Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25837 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 18/06/2021, dep. 23/09/2021), n.25837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29080/2016 proposto da:

Comune di Bisceglie (B.A.T.), in persona del sindaco in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, Largo Messico, 7, presso lo

studio dell’Avocato Piero Lorusso, e rappresentato e difeso

dall’Avvocato Nicolò Mastropasqua, per procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

L.N., L.M., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Cosseria, 2, presso il Dottor Alfredo Placidi, e rappresentati e

difesi dall’Avvocato Ida Maria Dentamaro, per procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari, n. 1815/2015,

depositata il 12/11/2015 e l’ordinanza della Corte d’Appello di

Bari, del 14/10/2016, r.g. 397/2009-1;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/06/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Bisceglie (B.A.T.) ricorre con cinque motivi, illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte d’Appello di Bari, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da L.N. e L.M., per quanto ancora rileva in giudizio, ha determinato l’indennità dovuta dal Comune di Bisceglie per l’esproprio del terreno sito nel territorio del Comune ed identificato in catasto al foglio (OMISSIS), particelle nn. (OMISSIS), per una superficie di mq. 1835, rientrante nella maglia cd. “167” (ex C5) del vigente P.R.G., in Euro 298.834,15, l’indennità di occupazione in Euro 34.929,73 ed il costo dei manufatti abbattuti in Euro 3.361,90.

La Corte di merito ha escluso la riduzione del 25%, di cui del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, dedotta dall’amministrazione, ritenendo l’esproprio non finalizzato ad un intervento di riforma economico-sociale ed ha applicato invece la maggiorazione del 10% nel rapporto tra importo riconosciuto in sede di giudizio, pari ad Euro 295.875,40, e valore offerto dall’espropriante di Euro 107.608,25 che non raggiunge gli 8/10 dell’accertato.

La sentenza di appello, in seguito ad istanza di correzione proposta ex art. 287 c.p.c., dai germani L., con ordinanza dell’11 ottobre 2016, pubblicata il 14 ottobre, è stata emendata con riconoscimento a titolo di indennità di esproprio della somma complessiva di Euro 325.462,64 e della somma complessiva di Euro 38.422,71 a titolo di indennità di occupazione, riconoscendo la Corte di merito di avere erroneamente applicato l’aumento del 10% D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 1, alle indicate poste.

2. Resistono con controricorso L.N. e L.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo dei motivi il ricorrente fa valere la nullità della sentenza come corretta e del relativo procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per inapplicabilità del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, ed applicabilità, invece, della L. n. 2359 del 1865, art. 39 e, ancora, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte aveva infatti disposto una consulenza tecnica di ufficio sulle aree ablate volta a determinarne il valore ai sensi della L. n. 2395 cit., art. 39, riconoscendo correttamente con l’ordinanza ammissiva del mezzo l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 37 novellato, per poi in sede di sentenza far proprio il calcolo del c.t.u. che riconosceva l’incremento del 10% previsto dall’art. 37 cit..

I criteri previsti dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, che hanno modificato il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, commi 1 e 2, T.U. esproprio, si applicano soltanto alle procedure espropriative soggette all’indicato T.U. e quindi a quelle in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta dopo la sua entrata in vigore e quindi il 30 giugno 2003.

1.1. Il motivo presenta profili di inammissibilità perché deduce in modo non perspicuo un error in procedendo.

La denunciata applicazione della legge sostanziale determinativa dell’ammontare dell’indennità di esproprio per riconoscimento della maggiorazione del 10% di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, in cui si traduce la dedotta violazione processuale non riesce infatti a dare conto, secondo i contenuti propri del vizio processuale denunciato, della invalidità degli atti processuali legittimanti l’accesso diretto di questa Corte.

Quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un “error in procedendo”, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Cass. n. 16164 del 30/07/2015; Cass. n. 8069 del 21/04/2016; Cass. n. 20716 del 13/08/2018).

Nella deduzione in esame non è infatti neppure chiaro come la sentenza impugnata possa essere nulla per la procedura osservata e tanto nella dedotta violazione della normativa sostanziale, la L. n. 2359 del 1865, che, ratione temporis applicabile, segnerebbe il diverso ammontare dell’indennità di esproprio, con esclusione dell’incremento del 10% previsto dal T.U. contenuto nel D.P.R. n. 327 del 2001.

Quanto rileva per la dedotta nullità non è l’errore nel processo per cattiva individuazione della norma applicabile, ma una errata individuazione della disciplina sostanziale integrativa della diversa violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.2. Il motivo si presta ad ulteriori valutazioni di inammissibilità perché non si confronta con l’indicata ratio pure espressa nell’impugnata sentenza e manca di autosufficienza.

1.2.1. La Corte di merito rileva infatti che il campo di applicazione della nuova norma e dei nuovi calcoli è proprio dei procedimenti pendenti, “mentre restano escluse le pratiche già condivise, accettate o irrevocabili” (L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90) (p. 16) e che poiché il decreto definitivo di esproprio era del 22 gennaio 2009, epoca successiva alla data di entrata in vigore della L. n. 244, al 1 gennaio 2008, siffatta normativa era applicabile, ancora il deducendo per converso l’inapplicabilità in ragione del quesito posto al consulente di ufficio e la diversa norma ivi indicata e richiamando una pubblica utilità dell’opera non meglio definita anteriore al 30 giugno 2003.

1.2.2. Il motivo è ancora inammissibile perché, mancando di autosufficienza, non indica i passaggi secondo i quali il metodo di stima applicato dal c.t.u. sarebbe quello previsto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39, secondo le indicazioni contenute nell’ordinanza ammissiva del mezzo.

1.3. Ciò posto, il motivo è comunque infondato.

Come rilevato da questa Corte “la norma intertemporale di cui alla L. n. 244 cit., art. 2, comma 90, prevede la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità espropriativa solo per i procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi” (Cass. 8/07/2015, n. 14259, in motivazione, p. 6).

Solo ove, infatti, il rapporto tra privato ed autorità espropriante non sia ancora esaurito, occorre procedere alla rideterminazione dell’indennità di espropriazione in base al criterio generale del valore venale del bene fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, valendo altrimenti la nuova determinazione.

Il carattere non esaurito del procedimento, il cui decreto di esproprio definitivo risale al 22 gennaio 2009, esclude, come correttamente ritenuto dalla Corte d’Appello di Bari l’applicabilità della disciplina di cui alla L. n. 2359 del 1865.

1.4. L’ulteriore profilo del motivo con cui si deduce il vizio di motivazione nella novellata sua dizione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, manca di contenuto neppure indicando la proposta critica quale sarebbe il fatto storico-naturalistico mancato nella valutazione del giudice del merito, e la critica e’, come tale, del tutto generica ed inconcludente.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza come corretta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, con erroneo raffronto di due valori non omogenei, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’Appello nella incoerente applicazione del criterio di determinazione dell’indennità di espropriazione vigente ratione temporis aveva commesso un errore di valutazione ed aveva confrontato due valori non omogenei: a) quello previsto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, che per le aree edificabili prevedeva la determinazione della indennità di esproprio a norma della L. n. 2892 del 1395, art. 13, comma 3, sostituendo ai fitti coacervati dell’ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui agli artt. 24 e segg. TU imposte sui redditi, approvato con il D.P.R. n. 917 del 1986, con importo ridotto del 40% e con valutazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio; b) quello introdotto con la modifica dell’art. 37, con l’indennità che è stata così commisurata al valore venale senza decurtazioni.

Ciò posto, l’importo dell’indennità fissato in Euro 161,240, se confrontato con l’indennità decurtata ed offerta nel 2007, avrebbe sempre erroneamente determinato una condizione di inferiorità rispetto agli 8/10 trattandosi di valori determinati con criteri differenti.

Per confrontare i due valori è necessario rivalutare alla data della decisione il valore venale del 2007, e quindi l’offerta complessiva, e confrontarlo con la determinazione effettuata in sentenza nel novembre 2015; la prova di resistenza del limite degli 8/10 doveva essere effettuata con riferimento ad un valore pari al doppio dell’offerta del 2007 aggiornato secondo rivalutazione monetaria al 2015.

2.1. Il motivo è inammissibile.

La questione dedotta attiene alla modalità di calcolo dei valori dell’indennità per i correlati criteri di determinazione e quindi al merito della controversa rimessa nel suo scrutinio al giudice del merito in ragione delle norme applicabili.

2.2. Il motivo è comunque infondato.

Il chiaro disposto di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, nel prevedere che “nei casi in cui è stato concluso l’accordo di cessione, o quando esso non è stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato ovvero perché a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi in quella determinata in via definitiva, l’identità è aumentata del 10 per cento” mette a confronto l’importo dell’indennità provvisoria, attualizzata, e quello determinato in via definitiva dal giudice.

La norma quindi non richiede che i valori siano determinati in forza di criteri omogenei.

In ogni caso, l’indennità provvisoria comunicata dal Comune a mezzo del decreto di occupazione d’urgenza del 5 settembre 2007 nell’intervenuta modifica normativa avrebbe dovuto condurre l’amministrazione a riformulare l’offerta prima del decreto di esproprio definitivo del 22 gennaio 2009, ma tanto non è avvenuto.

2.3. Nel resto rimane ferma l’inammissibilità da improprio richiamo all’error in procedendo e l’inconcludente deduzione del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato, indicate sub n. 1.

3. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, come modificato dalla L. n. 244 del 2007 e dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 22 bis, comma 5 e art. 50, comma 1 e omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte territoriale aveva incrementato, nel procedimento di correzione dell’errore materiale, anche l’indennità di occupazione là dove l’art. 37, comma 2, D.P.R. cit., prevede la maggiorazione solo per l’indennità di esproprio e non per l’occupazione d’urgenza, nella natura sanzionatoria dell’incremento.

3.1. Il motivo è mancante di autosufficienza non deducendo il ricorrente sull’errato incremento e, nel resto, infondato dato che la norma non preclude l’adozione della metodologia imputata che rapporta l’indennità di occupazione a quella di esproprio.

3.2. Resta fermo quanto rilevato sub n. 1 sulla deduzione dell’error in procedendo e sul vizio di motivazione.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata e del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, per erronea applicazione oltre l’ipotesi delle espropriazioni finalizzate ad interventi di riforma politico-sociale, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La maggiorazione del 10% vale solo in caso di indennità decurtate del 25% ovverosia solo in ipotesi di espropriazioni finalizzate ad attuare interventi di riforma economico-sociale; altrimenti si creerebbe una disparità tra le espropriazioni pubbliche e quelle finalizzate alla realizzazione di opere private di interesse pubblico. Dopo l’intervento della Corte costituzionale n. 249 del 2007 il risarcimento del danno da occupazione illegittima va liquidato secondo il pieno valore di mercato. La P.A. pagando il risarcimento in misura inferiore rispetto all’indennità di esproprio si avvantaggerebbe del proprio illecito.

4.1. La censura è infondata; la Corte di merito ha correttamente inteso l’art. 37, comma 2, cit., che non opera alcun raccordo tra incremento del 10% ed intervento di edilizia economico-sociale.

Ogni altro argomento non è perspicuo e non si confronta con la premessa che fonte di siffatta diversificata disciplina sarebbe comunque la legge che, come articolata, non potrebbe sostenere la portata censura. Nel resto vale quanto indicato sub n. 1.

5. Con il quinto motivo è denunciata nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 287 c.p.c. e omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La correzione operata dalla Corte d’Appello, su ricorso inammissibile, sul contenuto della decisione ha natura sostanziale non si concretizza in un errore di calcolo aritmetico dovuto ad erronea applicazione delle relative regole, ma in un errore concettuale nell’applicazione della maggiorazione del 10%.

Il motivo è inammissibile perché manca di autosufficienza non consentendo di apprezzare, per i censurati contenuti, la natura di merito e rivalutativa della decisione operata dalla Corte di appello all’esito del dedotto errore all’interno del procedimento di cui all’art. 287 c.p.c..

6. Conclusivamente il ricorso è infondato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo indicato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

PQM

Rigetta il ricorso proposto dal Comune di Bisceglie che condanna a rifondere in favore di L.N. e L.M. le spese di lite che liquida in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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