Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25845 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 14/10/2019), n.25845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13779/2015 proposto da:

D.P.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Dei

Pontefici 3, presso lo studio dell’avvocato Fantozzi Giampaolo,

rappresentata e difesa dall’avvocato Polato Paolo, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Monte Dei Paschi Di Siena Spa, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

F. Confalonieri 5, presso lo studio dell’avvocato Manzi Andrea, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Trabucchi Giuseppe,

giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1240/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2019 dal Cons. FEDERICO GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO

ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Fantozzi per il ricorrente in sostituzione

dell’avvocato Polato, che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato Stivali Gaia per il controricorrente, che si riporta

agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 10.05.2005, D.P.M. conveniva innanzi al Tribunale di Treviso la Banca Monte dei Paschi di Siena (già Banca Antoniana Popolare Veneta), per sentir dichiarare, in via principale, l’inesistenza, nullità o annullabilità del contratto di investimento relativo ad obbligazioni emesse dal gruppo Cirio cedute dalla banca convenuta e condannare quest’ultima alla restituzione della somma di Euro 25.000, oltre al rimborso delle spese e risarcimento del danno da svalutazione monetaria;

in via subordinata, riconosciuto ed accertato che il comportamento della banca convenuta non era conforme alla specifica diligenza richiesta anche ai sensi del punto 6 dell’art. 23 TUF, ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in misura pari all’investimento sollecitato.

Costituitasi in giudizio, la banca concludeva per il rigetto delle domande ed in subordine chiedeva che, nell’ipotesi di accertamento della nullità o dell’annullamento degli ordini di acquisto, l’attrice fosse condannata alla restituzione dei titoli compravenduti, ovvero fosse dedotto in compensazione il valore attuale dei titoli medesimi, dichiarandosi altresì la compensazione parziale fra l’importo che doveva essere restituito dalla Banca ai sensi dell’art. 2033 c.c. e quello delle cedole sulle obbligazioni percepite dagli attori; chiedeva infine che, ove fosse stata accertata una propria responsabilità, l’ammontare del danno fosse ridotto in ragione del valore attuale dei titoli in proprietà dell’attrice, tenendo conto del concorso della condotta colposa nella causazione del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c., nonchè della regola di cui all’art. 1225 c.c., nell’ipotesi di esclusione del dolo.

Il Tribunale di Treviso rigettava la domanda.

La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 1240/2014 confermava le statuizioni di prime cure.

La Corte territoriale, in particolare, dichiarava inammissibile, in quanto sollevata soltanto nel giudizio di appello e nel merito infondata, l’eccezione di nullità del contratto – quadro per difetto di forma.

Riteneva inoltre che non fosse stata provata la situazione di conflitto di interessi in capo alla convenuta e, pur rilevando che poteva addebitarsi alla banca una carenza informativa nei riguardi dell’attrice, affermava che non era stata fornita la prova che una corretta informazione sulla rischiosità dei titoli avrebbe dissuaso la D.P. dall’investimento, esistendo un elemento presuntivo contrario, costituito da una propensione dell’attrice all’acquisto di titoli azionari ed obbligazionari con caratteristiche di rischio analoghe a quelle dei titoli in questione.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, D.P.M..

La Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del TUF con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla statuizione di nullità delle operazioni per cui è causa, per grave ed insanabile difetto di forma, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale ritenuto inammissibile l’eccezione di nullità del contratto-quadro, ritenendo che la stessa non fosse stata specificamente sollevata nell’atto di citazione del giudizio di primo grado. Il motivo è inammissibile, in quanto non censura tutte le distinte ed autonome rationes decidendi della statuizione impugnata.

La Corte territoriale infatti non si è limitata ad affermare la tardività della domanda di nullità per difetto di forma, ma ha anche escluso, nel merito, la configurabilità della nullità atteso che dalla copia del contratto del 27 marzo 2000 sottoscritta dalla investitrice risultava espressamente che al momento della sua sottoscrizione le era stato rilasciato un esemplare del contratto – quadro sottoscritto da un soggetto abilitato a rappresentare la banca.

In ogni caso, secondo il più recente indirizzo delle Sez.U. di questa Corte, in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicchè tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti. (Cass. Sez. U. 898/2018).

I contratti bancari soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, così come i contratti di intermediazione finanziaria, non esigono ai fini della valida stipula del contratto la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, in relazione al Regolamento Consob n. 11522 del 1998, art. 28, ratione temporis vigente, per avere la Corte territoriale ritenuto adeguato al profilo di rischio della ricorrente l’ordine di acquisto delle Obbligazioni Cirio.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del TUF in relazione al reg. Consob n. 11522 del 1998, art. 29, per avere la Corte territoriale, pur riconosciuta una carenza informativa ad opera della banca, escluso che l’ordine di acquisto fosse inadeguato. Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 e art. 23, comma 6 del TUF in relazione al Reg. Consob n. 11522 del 1998, art. 29 e all’operatività del conflitto di interessi per avere la Corte territoriale escluso la configurabilità di un nesso causale in re ipsa, in presenza di operazioni inadeguate per tipologia, dimensione e frequenza, avuto riguardo al danno derivante dall’operazione.

I presenti motivi, che, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.

La Corte territoriale ha ritenuto l’adeguatezza dell’operazione per cui è causa (acquisto di bond Cirio) sulla base dell’esperienza (media) in materia di investimenti finanziari e della propensione al rischio dell’investitrice desunta dallo stampato allegato.

Tale statuizione non è condivisibile.

La Corte territoriale ha senz’altro recepito la classificazione della scheda redatta dalla banca, senza indicazione degli elementi in forza dei quali si fonda tale valutazione del profilo della cliente.

Il Reg. Consob n. 11522 del 1998, art. 28 peraltro, prevede un obbligo di diligenza a carico degli intermediari, atteso che, come precisato dalla Consob (comunicazione n. 30396 del 21 aprile 2000),”gli intermediari sono tenuti ad effettuare la valutazione di adeguatezza dell’operazione disposta dal cliente tenendo conto di tutte le notizie di cui l’intermediario sia in possesso (es. età, professione, presumibile propensione al rischio del cliente alla luce della pregressa ed abituale operatività; situazione del mercato)”.

L’adeguatezza dell’operazione dunque non può fondarsi unicamente sulla profilatura raccolta dalla banca, dovendo invece desumersi dall’esame della situazione patrimoniale (portafoglio) e delle pregresse operazioni, di essenziale rilevanza ai fini di delineare la propensione al rischio del cliente.

Nel caso di specie non appare dunque condivisibile la statuizione della Corte territoriale che ha ritenuto di trarre una valutazione di adeguatezza dell’operazione in relazione al profilo della cliente indicato nel modulo prestampato, con apposizione di crocetta nella relativa casella, privo di alcun elemento individualizzante da cui desumere che il profilo delineato derivasse da specifici elementi, riferiti dal cliente o comunque in possesso della banca.

In ogni caso, la stessa sentenza della Corte territoriale (come già quella di primo grado) ha accertato una carenza informativa nei confronti dell’attrice.

Tale carenza informativa, senz’altro ravvisabile nel caso di specie, integra la violazione del corrispondente obbligo previsto dagli artt. 21 e ss. del TUF.

Tali disposizioni disciplinano “i contratti relativi alle prestazioni di servizi di investimento” dettando regole particolari che integrano e talvolta derogano alla disciplina codicistica, imponendo particolari doveri di diligenza da parte degli intermediari professionali a tutela dei risparmiatori.

L’art. 21 TUF in particolare stabilisce che:

“Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono:

a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati;

b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti ed operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati.

Al fine di dare concretezza ai principi suddetti il Regolamento di Attuazione concernente la disciplina degli intermediari (adottato dalla Consob con Delib. 1 luglio 1998, n. 11522 e successive modifiche) ha precisato, quanto ai doveri di informazione (art. 28 Reg. Consob) che gli intermediari autorizzati:

a) devono chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonchè circa la sua propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore.

b) gli intermediari autorizzati inoltre non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento.

L’art. 29 Reg. Consob strettamente correlato ai doveri previsti dall’art. 28 del medesimo Regolamento stabilisce che gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare, con o per conto degli investitori, operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione ed a tal fine tengono conto delle informazioni di cui al citato art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati.

Gli intermediari autorizzati, inoltre, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad un’operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione.

Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto… in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.

L’art. 23, comma 6, del TUF, inoltre, prevede un’inversione dell’onere della prova in favore del cliente stabilendo che “nei giudizi di risarcimento danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”. Questo è dunque il quadro normativo di riferimento della fattispecie negoziale in esame.

Nel presente giudizio risarcitorio la banca resistente aveva quindi l’onere di provare:

a) di aver adeguatamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione o del servizio;

b) l’adeguatezza dell’operazione rispetto ad

esperienza, obiettivi di investimento, situazione finanziaria e propensione al rischio del cliente.

Dovere primario della banca ai sensi dell’art. 28 Reg. Consob è quello di informare adeguatamente il cliente sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento.

Tale dovere, correlato al generale dovere posto dall’art. 21, lett. d), di “disporre di risorse e procedure… idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi”, postula evidentemente, a carico della banca, un obbligo di informarsi sui prodotti offerti alla clientela al fine di esercitare compiutamente il dovere di informare il cliente.

L’art. 26 Reg. Consob precisa al riguardo che “gli intermediari autorizzati, nell’interesse degli investitori e dell’integrità del mercato mobiliare… acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonchè dei prodotti diversi dai servizi di investimenti propri o di terzi, da essi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire.

La conoscenza richiesta è evidentemente diversa e ben più approfondita di quella propria dell’investitore privato, richiedendosi al riguardo una specifica professionalità e competenza e soprattutto una completezza di informazioni da offrire al cliente in modo da consentirgli di effettuare la scelta sul prodotto finanziario offerto nel modo più consapevole.

Tale dovere di operare in modo che il cliente sia sempre adeguatamente informato caratterizza la prestazione dell’intermediario e giustifica il particolare regime di circolazione degli strumenti finanziari ed in particolare delle obbligazioni in oggetto che, come si è visto, (poichè l’offerta non era stata registrata presso la Consob) non potevano essere offerte in sollecitazione del pubblico risparmio, nè vendute direttamente a soggetti privati.

Nella fattispecie in esame la banca, come già ritenuto dai giudici di merito,non ha assolto all’onere di provare di aver adempito al proprio obbligo informativo, fornendo al cliente tutte gli elementi per procedere ad un acquisto consapevole del titolo, posto che lo stesso teste Z., impiegato della banca convenuta, ha dichiarato di non aver informato la cliente del rating del titolo; e ciò anche in ragione del fatto che il titolo non aveva rating.

Risulta infatti che la banca si limitò ad informazioni generiche circa il rapporto tra rischio e rendimento, senza fornire specifiche informazioni sui singoli investimenti proposti e consegnando un documento informativo, di carattere generale, sui rischi delle operazioni, ma privo di riferimenti ad operazioni specifiche dell’investitore.

Non risulta dunque che la banca abbia adempiuto all’obbligo di riferire alla cliente la tipologia e le caratteristiche essenziali del titolo in oggetto, violando così il need of protection dei clienti, investitori non professionali, omettendo in particolare di rendere noto alla cliente gli elementi indicati nell’offering circular, unico documento contenete le informazioni essenziali dei prestiti obbligazionari in oggetto relative al patrimonio dell’emittente, all’EBTDA, nonchè al regime giuridico dell’emissione.

Nel caso concreto ciò ha determinato una carenza di informazioni su punti determinanti nella scelta dell’investimento, carenza tanto più grave in quanto il titolo era privo di rating e di prospetto informativo.

Nell’offering circular erano contenuti numerosi avvertimenti ed erano in particolare espressamente rappresentate le caratteristiche essenziali delle obbligazioni e l’aleatorietà dell’investimento.

La mancata indicazione di detti elementi configura la violazione del dovere di fornire al cliente un’informazione adeguata ed, in ultima analisi, del dovere di efficiente svolgimento dei servizi finanziari ex art. 21 TUF.

In materia di servizi di investimento mobiliare, infatti, l’intermediario finanziario è tenuto a fornire al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, con particolare riferimento alla natura di essi ed ai caratteri propri dell’emittente, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati, restando irrilevante, a tal fine, ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento (Cass. n. 15936 del 18/06/2018).

Gli obblighi d’informazione che gravano sull’intermediario, dal cui inadempimento consegue in via presuntiva l’accertamento del nesso di causalità del danno subito dall’investitore, impongono la comunicazione di tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione, in modo puntuale, di tutte le ragioni idonee a rendere un’operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, ivi comprese quelle attinenti al rischio di “default” dell’emittente con conseguente mancato rimborso del capitale investito, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno (Cass. 12544/2017).

La statuizione della Corte territoriale, secondo cui, pur in presenza di una carenza informativa imputabile alla banca non poteva ritenersi acquisita la prova del nesso causale, alla luce della propensione dell’odierna ricorrente all’acquisto di titoli azionari o obbligazionari con caratteristiche di rischio analoghe a quelle dei titoli in questione non è dunque conforme a diritto.

In conseguenza della mancata rappresentazione degli elementi essenziali dell’investimento, e dell’elevato grado di rischio ad esso associato, il nesso causale con il danno subito dall’investitore può ritenersi presunto.

All’operatività del dovere di informazione non è di ostacolo il fatto che il cliente investa abitualmente in titoli finanziari, (Cass. 22147 del 2010), nè che egli abbia in precedenza acquistato altri titoli a rischio, perchè ciò non basta a renderlo “operatore qualificato” ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob (Cass. 17340/2008).

Il profilo soggettivo del cliente, ove pure ne fosse dimostrata una particolare propensione al rischio (il che, come già evidenziato, non può farsi discendere dalla mera indicazione dello stampato sull’esperienza dell’investitrice) non può in ogni caso elidere il grave inadempimento della banca.

In conclusione, dichiarato inammissibile il primo motivo, vanno accolti il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso. La sentenza impugnata va dunque cassata e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.


P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo, terzo e quarto motivo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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