Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25840 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. II, 14/10/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 14/10/2019), n.25840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7717-2018 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, V.SCIRE’ 15,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI CASALE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ENRICO TORTOLANI;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositate il

29/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Salerno rigettava l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter proposta da C.V. avverso il decreto della Corte d’Appello di Salerno del 10 maggio 2017 numero 3781 di rigetto del ricorso volto a conseguire l’indennizzo a carico del Ministero della Giustizia per la ragionevole durata del processo svoltosi innanzi al Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Montecorvino Rovella, n. 137 del 2003 concluso con sentenza non appellata n. 478 del 4 febbraio 2016.

2. Il giudizio presupposto vedeva il ricorrente nella sua qualità di titolare di una ditta di costruzioni convenuto nell’azione di accertamento di nullità di una delibera condominiale e di condanna a consegnare a regola d’arte gli immobili ove furono eseguiti lavori di ristrutturazione edilizia, con condanna altresì alla demolizione e rimozione di un terrazzo costruito in sopraelevazione rispetto all’unità immobiliare dei due attori in giudizio.

Tale processo si era concluso con sentenza di cessata materia del contendere per rinuncia alla domanda principale accettata da tutti i convenuti, tranne che dal C., e con pronuncia di rigetto nei confronti di quest’ultimo per mancanza di prova in ordine alla pretesa fatta valere in giudizio.

3. Secondo la Corte d’Appello, la presunzione di insussistenza del pregiudizio di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, si riferisce al processo estinto per rinuncia o per inattività della parte che richiede l’indennizzo per irragionevole durata, mentre nel caso di specie il processo in cui il ricorrente era parte convenuta non si era estinto ma si era concluso con esito giudiziale favorevole, benchè la pronuncia fosse talmente criptica da non comprenderne le ragioni.

Ciò premesso, il giudice del merito riteneva che, dalla durata complessiva del processo, di anni 12, mesi 10, giorni 26 – dall’8 marzo 2003 data di notifica della citazione al 4 febbraio 2016, data di pubblicazione della sentenza – dovevano essere detratti oltre al periodo di durata ragionevole di 3 anni, ulteriori anni 2, mesi 1 e giorni 45, per rinvii non cagionati da disfunzioni dell’organizzazione giudiziaria ma bensì da richieste di differimento per pendenza di trattative bonarie cui il ricorrente non si era opposto.

Dunque, in base a tale durata, applicando la misura di indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis nel valore minimo di Euro 400 per anno o frazione ultra semestrale, l’indennizzo liquidabile sarebbe stato pari ad Euro 3200 e, tuttavia, per effetto della ragionevole durata del processo il ricorrente aveva conseguito un vantaggio patrimoniale maggiore rispetto alla misura dell’indennizzo liquidabile, essendogli state liquidate spese processuali per Euro 3972. Pertanto, la lungaggine del processo si era mostrata un vantaggio per il ricorrente e l’opposizione doveva essere respinta.

4. C.V. ha proposto ricorso per Cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi.

5. All’adunanza in camera di consiglio dell’8 marzo 2019 la causa è stata rinviata alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., violazione art. 6 convenzione Europea diritti dell’uomo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo dell’efficacia dell’estinzione del processo per rinuncia agli atti solo nei confronti delle parti che se ne sono avvalse.

La Corte d’Appello pur riconoscendo che l’estinzione del giudizio presupposto riguardava esclusivamente la posizione processuale degli altri convenuti e che C.V. aveva ottenuto pieno accoglimento, non ne ha tratto la logica conseguenza del riconoscimento della irragionevole durata del giudizio.

Il ricorrente afferma che il suo comportamento processuale era stato lineare e scevro da tattiche dilatorie e aveva ottenuto un esito positivo per il mancato assolvimento dell’onere probatorio posto a carico degli attori ex art. 2914 c.c.

La Corte d’Appello avrebbe omesso di valorizzare la produzione documentale e di considerare che la declaratoria della cessazione della materia del contendere non impedisce il riconoscimento dell’indennizzo per l’abnorme protrazione del giudizio.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 septies, lett. c) in relazione all’art. 91 c.p.c., violazione dell’art. 6 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo della presunzione di insussistenza del danno a fronte di condanna alla rifusione delle spese in favore del soggetto danneggiato.

La Corte d’Appello ha escluso il diritto all’indennità, evocando la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 septies, che prevede una presunzione di insussistenza del danno a fronte di vantaggi patrimoniali riconducibili alla durata del processo.

Secondo la Corte d’Appello il ricorrente aveva avuto un vantaggio finale superiore a quello ricavabile dal calcolo dall’equo indennizzo da una vicenda processuale che egli stesso non aveva interesse a proseguire.

La somma liquidata a titolo di spese e competenze ex art. 91 c.p.c. posta a carico del soccombente non ha natura sanzionatoria ma è una somma liquidata con funzione meramente recuperatoria di esborsi che si presume siano stati anticipati dalla parte per la propria difesa. Essa quindi non può essere equiparata ad un vantaggio patrimoniale discendente dal processo come ha fatto la Corte d’Appello.

2.1 I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.

La Corte d’Appello ha negato l’applicabilità della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, al caso di specie, perchè il giudizio presupposto non era stato definito con una pronuncia di estinzione, quanto piuttosto di infondatezza o di cessazione della materia del contendere. Il rigetto della domanda del ricorrente, invece, si è fondato sulla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 septies, secondo cui si presume insussistente il danno da durata irragionevole del processo quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole durata, vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo altrimenti dovuto.

Il comma ora citato è stato inserito dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. d), a decorrere dal 1 gennaio 2016. Nella specie non è necessario affrontare i problemi di diritto intertemporale che l’introduzione della norma pone, in quanto, in ogni caso, la sua applicazione da parte della Corte d’Appello è stata manifestamente erronea. La liquidazione delle spese legali affrontate dalla parte vittoriosa in un giudizio civile, infatti, giammai può essere considerata come il conseguimento di un vantaggio patrimoniale da calcolarsi ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 septies.

La liquidazione delle spese nel giudizio civile, infatti, segue il criterio della soccombenza e nel caso di cessazione della materia del contendere quello della soccombenza virtuale, ma non costituisce un vantaggio patrimoniale conseguente alla durata del processo, quanto piuttosto il ristoro delle spese che la parte ha dovuto affrontare per difendersi nel giudizio.

Infatti, l’individuazione del soccombente si fa in base al principio di causalità, con la conseguenza che la parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno anticipato nel processo, è quella che, col proprio comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo od al suo protrarsi.

I compensi (onorari e diritti) dovuti agli avvocati sono riconosciuti in funzione delle prestazioni lavorative autonome dagli stessi rese. La loro quantificazione (operata, per le voci a tariffa fissa, già in sede normativa, e, per quelle a tariffa variabile, in sede giudiziale), per disposto normativo dipende dal valore della controversia e dalla natura e dal contenuto di tali prestazioni: complessità delle questioni trattate (e conseguente difficoltà dell’opera), quantità dell’attività prestata (e, quindi, del correlativo dispendio di tempo e di energie), utilità delle singole prestazioni e loro qualità intrinseca.

Nella specie, dunque, il ricorrente a causa del protrarsi della durata del processo non ha conseguito alcun vantaggio patrimoniale tale da giustificare l’applicabilità della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 septies.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione art. 6, par. 1, della convenzione e della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-bis, 2 ter, 2 quater e art. 2-bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 sotto il profilo del computo del termine di ragionevole durata del processo e della quantificazione dell’indennizzo.

In relazione al computo del termine di durata ragionevole la parte ricorrente evidenzia che non tutto il lasso di tempo intercorso tra un’udienza e l’altra può essere imputato al comportamento della parte che eventualmente abbia chiesto il rinvio ed è compito del giudice adito verificare se l’entità del rinvio sia ascrivibile anche a concorrenti causa dell’organizzazione giudiziaria. In ogni caso, il comportamento complessivo del convenuto era sempre stato teso ad ottenere la definizione di giudizio nel più breve tempo possibile.

Sotto il secondo profilo della quantificazione della somma liquidabile a titolo di indennizzo il ricorrente lamenta anche che la misura di Euro 400 per anno era sotto i parametri della Corte Europea.

3.1 L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso determina l’assorbimento del terzo, spetterà al giudice del rinvio determinare la durata del giudizio presupposto e la misura dell’indennizzo, tenendo conto della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis (nella formulazione derivante dalle modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015), relativo alla misura ed ai criteri di determinazione dell’indennizzo per l’irragionevole durata del processo.

4. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Salerno, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Salerno che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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