Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25848 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 14/10/2019), n.25848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25055/2014 R.G. proposto da:

S.F., B.A.G. e B.A.,

rappresentati e difesi dall’Avv. Prof. Aurelio Gentili e dall’Avv.

Alessandro Pellegrino, con domicilio eletto in Roma, via Po, n. 24;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI ASSISI, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso

dall’Avv. Giuseppe Caforio, con domicilio eletto in Roma, via

Barberini, n. 12, presso lo studio del Prof. Avv. E. Tonelli;

– controricorrente –

e

SA.CA. e B.B.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 124/14,

depositata il 3 marzo 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 maggio

2019 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Assisi convenne in giudizio S.F. e G., già proprietarie di un’area pertinenziale della superficie di mq. 2545 sita in (OMISSIS), alla frazione (OMISSIS), proponendo opposizione alla stima dell’indennità dovuta per l’espropriazione dell’immobile, disposta con Decreto 19 dicembre 2008, per la realizzazione di un sottopasso della linea ferroviaria (OMISSIS); convenne altresì in giudizio il Dott. Sa.Ca., in qualità di presidente del collegio di periti che aveva proceduto alla stima, chiedendo la rideterminazione del compenso allo stesso dovuto, sulla base dell’indennità liquidata all’esito del giudizio.

Si costituirono i convenuti e resistettero alla domanda, della quale chiesero il rigetto.

Il processo, dichiarato interrotto per la morte di S.G., fu riassunto nei confronti degli eredi B.A.G., B. ed A. che si costituirono a loro volta in giudizio.

1.1. Con sentenza del 3 marzo 2014, la Corte d’appello di Perugia ha accolto la domanda, determinando l’indennità di espropriazione in Euro 452.656,00, ivi compresi Euro 222.267 per il valore del terreno espropriato, Euro 155.789,00 per il deprezzamento dell’area residua, Euro 34.400,00 per il costo delle opere necessarie per limitare il danno derivante dall’aggravamento della servitù di veduta in conseguenza dell’avvicinamento della strada pubblica, Euro 10.000,00 per il costo delle opere idrauliche rese necessarie dall’espropriazione parziale, Euro 29.500,00 per la perdita delle opere e delle piante insistenti sull’area espropriata.

A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha escluso il difetto di legittimazione del Comune, osservando che quest’ultimo doveva considerarsi beneficiario dell’espropriazione, pronunciata in suo favore.

3. Avverso la predetta sentenza S.F., B.A.G. ed A. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Il Comune ha resistito con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di autosufficienza, proposta dalla difesa del Comune in relazione alle modalità d’illustrazione dell’unico motivo di ricorso, consistenti nel mero richiamo a norme giuridiche e parti degli atti processuali.

La pedissequa riproduzione delle norme giuridiche e di interi brani degli atti sui quali si fondano le censure proposte, pur risultando non in linea con i canoni di chiarezza e concisione cui deve ispirarsi l’illustrazione dei motivi d’impugnazione, non nuoce infatti all’individuazione della parte della sentenza che ne costituisce oggetto, nè alla comprensione delle ragioni del gravame, puntualmente esposte tra un estratto e l’altro: non può dunque ritenersi violato il principio di autosufficienza desumibile dall’art. 366 c.p.c., il quale impone che il ricorso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere una completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonchè di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo (cfr. Cass., Sez. V, 4/10/2018, n. 24340; Cass., Sez. lav., 28/12/2017, n. 31082; Cass., Sez. VI, 3/02/2015, n. 1926).

2. Con l’unico motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la nullità del giudizio e della sentenza impugnata, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 3 e 54, rilevando che il giudizio si è svolto senza la partecipazione della R.F.I. – Rete Ferroviaria Italiana S.p.a., che rivestiva la qualità di litisconsorte necessaria, in quanto promotrice dell’espropriazione dell’area. Premesso che il Comune aveva partecipato al procedimento ablatorio esclusivamente in qualità di autorità espropriante, affermano che l’espropriazione era stata promossa dalla RFI in qualità di avente causa delle Ferrovie dello Stato S.p.a. e dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, alle quali della L. 12 febbraio 1981, n. 17, artt. 1 e 12, L. 10 maggio 1983, n. 189, art. 1 e della L. 8 ottobre 1998, n. 354, art. 1, avevano affidato la realizzazione di un programma integrativo d’interventi per l’ammodernamento delle linee e degl’impianti nell’ambito di un piano poliennale di sviluppo della rete ferroviaria nazionale, che comprendeva, tra l’altro, la soppressione dei passaggi a livello e la costruzione di manufatti sostitutivi. Aggiungono che il progetto preliminare dell’opera, approvato dal Comune con Delib. 7 giugno 2004, n. 70, era stato predisposto dalla RFI, che in qualità di gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale aveva stipulato con il Comune un’apposita convenzione, approvata con Delib. 4 dicembre 2006, n. 158.

2.1. Non merita accoglimento, al riguardo, l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa del Comune, secondo cui la spettanza all’Amministrazione della qualifica di promotrice dell’espropriazione non può essere rimessa in discussione in questa sede, essendosi formato sul punto il giudicato interno, per effetto della mancata impugnazione della sentenza, nella parte in cui ha riconosciuto la legittimazione attiva del Comune.

La questione sollevata dai ricorrenti non concerne infatti la legittimazione a proporre l’opposizione alla stima, che la sentenza impugnata ha peraltro riconosciuto al Comune in qualità non già di promotore dell’espropriazione, ma di beneficiario della stessa, bensì l’individuazione dei soggetti nei confronti dei quali il giudizio avrebbe dovuto essere necessariamente instaurato, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, comma 3 (nel testo, applicabile ratione temporis al giudizio in esame, anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 37, lett. b)).

2.2. Il motivo è peraltro infondato.

L’art. 54, comma 3, cit. prevede infatti che, mentre nel caso di opposizione proposta dal proprietario espropriato la citazione dev’essere notificata all’autorità espropriante, al promotore dell’espropriazione e se del caso al beneficiario, nel caso in cui sia proposta dal promotore dev’essere notificata all’autorità espropriante ed al proprietario del bene. Il D.P.R. n. 327, art. 3, lett. b), c) e d), definisce l’autorità espropriante come “l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il soggetto privato, al quale sia stato attribuito tale potere, in base ad una norma”, il beneficiario dell’espropriazione come “il soggetto, pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di esproprio”, ed il promotore dell’espropriazione come “il soggetto, pubblico o privato, che chiede l’espropriazione”. Nel delineare il promotore come una figura concettualmente distinta dal beneficiario dell’espropriazione (e dall’autorità espropriante), il D.P.R. n. 327 del 2001, lo individua peraltro anche come soggetto passivo dell’obbligazione indennitaria, ponendo a suo carico il pagamento o il deposito sia dell’indennità provvisoria (art. 26) che di quella liquidata dai periti (art. 27), ed attribuendogli anche la legittimazione a proporre l’opposizione alla stima ed a resistere all’opposizione proposta dal proprietario (in quest’ultimo caso come destinatario della domanda, cui si aggiunge eventualmente il beneficiario) (art. 54), alla quale è logicamente ricollegabile (quanto meno in mancanza di un distinto beneficiario) anche la qualità di destinatario dell’ordine di deposito dell’indennità liquidata all’esito del giudizio di opposizione.

Tale complessa disciplina dev’essere interpretata alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ribadito anche a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2011 e fatto proprio anche dalla sentenza impugnata, secondo cui parte del rapporto espropriativo ed obbligato al pagamento dell’indennità verso il proprietario espropriato, e come tale legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima che sia stato da quest’ultimo proposto, è il soggetto espropriante, vale a dire quello a favore del quale è pronunciato il decreto di espropriazione, e ciò anche nell’ipotesi in cui più enti abbiano concorso alla realizzazione dell’opera pubblica, a meno che, in tal caso, dal decreto di espropriazione non emerga che il potere di procedere all’acquisizione delle aree occorrenti sia stato conferito ad un altro ente, al quale sia stato attribuito, in virtù di legge o di atti amministrativi e mediante figure sostitutive di rilevanza esterna, il compito di promuovere e curare direttamente, agendo in nome proprio, le necessarie procedure espropriative, con l’imposizione dell’obbligo di sopportare i relativi oneri (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 20/05/2016, n. 10530; 18/01/2013, n. 1242; 19/07/2012, n. 12541). Com’è noto, quest’ultima fattispecie è stata ritenuta configurabile nei rapporti tra gli enti pubblici nei casi di affidamento improprio, sostituzione o delegazione intersoggettiva (cfr. Cass., Sez. I, 9/04/2003, n. 5566; 28/05/1991, n. 6029, e nei rapporti con soggetti privati nel caso in cui l’esecuzione dell’opera sia stata affidata in concessione c.d. traslativa (cfr. Cass., Sez. I, 20/03/2017, n. 7104; 14/06/2016, n. 12260; 21/06/2012, n. 10390), essendosi ravvisato il fondamento dell’obbligazione indennitaria proprio nella rilevanza esterna dell’attribuzione del potere espropriativo, derivante dal conferimento dell’incarico di compiere in nome proprio gli atti del procedimento ablatorio, in virtù del quale l’unico soggetto destinato ad entrare in contatto con i proprietari espropriati e con gli altri soggetti interessati alla realizzazione dell’opera pubblica è quello che ha ricevuto il relativo incarico, non assumendo alcun rilievo, nei confronti dei terzi, la disciplina dei rapporti interni con l’ente conferente o l’eventuale sussistenza di rapporti di finanziamento con altri soggetti pubblici.

E’ soltanto in queste ipotesi, dunque, che, risultando la gestione del procedimento espropriativo interamente demandata ad un soggetto diverso da quello in favore del quale dev’essere pronunciato il provvedimento conclusivo, ed essendo tale soggetto tenuto altresì al pagamento delle indennità dovute agli espropriati, si verifica quella dissociazione tra la figura del promotore e quella del beneficiario alla quale l’art. 54 cit., ricollega la legittimazione del primo ad agire e resistere nel giudizio di opposizione alla stima, ordinariamente in via esclusiva, ed in concorso con il secondo soltanto in via eventuale, nonchè limitatamente all’ipotesi in cui la domanda sia proposta dall’espropriato. Tale conclusione trova conferma nella genesi storica della nozione di “promotore”, la quale dimostra che tale figura non si distingue ordinariamente da quella del beneficiario, quale soggetto obbligato al pagamento dell’indennità, in quanto procedente in proprio alla realizzazione dell’opera, e quindi interessato alla determinazione della stessa: in tal senso depongono alcune sentenze della Corte costituzionale, con cui fu dichiarata l’illegittimità costituzionale della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 12, comma 5 e art. 20, comma 4, nella parte in cui non prevedevano che l’espropriante, in alternativa al pagamento delle indennità accettate dall’espropriato, potesse proporre opposizione alla stima delle indennità di espropriazione ed occupazione (cfr. sent. n. 173 del 1991 e 365 del 1992), mentre fu dichiarata infondata, ma solo perchè originata da una lettura forzatamente riduttiva della norma impugnata, la questione di legittimità costituzionale della L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 51 e 69, nella parte in cui non riconoscevano anche alla Pubblica Amministrazione, che avesse proceduto all’occupazione provvisoria o all’espropriazione di un’area, il diritto di opporsi alla stima dell’indennità dovuta al proprietario del fondo espropriato od occupato (cfr. sent. n. 135 del 1994). A fondamento di tali pronunce, fu infatti precisato che il principio del giusto indennizzo deve essere operante, in base all’art. 42 Cost., comma 3, non soltanto nei confronti dei soggetti passivi dell’espropriazione, ma anche dei “soggetti che la promuovono e che, di conseguenza, hanno un interesse a che l’indennizzo non travalichi la giusta misura prescritta dalla norma costituzionale”; fu altresì richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che, in riferimento alla disciplina dettata dalla L. n. 2359 del 1865, riconosceva espressamente all’espropriante (cioè al soggetto in favore del quale è emesso il provvedimento ablatorio) la legittimazione a proporre opposizione alla stima eseguita dal perito, proprio in considerazione dell’obbligo, ordinariamente posto a suo carico, di provvedere al pagamento dell’indennità.

2.3. In virtù di tali considerazioni, deve escludersi che nel caso di specie l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica ad iniziativa della RFI possa comportare il riconoscimento in favore della stessa della qualità di litisconsorte necessario nel giudizio di opposizione alla stima promosso dal Comune nei confronti degli espropriati.

E’ infatti pacifico che beneficiario dell’espropriazione è il Comune di Assisi, in favore del quale è stato pronunciato il relativo decreto, emesso peraltro da un dirigente della medesima Amministrazione, nella quale si sono dunque concentrate la predetta qualità e quella di autorità espropriante. La RFI (in qualità di avente causa delle Ferrovie dello Stato, a loro volta succedute all’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato) si è invece limitata, in virtù delle norme invocate, a predisporre il programma d’interventi per il potenziamento e l’ammodernamento delle linee e degl’impianti della rete ferroviaria previsto dalla L. n. 17 del 1981, comprendente anche la soppressione dei passaggi a livello e la sostituzione degli stessi con altri manufatti; in attuazione di tale programma, essa ha fornito anche il progetto preliminare ed il progetto esecutivo dell’opera per cui è stata disposta l’espropriazione del fondo delle S., stipulando la relativa convenzione con il Comune, senza però assumere alcun ruolo nell’ambito del procedimento espropriativo: dagli atti prodotti, parzialmente trascritti anche nel ricorso, non emerge infatti alcuna delega di poteri ablatori, e neppure il conferimento dell’incarico di compiere gli atti preordinati all’emissione del decreto di esproprio, ai quali il Comune ha provveduto autonomamente, assumendo quindi la duplice veste di promotore e beneficiario dell’espropriazione, obbligato al pagamento dell’indennità ed unico legittimato a proporre opposizione alla stima, senza necessità di convenire in giudizio la RFI.

3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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