Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25845 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2021, (ud. 06/05/2021, dep. 23/09/2021), n.25845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4436-2020 proposto da:

D.V., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DONATO MARUCCIA;

– ricorrente –

contro

ASL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE SCORDARI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA

CRISTINA BASURTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 07/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 7/1/2019, la Corte d’appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dall’Azienda Sanitaria locale di (OMISSIS) e di quello incidentale proposto da D.V., ha rideterminato l’importo della condanna pronunciata dal primo giudice a carico dell’azienda sanitaria, e in favore del D., al fine di risarcirlo dei danni subiti da quest’ultimo a seguito di un intervento chirurgico eseguito presso la struttura sanitaria convenuta;

a fondamento della decisione assunta, per quel che ancora rileva in questa sede, la corte territoriale ha evidenziato le ragioni giustificative della diversa rideterminazione dell’importo risarcitorio riconoscibile in favore del D., pervenendo alla differente quantificazione specificamente indicata in sentenza;

avverso la sentenza d’appello, D.V. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

l’Azienda Sanitaria locale di Lecce resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1224 e 1284 ss. c.c., nonché per omessa motivazione e omessa pronuncia su una parte della domanda (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5), avendo il giudice d’appello trascurato di pronunciarsi sulla rivalutazione monetaria delle somme spettanti al ricorrente a titolo risarcitorio;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva il Collegio come la corte territoriale abbia determinato gli importi indicati in sentenza, a titolo risarcitorio, muovendo dai valori considerati dalle tabelle predisposte presso il Tribunale di Lecce;

ciò posto, non avendo il giudice a quo specificato la data di formulazione delle tabelle utilizzate, né avendo l’odierno ricorrente specificato l’eventuale applicazione di tabelle non corrispondenti a quelle vigenti alla data della decisione, deve ritenersi che la liquidazione del danno operata in sentenza sia stata eseguita ai valori correnti alla data della decisione, con la conseguente insuscettibilità, dell’importo individuato a titolo risarcitorio, d’essere ulteriormente rivalutato;

in forza di tali premesse, la censura in esame, là dove si duole del mancato riconoscimento della rivalutazione degli importi liquidati in proprio favore a titolo risarcitorio, deve pertanto ritenersi fondata su premesse in fatto da ritenersi del tutto indimostrate;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1226 c.c., e dell’art. 3 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudice d’appello erroneamente applicato, al caso di specie, ai fini della determinazione del quantum dovuto a titolo risarcitorio, le c.d. tabelle del danno biologico formulate presso il Tribunale di Lecce, e non già quelle predisposte presso il Tribunale di Milano, già individuate dal giudice di legittimità quale riferimento indispensabile, su tutto il territorio nazionale, ai fini dell’uniformità di trattamento giuridico in materia risarcitoria;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in sede di legittimità, l’allegazione di avvenuta applicazione di una tabella diversa da quella milanese non è sufficiente ex se a inficiare il corretto utilizzo, da parte del giudice, del criterio di liquidazione equitativa, dovendo la correlata denuncia essere accompagnata dall’esposizione delle ragioni che, in concreto, hanno determinato l’incongruo ricorso al criterio in parola (Sez. 3, Sentenza n. 8884 del 13/05/2020, Rv. 657868 – 01);

in altri termini, sostanziandosi le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale in regole integratrici del concetto di equità (atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell’organo giudicante), le stesse devono ritenersi un mero criterio-guida, e non già una normativa di diritto (Sez. 3, Ordinanza n. 1553 del 22/01/2019, Rv. 652512 – 01), con la conseguenza che non comporta violazione dei parametri di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., la liquidazione del danno non patrimoniale operata con riferimento a tabelle diverse da quelle elaborate dal Tribunale di Milano, qualora al danneggiato sia riconosciuto un importo corrispondente a quello risultante da queste ultime, restando irrilevante la mancanza di una loro diretta e formale applicazione (Sez. 3, Ordinanza n. 913 del 17/01/2018, Rv. 647128 – 01);

ciò posto, essendosi il ricorrente totalmente sottratto all’onere di specificare se e in quale misura l’avvenuta applicazione, nel caso in esame, di tabelle di liquidazione del danno biologico diverse da quelle “milanesi” abbia determinato una liquidazione del danno per sé meno favorevole, l’odierna censura deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente delle spese del giudizio secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Aì sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 6 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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