Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25848 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. III, 16/11/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 16/11/2020), n.25848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI ENRICO – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3434-2019 proposto da:

SACCNE RETE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

146, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO MOCCI, rappresentato e

difeso dagli avvocati EUGENIO BRIGUGLIO, FRANCA RISICA;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIACOMO

DELLA PORTA 18, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CAPORALI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FILIPPO TUDISCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2332/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Catania, con sentenza del 30 ottobre 2017, accogliendo domanda proposta da C.A. quale locatore, dichiarava illegittimo il recesso della conduttrice Saccne Rete S.r.l. da contratto di locazione ad uso commerciale stipulato l’8 settembre 2011 relativo ad un impianto di distribuzione di carburante, recesso che la conduttrice aveva dichiarato di espletare mediante raccomandata del 1 luglio 2005 in forza dell’art. 7 del contratto – da cui il potere di recesso era previsto in caso di riduzione dell’erogazione del carburante in misura superiore al 30% dell’anno precedente per “variazioni del mercato degli idrocarburi” e non per volontà della parte conduttrice – e altresì ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 27.

Saccne Rete proponeva appello, cui controparte resisteva, e che la Corte d’appello di Catania rigettava con sentenza del 13 novembre 2018.

Saccne Rete ha proposto ricorso, articolato in cinque motivi – illustrati anche con memoria -, e da cui l’ A. si è difeso con controricorso. La trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380.1 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112,342 e 434 c.p.c.

La Corte d’appello ha ritenuto inammissibile il quarto motivo del gravame per genericità. In tal modo avrebbe violato gli artt. 342 e 434 c.p.c. alla luce dell’insegnamento di S.U. 27199/2017, per cui all’appello non occorrono forme sacramentali nè un progetto alternativo di decisione.

A pagina 19 dell’atto d’appello, l’attuale ricorrente avrebbe censurato la sentenza di primo grado ove affermava che “l’abbattimento catastrofico” (oltre il 30%-50%) delle vendite nell’impianto era derivato dalla scelta di Saccne Rete di tenere chiuso l’impianto o di acquistare minori quantità di carburante per vendervelo. Invero, Saccne Rete aveva presentato in modo chiaro le sue doglianze.

Anzitutto, “l’evidente travisamento dei fatti”, perchè la chiusura dell’impianto era avvenuta “solo dopo il drastico calo delle vendite”, e altresì perchè “i quantitativi di carburante da acquistare sono stabiliti dai gestori”.

Inoltre, aveva lamentato che il giudice di prime cure aveva ritenuto apoditticamente “che la variazione del mercato degli idrocarburi dovesse necessariamente tradursi in una riduzione significativa dell’erogato in base nazionale”. Su questo il giudice d’appello, dopo avere dichiarato inammissibile il motivo, contraddittoriamente ha svolto il suo vaglio, per giungere a negare che fosse stata adeguatamente contrastata la ratio decidendi del primo giudice di mancanza di prova della “riferibilità della riduzione delle vendite a variazioni di mercato su base nazionale”.

La corte territoriale non avrebbe tenuto in conto che, se il Tribunale non aveva vagliato le difese, l’appello poteva consistere proprio nel riproporle, “con i dovuti adattamenti”. Nel caso in esame il Tribunale in effetti avrebbe ritenuto esistente un fatto inesistente (la “chiusa dell’impianto anche per lunghi periodi”) e l’appellante “può limitarsi a sottoporre al giudice di appello… le stesse prove e gli stessi argomenti”.

2. Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112,342 e 434 c.p.c.

Il motivo censura la motivazione della corte territoriale relativa alla prima doglianza d’appello, sostenendo che la corte avrebbe dovuto compiere una revisio prioris instantiae in base ad ogni documentazione e ad ogni argomentazione del primo grado, mentre si sarebbe limitata a ritenere non adeguatamente criticata l’argomentazione del giudice di prime cure. E in tal modo implicitamente la corte avrebbe ritenuto l’appello un’impugnazione a critica vincolata, avverso l’insegnamento di S.U. 27199/2017; avrebbe dovuto invece esaminare il contenuto dell’art. 7 del contratto per verificare se sussistevano i presupposti del recesso, o comunque verificare se sussistevano i presupposti di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 27.

Viene poi contestata la motivazione della sentenza impugnata nei suoi argomenti, ribadendo che erroneamente il giudice d’appello non avrebbe effettuato revisio prioris instantiae, e sostenendo che “ha trasformato l’appello in un anticipato ricorso per Cassazione”. Si richiamano anche documenti per affermare che era stata provata “la grave crisi che ha colpito i gestori di impianti delle società petrolifere” e asserire che il giudice d’appello non ne avrebbe tenuto conto.

3. Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Viene trascritto l’art. 7 del contratto, per argomentarvi in relazione al contenuto di prove documentali, in base al quale vi sarebbe stata una riduzione dell’erogazione del carburante ben superiore a quella prevista in detto articolo, deducendone quindi la legittimità del recesso, peraltro anche in riferimento alla L. n. 392 del 1978, art. 27; e il giudice d’appello avrebbe ignorato “tali circostanze”.

4. Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo e discusso, espressamente “riproponendo le medesime argomentazioni esposte nel precedente motivo” per “scrupolo difensivo”.

Si riportano effettivamente gli stessi dati fattuali del motivo precedente, concludendo come già in esso si era concluso.

5. Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,2697 c.c., art. 115 c.p.c. e L. n. 392 del 1978, art. 27.

5.1 Si richiama ancora, in primo luogo, l’art. 7 del contratto e si riportano in sostanza i dati fattuali già addotti nel terzo e nel quarto motivo, espandendo ulteriormente le argomentazioni fattuali sugli effetti della “crisi economica” e sulle caratteristiche dell’impianto antistante proprio di un concorrente, per concludere che, “contrariamente a quanto ritenuto dai giudici”, sarebbe stato provato, “in modo indiretto sulla base di una serie di argomentazioni supportate da prove documentali”, l’esistenza del presupposto del recesso, cioè “della riconducibilità della diminuzione dell’erogato” a oggettivi fattori “non legati alla sfera” dell’attuale ricorrente.

Peraltro, “l’esistenza delle condizioni esposte” non sarebbe stata mai contestata, per cui dovrebbe ritenersi provata.

5.2 In secondo luogo si sostiene che i giudici di merito sarebbero stati, inoltre, “tratti in inganno” dalla tesi di controparte per cui l’attuale ricorrente avrebbe potuto gestire direttamente l’impianto, in tal modo “spostando” a suo carico l’onere della prova che, appunto per gestirlo direttamente, avrebbe dovuto sostenere appositi costi, e così stravolgendo i principi dell’onere probatorio. Comunque, per gestire un impianto senza persona fisica, sarebbe necessario automatizzarlo: la corte territoriale avrebbe allora violato la L. n. 392 del 1978, art. 27 non tenendo conto del terzo motivo d’appello, evidenziante l’errore di diritto del Tribunale per non avere considerato che oggettività, imprevedibilità ed estraneità sono requisiti soltanto dei gravi motivi che rendano oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto locatizio, e non riguardano invece “le consequenziali scelte imprenditoriali”. Il motivo d’appello avrebbe quindi denunciato il travisamento del concetto di volontarietà, essendo state ritenute volontarie “le scelte imprenditoriali successive ai gravi e sopravvenuti fatti”. In questo modo il giudice di merito avrebbe violato l’insegnamento di Cass. 17042/2003: il requisito della “estraneità” alla volontà del conduttore riguarda le circostanze che gli rendano oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto, e non le determinazioni che, per tali circostanze, il conduttore stesso poi adotti. “In altri termini, in presenza di fatti che rendano necessario un ridimensionamento dell’organizzazione aziendale del conduttore… il requisito dell’estraneità riguarda le cause obiettive che impongono tale ridimensionamento”. Pertanto sia il Tribunale, sia la Corte d’appello non avrebbero tenuto in conto che le clausole concernenti la durata del rapporto locatizio (diciotto anni) e il canone minimo (Euro 40.000) “potevano trovare la loro ragion d’essere solo in un andamento più che remunerativo dell’impianto”. Segue l’esposizione di dati fattuali relativi ai litri di carburante erogati nel 2011 e nel 2014, per dimostrare una riduzione di 76,34%, “imprevedibile ed eccezionale”, cui si verrebbe a sommare la necessità di altri costi per l’impossibilità di affidare in gestione l’impianto, concludendo poi con ulteriori argomenti fattuali attinenti al canone e agli utili, così da attribuire infine ai “giudici di merito” il malgoverno dei principi dell’onere della prova e dell’interpretazione contrattuale, nonchè dei principi indicati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai gravi motivi cui fa riferimento la L. n. 392 del 1978, art. 27.

6. In primis, deve rilevarsi che il controricorrente ha eccepito l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c. per omessa produzione della sentenza notificata il 14 novembre 2018, che – invece – agli atti sussiste, onde l’eccezione risulta infondata.

Il controricorrente eccepisce inoltre che la notifica del ricorso avvenne il 15 gennaio 2019 e pertanto con un giorno di ritardo rispetto alla scadenza del termine breve, che sarebbe stata il 14 gennaio 2019. Diversamente, emerge dal ricorso che la notifica è stata effettuata dall’ufficiale giudiziario il 15 gennaio 2019 ma altresì che il ricorso fu consegnato per la notifica all’ufficiale giudiziario in data 14 gennaio 2019 “quale ultimo giorno utile”.

Alla luce della sentenza 23 gennaio 2004 n. 28 della Consulta, per il notificante la notifica si perfeziona al momento della consegna all’ufficiale giudiziario, per cui si deve ritenere che il ricorso è stato tempestivamente notificato (il 14 gennaio 2019 era un lunedì).

Il controricorrente, infine, prospetta sulla base di argomentazioni palesemente infondate una pretesa acquiescenza della ricorrente alla sentenza di primo grado, acquiescenza che, invece, per quanto risulta dagli atti non si verificò.

7. Il primo motivo, oltre a muovere generiche censure alla motivazione della sentenza impugnata, introducendo altresì, seppur anch’esse in modo non approfondito – critiche direttamente fattuali – il che in parte qua lo rende inammissibile -, prospetta che l’atto di appello, pur con non identificati “adattamenti”, può riproporre tout court quanto non esaminato dal primo giudice: in tal modo non considera che l’appellante deve comunque confutare le ragioni sulla base delle quali la sentenza impugnata si fonda, non essendo il giudice obbligato a riportare e trattare in motivazione tutto il contenuto delle argomentazioni difensive se ha già strutturato una motivazione sufficiente, id est assorbente di ogni altro aspetto ulteriore.

Consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, infatti, insegna che, non essendo il giudizio di appello un novum iudicium bensì una revisio primae instantiae, la specificità delle censure deve rapportarsi alle argomentazioni della sentenza di primo grado in modo da inficiarne il fondamento logico-giuridico: principio, questo, già seguito per il gravame non disciplinato dalla novella del 2012 (cfr., per mero esempio, Cass. sez. 2, 23 febbraio 2017 n. 4695 e Cass. sez. 1, 27 gennaio 2014 n. 1651 e S.U. 9 novembre 2011n. 23299), e che è stato chiaramente ribadito in relazione alla interpretazione di detta riforma – qui applicabile – da S.U. 16 novembre 2017 n. 27199: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.” (tra gli arresti massimati, conforme Cass. sez. 6-3, ord. 30 maggio 2018 n. 13535 e cfr. pure Cass. sez. L, 23 marzo 2018 n. 7332).

Sine dubio tale principio si deve condividere, il che conduce, sotto il presente profilo, il motivo al rigetto.

8. Quanto al secondo motivo – il cui contenuto è assai prossimo a quello appena vagliato del motivo precedente -, si deve ripetere che sempre alla luce di S.U. 16 novembre 2017 n. 27199 gli artt. 342 e 434 c.p.c., come novellati dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modifiche in L. 7 agosto 2012, n. 134, impongono appunto nell’atto d’appello una precisa individuazione delle questioni e dei punti contestati e la confutazione delle relative ragioni adottate dal primo giudice. L’arresto nomofilattico ha inoltre affermato – ancora si rimarca – la permanenza della natura di revisio prioris instantiae nel vigente giudizio d’appello, a differenza delle impugnazioni a critica vincolata, per cui nell’atto d’appello non sono necessarie formule sacramentali nè è necessario un progetto alternativo di decisione (conforme Cass. sez. 6-3, ord. 30 maggio 2018 n. 13535, cit.; e cfr. Cass. sez. 3, 21 agosto 2018 n. 20836 – per cui nell’appello si deve dimostrare la fondatezza dei motivi con “una precisa e ben argomentata critica della decisione impugnata, formulando pertinenti ragioni di dissenso in relazione alla operata ricostruzione dei fatti ovvero alle questioni di diritto” – nonchè, da ultimo, Cass. sez. 3, 5 maggio 2020 n. 8460).

In ogni caso l’appello deve individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, “circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata”(così si esprime Cass. sez. L, 23 marzo 2018 n. 7332, cit.).

La corte territoriale, nell’impugnata sentenza, non ha affatto violato l’insegnamento nomofilattico appena ribadito, bensì ha specificamente confutato le censure del gravame – che il motivo, peraltro, nella parte finale, tenta, inammissibilmente, anche di riproporle nella loro natura fattuale -.

Anche questo motivo, in conclusione, risulta infondato.

9. (2242=t1 il terzo e il quarto motivo, che perno essere esaminati congiuntamente, propongono ictu oculi un’alternativa valutazione del merito, incorrendo in una quanto mai evidente inammissibilità.

10. Il quinto motivo è composto di due submotivi.

10.1 Il primo submotivo si riferisce, ancora una volta, alla sussistenza dei presupposti per il recesso da parte del conduttore dal contratto, riproponendo, come già sopra si è evidenziato nel formulare la sintesi del suo contenuto, le argomentazioni fattuali sugli effetti della “crisi economica” e sulle caratteristiche di un impianto antistante di un concorrente, richiamando altresì il contenuto di prove documentali e argomentando pure sulla pretesa assenza di oggettivi fattori riconducibili alla volontaria scelta dell’attuale ricorrente. E si asserisce, infine, che sarebbero da ritenersi provate le “condizioni esposte”.

Si tratta, quindi, di un motivo che sarebbe stato congruo in sede di gravame, ma che in questa sede è sine dubio inammissibile.

10.2 Il secondo submotivo verte sulla possibilità o meno di diretta gestione dell’impianto da parte dell’attuale ricorrente, e sfocia comunque in vari argomenti fattuali che dimostrerebbero la sussistenza dei presupposti del recesso consentito dalla L. n. 392 del 1978, art. 27.

Questa doglianza costituisce un tentativo di circoscrivere, nel senso di mutilare, il più ampio apparato motivazionale che offre la sentenza impugnata; peraltro, non si può non riconoscere che, come dimostra ictu oculi la sua parte finale, non viene neppure a sciogliersi da una sostanza direttamente fattuale.

Anche questo submotivo, quindi, non gode di alcun pregio.

11. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. La proposizione di ben tre eccezioni radicalmente infondate da parte del controricorrente giustifica, proprio per un così elevato livello di infondatezza che si traduce quindi in un abuso processuale, la compensazione delle spese.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso compensando le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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