Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25846 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2021, (ud. 06/05/2021, dep. 23/09/2021), n.25846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12955-2020 proposto da:

AUTOSERVIZI E NOLEGGI DI R.C.P. & C. SAS IN

LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato SABRINA TODARO;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, D.G., DE.GE.MA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4218/2019 del TRIBUNALE di TORINO, depositata

il 19/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 19/9/2019, il Tribunale di Torino ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta dalla Autoservizi e Noleggi di R.C.P. & C. s.a.s. per la condanna di D.G., De.Ge.Ma. e della Allianz s.p.a. al risarcimento dei danni subiti dall’autovettura di proprietà di V.D. in conseguenza del sinistro dedotto in giudizio, tenuto conto della propria qualità di cessionaria del credito risarcitorio del V.;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice, nella parte in cui aveva rilevato la mancata dimostrazione, da parte della società attrice, della riconducibilità dei danni dedotti in giudizio al sinistro in relazione al quale aveva invocato il riconoscimento della responsabilità dei convenuti;

avverso la sentenza d’appello, la Autoservizi e Noleggi di R.C.P. & C. s.a.s. in liquidazione propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

nessun intimato ha svolto difese in questa sede;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112,115,116 e 118 c.p.c., nonché dell’art. 111 Cost., per avere il giudice a quo erroneamente escluso l’avvenuta acquisizione della prova della riconducibilità dei danni de quibus in relazione al sinistro dedotto in giudizio, in contrasto con il tenore rappresentativo del complesso degli elementi di prova analiticamente richiamati in ricorso, erroneamente fondandosi su documentazione e prove allegate da una parte (la Generali Italia s.p.a.) il cui intervento era stato espressamente dichiarato inammissibile dal giudice di primo grado, e dunque pronunciandosi sull’eccezione di parte da ritenersi come non proposta, in palese violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.;

con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2697 e 2730 c.c., per avere il giudice a quo non adeguatamente considerato il complesso delle prove documentali e testimoniali offerte dalla società attrice, del tutto idonee, anche solo sul piano presuntivo, a fornire un adeguato riscontro delle rivendicazioni risarcitorie originariamente avanzate;

i primi due motivi – congiuntamente esaminabili per motivi di connessione – sono inammissibili;

osserva preliminarmente il Collegio come il giudice a quo abbia correttamente rilevato la mancata utilizzazione, da parte del giudice di primo grado, a fondamento della propria decisione, di elementi probatori allegati e prodotti in giudizio da una parte (la Generali Italia s.p.a.) il cui intervento era stato già dichiarato inammissibile in primo grado, avendo viceversa sottolineato come la circostanza asseritamente riconducibile alle prove offerte dalla Generali Italia s.p.a. (consistente nella pregressa sinistrosità del veicolo danneggiato) fosse entrata a far parte del thema decidendum in quanto integralmente recepita negli atti della stessa società odierna ricorrente, avendo quest’ultima allegato circostanze di fatto destinate a comprovare l’avvenuta riparazione dei danni riconducibili ai precedenti sinistri in cui il veicolo dedotto in giudizio era stato coinvolto;

ciò posto, avendo il giudice a quo espressamente qualificato la circostanza della pregressa sinistrosità del veicolo dedotto nel presente giudizio come “fatto non contestato”, e non avendo l’odierna società ricorrente minimamente contraddetto o censurato tale specifica qualificazione (limitandosi a contestare la rilevanza del fatto de quo in quanto dedotto da una parte irritualmente intervenuta in giudizio, senza peraltro contestare l’avvenuta ammissione del fatto sostanziale), deve concludersi per l’assoluta irrilevanza della dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., dovendo piuttosto ritenersi inammissibile detta censura per non avere la ricorrente colto la ratio decidendi fatta propria dal giudice a quo;

tanto premesso, osserva il Collegio come attraverso le censure in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – abbia allegato un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;

si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2727 c.c., in relazione all’art. 143 cpv. cod. assic., per avere il giudice a quo erroneamente trascurato di considerare la regola di cui al citato art. 143, secondo cui il modulo di constatazione amichevole di incidente firmato congiuntamente dai protagonisti di un sinistro vale a fornire una prova presuntiva che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e le conseguenze risultanti dal medesimo modulo, là dove, nel caso di specie, nessuna prova acquisita al giudizio era valsa a superare detta presunzione;

il motivo è inammissibile;

osserva preliminarmente il Collegio come il giudice d’appello abbia correttamente sottolineato come la sottoscrizione, da parte dei protagonisti del sinistro, del modulo di constatazione amichevole di incidente non assuma alcuna valenza confessoria nei confronti della compagnia assicuratrice, in ciò uniformandosi al consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale la dichiarazione confessoria contenuta nel modulo di constatazione amichevole di incidente, resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733 c.c., comma 3, secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti e’, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice (Sez. 3, Ordinanza n. 25770 del 14/10/2019, Rv. 655374 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3567 del 13/02/2013, Rv. 625437 – 01. Sez. U, Sentenza n. 10311 del 05/05/2006, Rv. 588600 – 01);

ciò posto, escluso alcun valore probatorio privilegiato della sottoscrizione di detto modulo, varrà rilevare come l’odierno ricorrente abbia contenuto le proprie censure critiche alla mera espressione del proprio dissenso rispetto alle complessive valutazioni probatorie fatte proprie dal giudice d’appello, in tal modo sostanzialmente rinnovando l’invocazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa, come tale non consentita in sede di legittimità;

sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in relazione alla regolazione delle spese del presente giudizio, non avendo alcun intimato svolto difese in questa sede;

dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 6 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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