Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25842 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. II, 14/10/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 14/10/2019), n.25842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16970-2015 proposto da:

C.G., C.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, P.LE DELLE BELLE ARTI 2, presso lo studio dell’avvocato

GAETANO ANTONIO SCALISE, rappresentati e difesi dall’avvocato

SAVERIO LOIERO;

– ricorrenti –

contro

D.S.B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO 37, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO LUCIFERO,

rappresentata e difesa dall’avvocato UMBERTO FERRARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1601/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 11/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Dott. MISTRI CORRADO, che ha concluso per il rigetto o

l’inammissibilità del ricorso;

udito gli avvocati Gaetano Scalise e Fabrizio Lucifero.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Catanzaro rigettava la domanda di usucapione proposta da C.N. nei confronti di d.S.B.M. e di d.S.E., avente ad oggetto gli immobili siti in (OMISSIS) censiti in catasto al foglio n. (OMISSIS) e nel nuovo catasto terreni al foglio n. (OMISSIS).

2. Il giudice di prime cure riteneva che non si fosse raggiunta la prova circa i presunti posti del possesso dei beni di cui in oggetto sia sotto il profilo dell’elemento materiale (corpus) sia di quello psicologico (animus rem sibi habendi).

3. Gli eredi di C.N. impugnavano la suddetta sentenza e la Corte d’Appello di Catanzaro rigettava integralmente l’appello.

4. La Corte d’Appello fondava la sua decisione sul fatto che pur avendo C.N. abitato l’immobile fin dalla metà degli anni 60 come comprovava il certificato di residenza in atti egli era un mero detentore del bene avendolo ricevuto in comodato gratuito dal padre della controparte d.S.M. all’epoca suo datore di lavoro. Secondo la Corte d’Appello l’attrice non aveva specificamente contestato tale circostanza ma anzi la aveva implicitamente ammessa nella memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c. laddove aveva affermato che il possesso utile all’usucapione sarebbe decorso del 1976 allorchè C. era andato in pensione e aveva interrotto la propria collaborazione con l’Avvocato d.S.. Questi, dunque, deteneva gli immobili come comodatario essendo alle dipendenze del proprietario e il comodatario detentore non può acquistare il possesso senza prima la cosiddetta interversio possessionis in forza di una causa proveniente dal terzo in forza di una posizione da lui fatta contro il possessore. I testi escussi nel corso dell’istruttoria non erano sufficienti a dimostrare la trasformazione della detenzione in possesso, essendosi limitati ad affermare che il ricorrente aveva abitato gli immobili in oggetto fin dalla metà degli anni 60, senza nulla riferire in ordine ad eventuali atti di interpretazione del possesso. In particolare, il giudice del gravame evidenziava che il comodatario non aveva portato particolari modifiche al bene suscettibili di trasformare la detenzione in possesso, non aveva mai pagato le tasse relative agli immobili e non si era opposto all’incarico dato dalla proprietaria ad un geometra perchè effettuasse i rilievi negli immobili per procedere all’accatastamento in testa alla stessa, infine, aveva condotto trattative con un legale incaricato dalla proprietaria per pervenire alla stipula di un contratto di comodato avente ad oggetto i suddetti immobili. Il fatto stesso di aver accettato la trattativa non conclusa perchè secondo quanto detto un testimone i coniugi C. pretendevano di includervi anche il secondo immobili oltre a quello usato come abitazione denota il perdurante riconoscimento del diritto del proprietario.

5. C.G. e C.F. in qualità di eredi C.N. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo di ricorso.

6. d.S.B.M. ha resistito con controricorso.

7. All’esito della camera di consiglio del 13 luglio 2016 la causa è stata rinviata all’odierna pubblica udienza in prossimità della quale d.S.B.M. ha depositato memoria con la quale insiste per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, violazione e falsa applicazione dell’art. 1140 c.c., comma 1, artt. 1141,1144 e 1158 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

2. A parere del ricorrente il fatto controverso decisivo è costituito dallo stabilire se il C. avesse avuto la detenzione o il possesso degli immobili durante gli anni in cui li aveva abitati.

I documenti esibiti quali il libretto di lavoro, il certificato storico di residenza e le dichiarazioni testimoniali erano elementi sufficienti a fornire la prova dell’usucapione e sono stati valutati contraddittoriamente dalla Corte d’Appello. La mancata valutazione complessiva delle risultanze processuali, quali ad esempio: il rapporto di lavoro che legava C. al padre della contro ricorrente, in quanto tale rapporto era durato solo dal 1971 al 1976 come risultava dalla copia del libretto di lavoro allegato nel giudizio di primo grado, mentre il possesso degli immobili aveva avuto inizio sin dagli anni 60 e specificamente dal 1963-1964.

Il ricorrente afferma che la svalutazione del valore probatorio di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio di motivazione e che non può essere data rilevanza al fatto che nel 2001 la D.S. avesse incaricato un terzo di prendere i contatti con il C. per la stipula di un contratto di comodato e, ancor meno, alla visita nel medesimo anno del geometra per il frazionamento.

La Corte d’Appello, dunque, avrebbe dovuto motivare congruamente il perchè si trattava di detenzione e non di possesso e non potevano avere rilevanza le presunte trattative per la sottoscrizione del contratto di comodato giammai sottoscritto dal C.. L’interversione della detenzione in possesso era avvenuta con il compimento delle attività materiali segno riconoscibile dell’intenzione del detentore di iniziare ad esercitare il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio. In particolare, tale comportamento materiale era relativo alla ristrutturazione dell’immobile.

2. Il motivo è infondato.

Deve premettersi che “chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del “corpus”, ma anche dell'”animus”; quest’ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, sicchè è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Sez. 2, Sentenza n. 14092 del 11/06/2010.

Tuttavia la presunzione di possesso utile “ad usucapionem”, di cui all’art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della “res”, ma da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, nella specie un contratto di comodato, poichè in tal caso l’attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all’esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. Ne consegue che la detenzione di un bene immobile a titolo di comodato precario può mutare in possesso solamente all’esito di un atto d’interversione idoneo a provare con il compimento di idonee attività materiali il possesso utile “ad usucapionem” in opposizione al proprietario concedente. Sez. 2, Sentenza n. 21690 del 14/10/2014.

3. Nella specie il giudice del merito ha ritenuto provato che i beni immobili oggetto della domanda di usucapione da parte dell’odierno ricorrente gli erano stati dati in comodato da d.S.M., quando il ricorrente era alle sue dipendenze. In particolare, la Corte d’Appello ha rilevato che il C. non aveva contestato il fatto, dedotto da D.S.B.M. sin dalla comparsa di risposta in primo grado, che l’immobile era stato dato al C. in comodato gratuito dal padre d.S.M. ed anzi ha implicitamente ammesso tale circostanza nella memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c. laddove ha affermato che il possesso utile all’usucapione sarebbe decorso dal 1976, allorchè C. andò in pensione e interruppe la propria collaborazione con l’avv. D.S..

4. La Corte d’Appello, non potendo presumere la sussistenza dell’animus possidendi dalla materiale disponibilità del bene che trovava il suo titolo nel comodato di cui si è detto, ha ritenuto che mancasse la prova del mutamento della detenzione in possesso.

Costituisce indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, quello secondo il quale: L’interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore – rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi possa rendersi conto dell’avvenuto mutamento – dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente “animus detinendi” dell”animus rem sibi habendi”. Lo stabilire se la detenzione si sia trasformata in possesso del bene, costituisce un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito, i cui apprezzamenti e valutazioni sono sindacabili in sede di legittimità soltanto nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

5. La sentenza impugnata, pertanto, è immune dalle censure di violazione di legge o di vizio della motivazione prospettate dal ricorrente mentre, nella restante parte, il motivo si risolve in una inammissibile richiesta di rivalutazione degli elementi di fatto a sostegno della decisione impugnata. Infatti – a fronte dell’anzidetto accertamento compiuto dalla Corte territoriale, la quale ha individuato le fonti del proprio convincimento e valutato le risultanze probatorie dando conto dell’iter logico e deduttivo seguito – il ricorrente, lungi dall’evidenziare deficienze intrinseche delle argomentazioni che sorreggono il decisum, tende, in realtà, ad una non consentita rivalutazione delle emergenze processuali al fine di conseguirne una lettura ad essi favorevole, ma diversa da quella fornita dal giudice di merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.

Come si è più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

6. Il ricorso è rigettato, le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3200 di cui 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA