Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25850 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 26/10/2016, dep.15/12/2016),  n. 25850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12780-2012 proposto da:

M.A.S.M., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA XXIV MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PURI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIO AZZARETTO in

virtù di mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.137/42/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 22/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nella controversia concernente l’impugnazione da parte di M.A.S., avvocato, di avviso di accertamento relativo ad IRAP per l’anno di imposta 2004, la C.T.R. della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava integralmente la decisione di primo grado che aveva rigettato il ricorso, ritenendo che il contribuente, il quale risultava avere svolto la sua attività professionale in forma associata, non avesse fornito la prova rigorosa che il reddito derivava dal suo solo lavoro personale ed, anzi, aveva sostenuto esborsi rilevanti per l’acquisto di beni strumentali e per spese di rappresentanza.

Avverso la sentenza il contribuente propone ricorso affidato a cinque motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per non avere la Commissione di secondo grado pronunciato sullo specifico motivo di appello relativo alla mancata motivazione dell’avviso di accertamento.

1.1. La censura non è meritevole di accoglimento, laddove essendosi le due sentenze (di primo e di secondo grado) pronunciate su tutte le questioni di merito ampiamente dedotte in entrambi i gradi dal contribuente, non si ravvisa, nel caso in specie, la violazione dell’art. 112 c.p.c. ma, piuttosto, un rigetto implicito del motivo di gravame.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere il Giudice di appello ritenuto “pacifico” lo svolgimento dell’attività professionale in forma associata (presumibilmente a far data dal 1999) laddove tale fatto non solo non era pacifico, come dimostrato dalla stessa formulazione usata dal Giudice di appello, ma era stato introdotto solo incidentalmente all’udienza svoltasi in secondo grado. Ciò aveva comportato l’ulteriore violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (laddove il Giudice di appello aveva consentito l’ingresso in secondo grado di una circostanza e di un’eccezione non allegate in primo grado) e dell’art. 2697 c.c. (laddove il Giudice di appello aveva operato un’illegittima l’inversione dell’onere probatorio).

3. Con il terzo motivo si deduce sempre la violazione dell’art. 115 c.p.c. laddove i Giudici di appello avevano posto a fondamento della decisione una questione emersa per la prima volta in udienza in violazione del diritto al contraddittorio.

4. Le censure, da esaminarsi congiuntamente siccome vertenti sulla medesima questione, sono in parte infondate e in parte inammissibili.

4.1. Ed invero – premesso che, per orientamento assolutamente pacifico di questa Corte, l’onere probatorio in ordine all’insussistenza dell’autonoma organizzazione spetta al lavoratore autonomo/libero professionista il quale ritenga la propria attività non assoggettabile ad IRAP, e che le eventuali argomentazioni ed allegazioni svolte dall’Ufficio non incorrono nel divieto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 trattandosi di mere difese non amplianti il Thema decidendum – non si ravvisano neppure le ulteriori dedotte violazioni di legge, per più ordini di ragioni, prima di tutte quella per cui il fatto dato per “pacifico” dal Giudice di appello (ovvero lo svolgimento dell’attività professionale in forma associata, a prescindere dal dato temporale, nella specie, irrilevante) non nasce da una “non contestazione” su un fatto introdotto da una delle parti, ma (come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata) da dichiarazioni concordanti rese sul “fatto” dalle stesse parti, ovvero non solo dall’Ufficio ma anche dallo stesso contribuente, il quale, tra l’altro, ancora oggi non contesta ma riconosce (v. pag. 21 del ricorso) di avere svolto la propria attività anche in forma associata.

5. Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 416 del 1997, art. 2 e l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione laddove la Commissione regionale aveva affermato che l’esercizio in forma associata della professione fosse circostanza di per sè idonea a far presumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione.

6. Con il quinto motivo si deducono gli stessi vizi di cui al quarto mezzo laddove, però, la Commissione regionale aveva ritenuto sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione dall’entità dei redditi conseguiti e delle spese sostenute.

7. Le due censure, anche esse esaminate congiuntamente perchè connesse, sono fondate.

Di recente, in materia di studi associati, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 0.7371/16) hanno statuito il seguente principio: “presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione di scambi e servizi; ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del D.Lgs. 15 dicembre 1977, n. 446, art. 3 -comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e di professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege in ogni caso presupposto di imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione”.

Alla luce di detto principio, appare evidente l’errore in cui è incorsa la Commissione territoriale nel ritenere idonea, ai fini dell’assoggettamento all’IRAP, la mera circostanza di fare parte di un’associazione professionale, laddove, come nella specie, soggetto di imposta non è l’associazione tra professionisti, ma il singolo professionista per l’attività svolta personalmente ed al di fuori dell’associazione.

In detta ipotesi valgono i principi recentemente ribaditi e, per alcuni versi, puntualizzati, dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9451/16, ovvero che: il requisito dell’autonoma organizzazione -previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2 -, il cui accertamento, è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id plerumque acciddit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

8. Nell’assenza di ulteriori elementi e rilevata l’ininfluenza ai fini che ci occupano dell’entità dei redditi conseguiti (cfr. Cass. n. 23446/2010), la sentenza impugnata nel dare rilievo al dato numerico del totale delle spese sostenute dal contribuente, estrapolando quelle per beni strumentali (per l’altro, indicando un importo errato laddove a fronte degli Euro 5.745.000,00 indicati in sentenza, le parti si danno reciprocamente atto, nei rispettivi scritti difensivi del diverso importo di Euro 5.745,00) non è conforme ai principi sopra esposti.

9. Ne consegue, in accoglimento del quarto e del quinto motivo di ricorso, rigettati altri, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio al Giudice di merito affinchè provveda al riesame adeguandosi ai superiori principi e regoli le spese processuali.

PQM

La Corte, in accoglimento del quarto e del quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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