Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25837 del 02/12/2011

Cassazione civile sez. II, 02/12/2011, (ud. 16/11/2011, dep. 02/12/2011), n.25837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SOCIETA’ AVATAR s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, M.G.V., M.G.T.,

F.C., rappresentati e difesi, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Schettino Aniello,

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. BRASCHI

Francesco Luigi in Roma, via Paridi, n. 180;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, e CONSOB – COMMISSIONE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e

difesi, per legge, dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli

Uffici di questa domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrenti –

avverso il decreto della Corte d’appello di Bologna in data 14

dicembre 2005, cron. 3649;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 16

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi l’Avvocato Luigi Francesco Braschi, per delega, e l’Avvocato

dello Stato Roberta Tortora;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Ministero dell’economia e delle finanze, con decreto del 22 aprile 2005, irrogava a M.G.V., a M. G.T. e a F.C., componenti del consiglio di amministrazione della s.p.a. Avatar, una sanzione di importo pari a Euro 206.582,00 ciascuno, ed ingiungeva il pagamento, quale responsabile in solido, alla s.p.a. Avatar, per violazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 94, comma 1, (d’ora in poi anche TUF), per avere effettuato un’operazione di abusiva sollecitazione all’investimento, tramite una serie di siti Internet, avente ad oggetto l’offerta al pubblico della “moneta della Repubblica della Terra”, la “dhana”, nonchè per violazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 99, comma 1, lett. b, per inottemperanza al provvedimento di sospensione cautelare della predetta sollecitazione all’investimento assunto dalla CONSOB;

che la società Avatar, i M.G. e la F. hanno proposto opposizione, ex art. 195 del TUF;

che nella resistenza della CONSOB, la Corte d’appello di Bologna, con decreto in data 14 dicembre 2005, ha respinto l’opposizione;

che la Corte d’appello ha rilevato: che la “dhana” non può essere qualificata moneta o mezzo di pagamento, e pertanto alla stessa non è applicabile l’art. 1, comma 4, del TUF; che la “dhana” rappresenta una forma di investimento di natura finanziaria; che la contestazione è stata correttamente rivolta alla società Avatar e ai suoi amministratori nella loro qualità di “proponenti” la sollecitazione all’investimento; che le violazioni contestate si presentano come estremamente gravi, e comunque tali da giustificare le sanzioni irrogate;

che per la cassazione del decreto della Corte d’appello la società Avatar, V. e M.G.T. e C. F. hanno proposto ricorso, con atto notificato l’8 febbraio 2006, sulla base di un unico, complesso motivo;

che il Ministero dell’economia e delle finanze e la CONSOB hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con l’unico motivo, i ricorrenti deducono violazione: dell’art. 42 Cost., commi 1 e 2, sulla natura giuridica della moneta in generale e della moneta “dhana” in particolare; dell’art. 1279 cod. civ., sulla qualificazione e definizione di moneta non avente corso legale; del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1, comma 4, sulla esclusione dei mezzi di pagamento dalla applicabilità delle norme del TUF; del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 191, sulla ritenuta attività di sollecitazione all’investimento da parte di soggetti estranei al fatto ed alla misura delle sanzioni amministrative;

che i ricorrenti – premessa una ricostruzione sulla natura giuridica della moneta – sostengono: che “dhana”, il cui scopo fondamentale è l’equa distribuzione della ricchezza fra gli abitanti della terra, è un bene economico che rappresenta una misura di valore e che può essere utilizzato come mezzo di pagamento e come riserva di valore;

che “dhana” è misura di valore perchè rappresenta sia il valore di un bene sia quello di un servizio (rappresentando un grammo di platino fino e un’ora di lavoro normale), e mezzo di pagamento, perchè chi accetta “dhana” può scambiarla con ogni altro bene economico detenuto da chi accetta “dhana”;

che i ricorrenti censurano l’affermazione della Corte d’appello secondo cui solo la moneta a corso legale, poichè non può essere rifiutata, sarebbe mezzo di pagamento monetario, e che ogni altro mezzo (o forma) di pagamento che possa essere rifiutato sarebbe mezzo di pagamento diverso dalla moneta;

che nel motivo si afferma inoltre che “dhana” è emessa dall’ente Dhura che ne controlla anche il sistema monetario e che nè Avatar nè i suoi amministratori, che non hanno potuto emettere “dhana”, hanno svolto alcuna funzione di sollecitazione all’acquisto;

che infine si censura come assolutamente ingiustificata l’applicazione della sanzione amministrativa nella misura massima;

che il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile;

che correttamente la Corte d’appello ha escluso la possibilità di comprendere “dhana” tra le monete, e quindi tra i mezzi di pagamento, di cui all’art. 1, comma 4, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria;

che infatti, la funzione monetaria, comprendente la potestà di emissione della moneta e quella di gestione del valore monetario, è espressione di funzione pubblica, e come tale si conforma agli obiettivi e alle finalità stabiliti dall’ordinamento, nazionale e sovranazionale;

che in particolare, tanto le previgenti leggi italiane sull’Istituto di emissione (R.D. 28 aprile 1910, n. 204; R.D.L. 6 maggio 1926, n. 812, convertito in L. 25 giugno 1926, n. 1262) quanto l’attuale disciplina (D.Lgs. 10 marzo 1998, n. 43), adottata per permettere l’adeguamento dell’ordinamento nazionale alle disposizioni del trattato istitutivo della Comunità europea in materia di politica monetaria e di sistema europeo delle banche centrali, riservano alle pubbliche autorità l’emissione di moneta, essendone la funzione di mezzo di pagamento assicurata dalla sanzione, anch’essa di fonte legislativa, del “corso legale”;

che ciò risulta confermato dall’art. 128 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il quale, nel sancire che la Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione, prevede che la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono e-mettere banconote, e che le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione;

che pertanto, correttamente la Corte territoriale ha ravvisato in “dhana” (notoriamente non accettata come generale mezzo di pagamento) un prodotto finanziario, rappresentando questo un valore garantito da capitali di imprese, il che costituisce un modo sintetico per indicare una quota o comunque una parte di tali capitali;

che infatti: “dhana” non è gratuita, dal momento che per ottenerla è necessario versare 312,00 Euro ogni 100 “dhana”; ed è convertibile con azioni o quote di capitale detenute dai soggetti che la garantiscono, cosi come tali azioni o quote sono convertibili in “dhana”, sicchè l’investimento proposto attraverso l’offerta di “dhana” riguarda, sia pure indirettamente, azioni o quote di partecipazione al capitale di queste società;

che quanto alla responsabilità della società Avatar, la Corte d’appello – con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di causa – è pervenuta alla conclusione secondo cui quella svolta dall’opponente è stata una attività sollecitatoria all’investimento, nella quale il ruolo di diffusore di messaggi promozionali è emerso non solamente dalle comunicazioni, fatte alle banche, dell’emissione di “dhana” nell’ambito dei progetti di Holos glohal system (consistenti in trenta iniziative di carattere politico e sociale, tra le quali la “Repubblica della Terra” e “dhana”, la sua moneta), ma anche da diversi siti Internet (ad essa riconducibili), ove erano contenuti sia messaggi promozionali, sia documentazione contrattuale finalizzata a rendere possibile il perfezionamento a distanza del contratto di acquisto di “dhana”;

che i ricorrenti deducono la loro assenza di responsabilità nella emissione, garanzia e diffusione di “dhana” da parte della società Avatar, ma – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – neppure indicano quali risultanze probatorie, decisive per una diversa soluzione della controversia, il giudice del merito avrebbe male o insufficientemente valutato;

che pertanto, in questa parte le critiche dei ricorrenti – oltre a risolversi, inammissibilmente, nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito – non tengono conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata;

che infine, le doglianze relative all’entità della sanzione irrogata entro i limiti di legge sono palesemente inammissibili, non essendo questa Corte abilitata (cfr. Cass., Sez. 1^, 24 marzo 2004, n. 5677) a operare una nuova determinazione della relativa misura in presenza di una valutazione – quale quella operata nella specie dal giudice del merito – che ha dato congruamente conto della correttezza delle sanzioni in concreto irrogate, essendo queste state ritenute commisurate alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi;

che pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

che invece non può trovare ingresso la richiesta di condanna al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, essendo questa stata presentata dalle Amministrazioni controricorrenti per la prima volta in cassazione per danni che non si riconnettono esclusivamente alla fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalle Amministrazioni controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 10.000,00 per onorari, oltre alle spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2011

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