (cfr. Cass. 7.2.2006, n. 2524, secondo cui la denunzia di abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco con sottoscrizione riconosciuta (o autenticata) richiede l’esperimento della querela di falso, ai sensi dell’art. 2702 c.c., nel caso in cui il riempimento stesso sia avvenuto “absque pactis”, ovvero senza che il suo autore sia stato autorizzato dal sottoscrittore con un patto preventivo; diversamente, non è richiesto l’esperimento della querela di falso nella ipotesi un cui il riempimento sia stato eseguito “contra pacta”, cioè in modo difforme da quello consentito dall’accordo intervenuto preventivamente; la diversa disciplina si spiega perché nella prima ipotesi l’abuso incide sulla provenienza e sulla riferibilità della dichiarazione al sottoscrittore, mentre nella seconda si traduce in una mera disfunzione interna del procedimento di formazione della dichiarazione medesima, in relazione allo strumento adottato (mandato “ad scribendum”), la quale implica solo la non corrispondenza tra ciò che risulta dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare; Cass. 1.9.2010, n. 18989).

Cosicché, alla stregua della stessa prospettazione del ricorrente (“(…) anche l’eventuale – non creduto – mandato ad scribendum (…)”: così ricorso, pag. 9), si è al fuori dell’evenienza del riempimento “contra pacta”, evenienza cui, appunto, si correla il mandato ad scribendum.

Cosicché, altresì, è fuor di luogo addurre che il mandato ad scribendum avrebbe dovuto rivestire forma scritta ad substantiam (cfr. ricorso, pagg. 20 – 21), avrebbe dovuto avere un contenuto determinato ovvero determinabile (cfr. ricorso, pagg. 20 – 21) e di certo non sarebbe stato riscontrabile a mezzo presunzioni (cfr. ricorso, pag. 23).

11. Va rimarcato, poi, che la corte d’appello, alla stregua del collegamento negoziale reputato sussistente tra il contratto di franchising ed il modulo di finanziamento, non ha presunto la sussistenza di un mandato ad scribendum; ha opinato viceversa, in chiave presuntiva, per l’insussistenza del riempimento “absque pactis”.

12. In questi termini va debitamente sottolineato che, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice; da ciò consegue che il convincimento del giudice sulla verità di un fatto può basarsi anche su una presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che il giudice fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria (cfr. Cass. 18.4.2007, n. 9245; Cass. 12.9.2011, n. 18644).

13. Su tale scorta i passaggi motivazionali alla cui stregua la corte distrettuale ha opinato per l’insussistenza del riempimento “absque pactis” sono assolutamente congrui ed ineccepibili.

Più esattamente – se è vero, come è vero, che, in tema di prova presuntiva, il sindacato del giudice di legittimità (in ordine all’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione) è circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. (ord.) 17.1.2019, n. 1234) – i passaggi motivazionali fondanti in via “presuntiva” il disconoscimento del riempimento “absque pactis”, vanno esenti da qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale” rilevante alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In particolare, con riferimento all'”anomalia” della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte territoriale, viceversa, ha – così come si è anticipato – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Ulteriormente la corte ha specificato che nella circostanza della stipulazione del contratto di franchising R.M. aveva versato alla “Tucker” la somma di Lire 1.990.000 a titolo di caparra confirmatoria, così manifestando il proposito di accettare le condizioni tutte dalla “Tucker” poste ai fini della stipulazione del contratto di affiliazione e quindi pur il proposito di aderire alla collegata proposta di finanziamento finalizzata all’assolvimento – al netto della caparra – del prezzo dell’affiliazione.

In pari tempo la corte lombarda ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa, ovvero la circostanza del preteso riempimento “absque pactis”.

14. Nel quadro così delineato risultano, pertanto, del tutto ingiustificate le censure veicolate precipuamente dal primo mezzo di impugnazione.

Ovvero l’assunto secondo cui la Corte di Milano avrebbe errato a dar preferenza, con argomentazioni illogiche e contraddittorie, ad elementi di valutazione di rilievo meramente presuntivo rispetto alle dichiarazioni di segno antitetico dei testi escussi.

Si tenga conto, d’altro canto, che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – al di là dell’ipotesi del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, insussistente nel caso de quo – non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce valenza solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

15. Per nulla si configura il vizio di ultrapetizione veicolato dal secondo mezzo di impugnazione.

16. Certo, la corte d’appello ha specificato che l’appellante era ben consapevole della necessità di procedere alla sottoscrizione dei documenti allegati al contratto di franchising, documenti alla cui preventiva lettura era senz’altro tenuto alla stregua della diligenza minima che il caso concreto imponeva (cfr. sentenza d’appello, pag. 5).

E tuttavia il surriferito rilievo e precipuamente il riferimento alla diligenza a ciascuno in via ordinaria richiesta nel disbrigo dei propri affari sono stati utilizzati dalla corte di merito unicamente al fine di accreditare viepiù la ritenuta insussistenza dell’addotta ipotesi di riempimento “absque pactis”.

Va quindi, al riguardo, in toto condivisa l’argomentazione della controricorrente secondo cui “il richiamo alla diligenza richiesta dall’ordinamento è utilizzato (…) per avvalorare ulteriormente l'(…) assenza di qualsivoglia prova del riempimento abusivo del modulo asseritamente sottoscritto “in bianco”” (così controricorso, pag. 20).

17. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

18. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente, R.M., a rimborsare alla controricorrente, “Deutsche Bank” s.p.a., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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