Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25840 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 11/07/2017, dep.31/10/2017),  n. 25840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29869/2015 proposto da:

S.G., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO POERIO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, (OMISSIS), MINISTERO POLITICHE

AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI (OMISSIS), in persona dei Ministri

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende per legge;

– controricorrenti –

e contro

PROCURATORE GENERALE CORTE CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 20605/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 14/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/07/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha

concluso chiedendo il rigetto del ricorso per revocazione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1973 S.G. viene condannato in sede penale per truffa ai danni dello Stato, consistita nell’aver partecipato alla indebita riscossione di un sussidio di miglioramento fondiario non dovuto.

Nel 1983, divenuta irrevocabile la sentenza penale, il Ministero delle politiche agricole convenne S.G. dinanzi al Tribunale di Catanzaro, chiedendone la condanna risarcimento del danno da reato.

Il Tribunale di Catanzaro rigettò la domanda con sentenza n. 2389 del 2005.

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza 17.1.2011 n. 9, accolse il gravame dell’amministrazione e riformò la decisione di primo grado, condannando S.G. al pagamento di Euro 2.429,51 in favore del Ministero delle Politiche Agricole e del Ministero dello Sviluppo Economico.

2. La sentenza d’appello venne impugnata per cassazione dal soccombente.

Col ricorso per cassazione S.G. si dolse:

(a) di essere stato condannato in solido con l’altro responsabile condannato in sede penale, mentre il giudice penale aveva condannato i due coimputati “ognuno per la propria parte”, e quindi pro quota;

(b) del rigetto dell’eccezione di prescrizione da lui sollevata; sostenne che mancando il vincolo di solidarietà, il più lungo termine decennale ex iudicato formatosi nei confronti di uno dei coimputati non era a lui estensibile.

3. Con sentenza 14.10.2015 n. 20605 questa Corte dichiarò inammissibile il ricorso, sul presupposto che i motivi in esso formulati si fondavano sulla sentenza penale del 1974, ma di tale sentenza non era stato riportato il testo nel ricorso, nè era stato indicato quando e dove fosse stata depositata in atti.

4. S.G. ha impugnato per revocazione, ex art. 391 bis c.p.c., la sentenza di questa Corte appena ricordata, con ricorso fondato su un motivo.

Si sono difesi, con un controricorso unitario, il Ministero delle Politiche Agricole e quello dello Sviluppo Economico.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo unico di ricorso.

1.1. Con l’unico motivo di ricorso S.G. sostiene che la sentenza n. 20605/15 di questa Corte sarebbe incorsa in un errore percettivo, perchè non si è avveduta che la sentenza penale del 1974 era stata allegata al fascicolo di parte, e precisamente sub 3 al ricorso per cassazione, e sub 4 nell’indice dei documenti.

Questo errore di percezione avrebbe indotto il Collegio giudicante a ritenere inammissibile il ricorso, perchè fondato su documenti non allegati, ai sensi dell’art. 366 c.p.c..

1.2. Il motivo è inammissibile, perchè non pertinente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

La sentenza revocanda ha ascritto al ricorrente di non avere assolto l’onere di indicazione di cui all’art. 366 c.p.c. (ovvero l’onere di scrivere nel ricorso quando e dove il documento su cui il ricorso per cassazione si fonda fu prodotto), e non quello di allegazione di cui all’art. 369 c.p.c..

Pertanto non era rilevante esaminare se il documento di cui si discorre era o non era allegato agli atti, dal momento che anche se lo fosse stato, ciò non bastava a sanare il difetto di indicazione, richiesto dell’art. 366 c.p.c., dai nn. 3 e 6.

2. Le spese.

2.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

2.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna S.G. alla rifusione in favore di Ministero delle Politiche Agricole e Ministero dello Sviluppo Economico, in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 4.100, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di S.G. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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