Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2584 del 30/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/01/2019, (ud. 12/09/2018, dep. 30/01/2019), n.2584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4259/2012 R.G. proposto da:

T. AUTOVEICOLI s.r.l. in persona del suo legale rappresentante

pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv.

Stanislao Lucarelli con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.

Ilario Castaldi in Roma, via Attilio Regolo n. 12/D;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania 256/48/11 depositata il 12/10/2011, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

12/9/2018 dal consigliere Succio Roberto;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale dr. De Augustinis Umberto che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’Amministrazione Finanziaria e confermato la legittimità del provvedimento impugnato;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a sette motivi; l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, oltre che del medesimo D.Lgs., artt. 56 e 57. Per avere la sentenza impugnata fondato il proprio giudizio su fatti diversi da quelli introdotti dall’avviso di accertamento (che contestava l’erronea applicazione alle operazioni commerciali del c.d. regime IVA del margine);

– il motivo è infondato;

– dalla sentenza si comprende chiaramente come la CTR abbia affrontato proprio la questione posta dall’Ufficio, secondo il quale la società contribuente aveva assoggettato al regime in parola operazioni riferite a beni che non possedevano i requisiti di legge, in difetto di esibizione dei libretti delle auto, in mancanza delle corrette diciture che dovevano esser presenti in fattura, secondo la normativa del paese di origine, e quant’altro; pertanto il secondo giudice ha chiaramente compreso la questione oggetto del contendere e l’ha affrontata esaminandola come dovevasi;

– con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR ritenuto ammissibile l’appello dell’Erario che invece, con riferimento al motivo relativo all’applicazione del regime del margine, dovevasi dichiarare inammissibile in quanto l’Agenzia appellante non aveva sul punto specificamente censurato la decisione favorevole al contribuente della commissione di prime cure;

– il motivo è in primo luogo inammissibile, ma secondariamente è anche infondato;

– come già ritenuto da questa Corte (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22880 del 29/09/2017) l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità; a nulla di ciò ha provveduto in ricorso la contribuente;

– peraltro, dal contenuto della sentenza della CTR, si evince come l’appello del Fisco abbia investito nella sua totalità la pronuncia di prime cure;

– il terzo e il quarto motivo di ricorso denunciano, in sostanza in modo analogo tanto che possono quindi trattarsi congiuntamente in quanto frammentazioni di una medesima censura, l’omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente da un lato nella asserita impossibilità per la contribuente di conoscere la corretta applicazione del regime del margine da parte dell’operazione straniero suo dante causa, a fronte del rispetto da parte di questi dei requisiti e dall’altro nella altrettanto asserita assenza dell’iter logico motivazionale atto a far comprendere l’assenza dei requisiti per l’applicazione del regime in parola;

– in sostanza, quindi, secondo il ricorrente, la CTR non ha motivato in ordine alla insussistenza della incolpevole ignoranza della contribuente sulla legittimità dei comportanti del proprio fornitore straniero, nè ha motivato sulle ragioni che l’hanno indotta, a fronte di operazioni apparentemente contabilmente regolari e regolarmente pagate tramite il sistema bancario, a ritenere insussistenti i requisiti per il regime in oggetto;

– il terzo motivo è infondato; il quarto motivo è invece fondato;

– questa Corte ha sotto entrambi i profili recentemente chiarito come (Cass. Sez. U., Sentenza n. 21105 del 12/09/2017) in tema di IVA, il regime del margine – previsto dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, convertito con modificazioni in L. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole;

– tanto ritenuto in diritto, coglie nel segno il quarto motivo; infatti la CTR ha da un lato ritenuto che la contribuente non abbia ottemperato agli adempimenti normativamente richiesti, che invece risultano documentalmente tutti – almeno formalmente, in difetto di contestazioni sul punto da parte del Fisco – effettivamente adempiuti; sotto questo profilo dunque effettivamente sussiste il vizio motivazionale denunciato dalla contribuente:

– il quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e falsa applicazione del principio dell’affidamento e dell’art. 2697 c.c.; lo stesso risulta assorbito nella decisione di rigetto dei motivi terzo e quarto dei quali costituisce, anche se del tutto genericamente formulato, ulteriore sviluppo;

– il sesto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per omessa o insufficiente motivazione con riferimento al punto relativo all’accoglimento dell’appello erariale con riferimento al recupero di Euro 9.503,80 per omessa fatturazione;

– il motivo è fondato; in sentenza effettivamente nulla si dice, neppure implicitamente, in ordine alle ragioni che hanno portato la CTR, diversamente dal primo giudice, a ritenere provata e motivata la maggior pretesa impositiva;

– il settimo motivo denuncia violazione del giudicato interno che si sarebbe formato con riferimento ai recuperi dei ricavi omessi per erronea applicazione del regime del margine ai fini delle imposte sui redditi, dal momento che dopo l’annullamento degli atti impugnati in primo grado tal pretesa non sarebbe stata espressamente riproposta in appello dall’Ufficio;

– il motivo è infondato; nel censurare la sentenza di primo grado quanto alla illegittima esclusione della pretesa IVA, sia pur implicitamente ma efficacemente, l’Agenzia delle Entrate appellante ha insistito anche nella conseguente pretesa ai fini delle imposte sul reddito, il cui fondamento come è noto sono gli stessi ricavi non dichiarati sui quali viene calcolata ed applicata l’IVA.

PQM

rigetta il primo, il secondo, il terzo, il settimo motivo di ricorso; dichiara assorbito il quinto; accoglie il quarto e il sesto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata limitatamente a quanto in motivazione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania in diversa composizione che provvederà anche quanto alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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