Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25841 del 02/12/2011

Cassazione civile sez. II, 02/12/2011, (ud. 16/11/2011, dep. 02/12/2011), n.25841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, e CONSOB – COMMISSIONE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e

difesi, per legge, dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli

Uffici di questa domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrenti –

contro

B.G.L., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale notarile, dagli Avv. Bernava Andrea Francesco Scanzano,

Vincenzo Troiano e Paolo Valensise, elettivamente domiciliato nello

studio legale Chiomenti in Roma, via XXIV Maggio, n. 43;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

B.G.L., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Andrea Bernava,

Francesco Scanzano, Vincenzo Troiano e Paolo Valensise, elettivamente

domiciliato nello studio legale Chiomenti in Roma, via XXIV Maggio,

n. 43;

– ricorrente in via incidentale condizionata –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, e CONSOB – COMMISSIONE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA, in

persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

avverso il decreto della Corte d’appello di Lecce in data 13 ottobre

2006 (n. 127/2005 V.G. – cron. 4833);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 16

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi l’Avvocato dello Stato Roberta Tortora e l’Avvocato Francesco

Scanzano;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

primo motivo del ricorso principale, l’accoglimento del secondo

motivo ed il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la Corte d’appello di Lecce, con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria il 13 ottobre 2006, in accoglimento dell’opposizione presentata da B.G.L., ha annullato il D.M. economia e delle finanze 30 maggio 2005, prot. n. 59326, con cui era stato ingiunto il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria per violazione di norme legislative e regolamentari in materia di intermediazione finanziaria alla MPS Banca Personale s.p.a. e alla Banca Monte dei Paschi di Siena;

che la Corte d’appello ha rigettato l’eccezione della CONSOB e del Ministero circa la carenza di legittimazione attiva dell’opponente, rilevando che, in materia di sanzioni amministrative per violazione della disciplina in materia di intermediazione finanziaria, l’esponente aziendale, autore materiale dell’illecito, ha diritto di agire in giudizio per escludere la legittimità della pretesa dell’amministrazione rivolta nei confronti della banca, atteso l’obbligo di regresso di questa nei confronti del responsabile;

che la Corte territoriale ha disatteso i motivi di opposizione con i quali si faceva valere l’illegittimità del decreto : (a) per la “mancata individuazione dei responsabili in solido”; (b) per violazione da parte della CONSOB del termine dei novanta giorni per la notifica delle contestazioni; (c) per violazione da parte della CONSOB del termine innanzi a sè del procedimento di propria competenza;

che la Corte di Lecce ha invece accolto il motivo con cui si deduceva l’illegittimità del decreto sanzionatorio per inosservanza del termine di conclusione del procedimento innanzi al Ministero, per superamento del termine massimo di novanta giorni, previsto dal D.M. 23 marzo 1992, n. 304, avendo il Ministero ricevuto il 17 dicembre 2004 la proposta sanzionatoria ed emesso il decreto soltanto il 1 giugno 2005;

che per la cassazione del decreto della Corte d’appello il Ministero e la CONSOB hanno proposto ricorso, con atto notificato il 16 luglio 2007, sulla base di quattro motivi;

che l’intimato ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, affidato a tre motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale subordinato devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., per essere entrambe le impugnazioni riferite allo stesso provvedimento;

che con il primo motivo del ricorso principale (violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 100 cod. proc. civ., della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 6, 18 e 22 e del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195) ci si chiede se la legittimazione ad agire in opposizione, nelle forme previste dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, avverso un decreto irrogativo di sanzioni emanato ai sensi della medesima disposizione, competa, oltre che all’intermediario nei confronti del quale è stata rivolta l’ingiunzione di pagamento, anche alle persone fisiche (esponenti aziendali e dipendenti dell’intermediario medesimo) responsabili dell’illecito ma non ingiunte;

che il motivo è infondato, giacchè in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’obbligatorietà dell’azione di regresso prevista dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 9, nei confronti del responsabile, comporta, anche in ragione dell’efficacia che nel relativo giudizio è destinata a spiegare la sentenza emessa nei confronti della società o dell’ente cui appartiene, che, anche qualora l’ingiunzione di pagamento sia emessa soltanto nei confronti della persona giuridica, alla persona fisica autrice della violazione deve essere riconosciuta un’autonoma legittimazione ad opponendola, che le consenta anche di proporre separatamente opposizione (Cass., Sez. Un. , 30 settembre 2009, n. 20929);

che il secondo motivo del medesimo ricorso (violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 3, del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, della L. n. 689 del 1981, artt. 18 e 28 nonchè del D.M. 23 marzo 1992, n. 304) pone il quesito se l’inosservanza di un termine fissato, in via regolamentare, dall’Amministrazione procedente per l’irrogazione della sanzione amministrative pecuniaria comporti l’invalidità del provvedimento tardivamente emanato;

che con il medesimo quesito si conclude il terzo motivo, il quale prospetta violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2 e dei principi generali in tema di termini del procedimento amministrativo;

che l’ultimo motivo del ricorso principale (violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies) pone la questione se l’inosservanza di un termine fissato, in via regolamentare, dall’Amministrazione procedente per l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria costituisca violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti ai fini dell’applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies e se, conseguentemente, sia preclusa l’annullabilità del provvedimento tardivamente emanato in relazione al carattere vincolato di questo;

che i tre motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati, dovendosi applicare il principio, di recente affermato dalle Sezioni unite di questa Corte nella citata sentenza 30 settembre 2009, n. 20929, secondo cui in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, per effetto dell’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies, comma 2 gli eventuali vizi del procedimento amministrativo previsto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, che si svolge innanzi alla Commissione nazionale per le società e la borsa o al Ministero, non sono rilevanti, in ragione tanto della natura vincolata del provvedimento sanzionatorio, quanto della immodificabilità del suo contenuto; tale disposizione, introdotta dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, art. 14 ha carattere processuale, ed è pertanto applicabile con effetto retroattivo anche ai giudizi di opposizione in corso, ancorchè promossi in epoca successiva alla sua emanazione;

che in particolare le Sezioni unite hanno affermato che la delicata questione del mancato rispetto dei termini di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2 oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità, deve essere risolta – al di là ed a prescindere dalla questione della natura perentoria, ordinatoria, acceleratoria ovvero sollecitatoria del termine in parola – sulla base di quanto disposto dall’art. 21-octies, inserito nel corpus normativo della L. n. 241 del 1990, cosi come introdotto dalla L. n. 15 del 2005;

che per effetto di tale innovativa disposizione, gli eventuali vizi del procedimento non sono, nella specie, rilevanti, in quanto risulta palese tanto la natura vincolata del provvedimento impugnato quanto la immodificabilità del relativo contenuto (cfr. Cass., Sez. 2^, 7 dicembre 2010, n. 24784, anche sulla portata retroattiva dello ius superveniens, e Cass., Sez. 2^, 5 aprile 2011, n. 7777);

che passando all’esame del ricorso incidentale condizionato, con il primo motivo (violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di giusto procedimento; violazione e falsa applicazione dell’art. 195 del TUF e della L. n. 689 del 1981, art. 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) si domanda “se la mancata individuazione del responsabile in solido nel provvedimento di applicazione delle sanzioni costituisce motivo di nullità e/o illegittimità del provvedimento medesimo per violazione di norme di legge, nonchè dei principi in materia di giusto procedimento” e “se costituisce vizio di difetto assoluto e/o illogicità della motivazione la circostanza che la Corte d’appello di Lecce ha giudicato senza dubbio erronea la mancata individuazione del responsabile in solido (rectius: l’indicazione di due diverse persone giuridiche come responsabili in solido) nel provvedimento applicativo di sanzione ex art. 195 TUF, senza in ciò ravvisare un motivo di nullità o comunque di illegittimità del provvedimento in questione”;

che il motivo è infondato;

che – come risulta dal decreto impugnato, il quale da conto del processo di fusione e della cessione di ramo di azienda che ha interessato le banche raggiunte dall’ingiunzione nella veste di responsabili in solido – gli esponenti aziendali, autori delle violazioni (tra cui anche il B.), appartenevano all’istituto bancario quale risultante come denominazione ed ente all’epoca della condotta da ciascuno posta in essere e specificamente indicata sotto il profilo temporale negli addebiti mossi ad ogni singolo esponente;

che l’indicazione cumulativa delle due banche ingiunte quali responsabili in solido – MPS Banca Personale s.p.a. (già Banca 121 Promozione Finanziaria s.p.a.) e Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. -, anzichè di una sola (MPS Banca Personale s.p.a., che rappresenta la nuova denominazione della Banca 121 Promozione Finanziaria s.p.a., conferitaria del ramo d’azienda incorporata dalla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.), non è motivo di illegittimità della sanzione irrogata, perchè essa, oltre a non essere prevista da alcuna disposizione di legge, non ha comportato in concreto alcuna incertezza nell’individuazione dell’effettivo titolare dell’azione di regresso, tenuto conto che, al fine di individuare a quale banca appartenesse l’autore della violazione, è sufficiente – come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, con motivazione logica ed esente da mende giuridiche – effettuare una correlazione tra il tempo della violazione attribuita e l’istituto di credito nello stesso periodo esistente ed operante;

che con il secondo motivo (sul termine del procedimento sanzionatorio per la notifica delle contestazioni: violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) si deduce che, essendosi l’attività di accertamento conclusa il 28 gennaio 2004 con il deposito della relazione ispettiva, le contestazioni sarebbero state effettuate tardivamente, soltanto il 18 maggio 2004, con conseguente consumazione del potere sanzionatorio del Ministero, e si censura che la motivazione del decreto della Corte d’appello sarebbe solo apparente ed illogica nella parte in cui, nel negare la violazione del termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14 ha ritenuto che esso dovesse decorrere dalla valutazione dei fatti accertati, valutazione per la quale ha ritenuto congruo un termine di 45 giorni decorrenti dalla conclusione degli accertamenti ispettivi (e cioè il 28 gennaio 2004), senza però considerare la circostanza che la relazione redatta dopo la conclusione degli accertamenti ispettivi è stata depositata il 29 gennaio 2004, e quindi irragionevolmente mancando di fare decorrere da tale data il termine per la contestazione degli addebiti;

che il motivo è infondato;

che – come hanno statuito le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 9 marzo 2007, n. 5395 – il momento dell’accertamento degli illeciti amministrativi in materia di intermediazione finanziaria non deve essere fatto coincidere, necessariamente e automaticamente, nè con il giorno in cui l’attività ispettiva è terminata, nè con quello in cui è stata depositata la relazione dell’indagine (come pretende il ricorrente), nè con quello in cui la Commissione si è riunita per prenderla in esame: non con il primo, perchè la pura “constatazione” dei fatti non comporta di per sè il loro “accertamento” , se occorre una successiva attività istruttoria e valutativa; non con il secondo o con il terzo, perchè sia la redazione della relazione, sia il suo esame da parte della Commissione, debbono essere compiuti nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi: anche per le violazioni delle norme in materia di intermediazione finanziaria, come per quelle commesse in altri campi, occorre invece individuare, secondo le particolarità dei singoli casi e indipendentemente dalle date di deposito della relazione ispettiva e di riunione della Commissione, il momento in cui ragionevolmente la constatazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione;

che tanto premesso, la Corte d’appello ha nella specie compiuto un’indagine diretta a stabilire, tenuto conto della complessità della materia e delle particolarità del caso concreto, il momento in cui ragionevolmente la constatazione si era tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento;

che al riguardo – tenuto conto del parametro della ragionevolezza e della proporzionalità – la Corte d’appello ha rilevato che le indagini, racchiuse in migliaia di pagine, furono di notevole difficoltà: esse riguardarono circa quattro anni, durante i quali si ve-rificarono vari mutamenti degli assetti aziendali; ebbero ad oggetto l’attività di numerosi esponenti aziendali per quaranta dei quali furono poi formulati addebiti, con diverse qualifiche e settori di operatività; si riferirono a prodotti finanziari di nuova ideazione e articolati in modo complesso;

che su questa base la Corte di merito – con ponderazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici – ha fissato in almeno quarantacinque giorni il tempo di valutazione dei numerosissimi fatti acquisiti, giudicando tempestive le contestazioni (avuto riguardo al fatto che gli accertamenti ispettivi si conclusero il 28 gennaio 2004 e che le lettere di contestazione, confezionate il 18 maggio 2004, furono notificate alle banche ed agli autori delle violazioni tra il 21 maggio ed il 7 giugno 2004);

che il terzo motivo, relativo al termine di conclusione del procedimento nella fase CONSOB, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981 e della L. n. 241 del 1990, art. 2 in relazione alla Delib. CONSOB n. 12697 del 2000;

che lamenta il ricorrente la motivazione irragionevole e contraddittoria del decreto della Corte d’appello, il quale, pur “ricomprendendo” il termine di 30 giorni per la formulazione delle deduzioni nel termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento sanzionatorio di competenza della CONSOB, avrebbe fatto decorrere tale termine di 180 giorni dalla data in cui è invece spirato il detto termine di trenta giorni per la formulazione delle deduzioni;

che si duole altresì il ricorrente che il decreto impugnato confonda il potere riconosciuto alla CONSOB dalla L. n. 241 del 1990 di fissazione del termine di durata del procedimento di sua competenza, con il potere, insussistente, di fissare la decorrenza di detto termine, arrivando ad affermare che il termine complessivo per la conclusione del procedimento sarebbe, in realtà, di 210 giorni e, per questa via, ad affermare la conformità della Delib. CONSOB n. 12697 del 2000 con i precetti della L. n. 241 del 1990;

che il motivo è infondato, per le ragioni espresse supra a proposito dell’accoglimento dei motivi delle Amministrazioni ricorrenti in via principale;

che pertanto, il decreto impugnato deve essere cassato in ragione dell’accoglimento dei motivi dal secondo al quarto del ricorso principale;

che non sussistendo i presupposti per una decisione nel merito da parte di questa Corte, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce;

che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso principale, rigettato il primo motivo del medesimo ricorso, e rigetta l’incidentale condizionato; cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2011

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