Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25836 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 18/06/2021, dep. 23/09/2021), n.25836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28792/2016 proposto da:

Consorzio CO.GE.RI., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Lima n. 7, presso lo

studio dell’avvocato Pasquale Iannuccilli, che lo rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Napoli, in

persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma,

Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati Cinzia Coppa, e

Roberto Ferrari, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso sentenza n. 1779/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/6/2021 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza 1779/2016 del 3.5.2016 la Corte d’Appello di Napoli ha respinto il gravame proposto dal consorzio CO.GE.RI avverso la decisione del locale Tribunale che in primo grado, in accoglimento della domanda dell’Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Napoli, ne aveva pronunciato la condanna, ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46, a tenere indenne l’ente attore dal pregiudizio sofferto da questo per effetto della costruzione, su area contigua a quella su cui sorgeva un fabbricato di sua proprietà, di un viadotto stradale che rasentava l’edificio e ne cagionava perciò un notevole deprezzamento.

Rigettando il proposto atto di gravame la Corte territoriale ha rilevato previamente l’inammissibilità del motivo inteso a confutare il rigetto della sollevata eccezione di prescrizione – motivata dal primo giudice con la considerazione che essendo intervenuta tra le parti antecedemente al giudizio accordo in ordine all’entità del ristoro, l’originaria obbligazione di valore si era convertita in obbligazione di valuta – posto, per vero, che “l’appellante non ha specificatamente censurato detta motivazione indicando eventuali errori in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado, come imposto dall’art. 342 c.p.c.”; e ha quindi respinto il motivo inteso a contestare il riconoscimento in favore dell’ente di interessi e rivalutazione, sul rilievo che “la sentenza non ha liquidato alcuna rivalutazione monetaria in favore dello IACP” e che “gli interessi moratori sono dovuti ai sensi degli artt. 1224 e 1282 c.c., in caso di ritardo nell’adempimento di un credito liquido ed esigibile indipendentemente dalla colpa del debitore nel ritardato pagamento”.

La cassazione di questa sentenza è ora reclamata dal consorzio sulla base di due motivi, cui resiste l’intimato con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso il CO.GE.RI denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 46, nonché degli artt. 2943 e 2946 c.c., poiché, posto che la citata norma della legge fondamentale distingue la fattispecie dell’asservimento da quella del danno permanente, la circostanza che nella specie sia giudizialmente sia stragiudizialmente l’ente attore avesse motivato la propria iniziativa allegando l’intervenuto asservimento del proprio fondo per effetto della realizzazione in prossimità di esso dell’opera pubblica, portava a concludere che, interrompendosi la prescrizione solo nel caso in cui il titolare faccia valere in modo specifico il diritto che intende esercitare, “l’introduzione di un giudizio o l’atto di messa in mora avente ad oggetto un diritto diverso rispetto a quello che compete al suo titolare non è idoneo ad interrompere la prescrizione proprio perché manca l’atto di impulso ricollegato alla posizione giuridica di spettanza del relativo titolare”, con la conseguenza che andava perciò dichiarata la maturata prescrizione.

2.2. Il motivo è affetto da pregiudiziale ed assorbente inammissibilità poiché estraneo alle ragioni del decidere che hanno indotto la Corte territoriale a disattendere l’assunto dell’appellante in punto di prescrizione e che trovano ora ragione di più ultimativo conforto nel giudicato perciò prodottosi.

Quantunque il motivo sviluppi una critica di ordine generale, senza segnatamente additare il quomodo della denunciata violazione imputata al decidende del grado è evidente che per suo tramite il ricorrente intende porre in discussione il fatto che nella specie né il giudice di primo grado né quello d’appello abbiano avvertito il dovere di dichiarare prescritto il diritto azionato dallo IACP.

Cosi ricostruita la doglianza mostra, tuttavia, tutto il suo limite poiché essa pone una questione di merito che, ad onta di ogni altra ragione di inammissibilità, non si allinea alla ratio decidendi enunciata dalla sentenza impugnata per respingere il gravame fatto valere in riferimento al tema de quo. Ed invero, come visto, il giudice d’appello ha arrestato il raggio della propria ricognizione, in tal modo astenendosi dal prendere in esame la questione di cui tratta il motivo, sul preliminare rilievo che il motivo a suo tempo sottopostogli fosse privo dei necessari requisiti di specificità idonei a giustificarne l’esame di merito. Di conseguenza, la questione di cui ora si prospetta lasciando intonsa la ragione ostativa a cui si è riportato il giudice d’appello, dato che il ricorrente non dandosi cura di quanto statuito da quest’ultimo, si è limitato solo a confutare la ricaduta pratica del giudicato senza contestarne le ragioni, si sottrae ad ogni pretesa di scrutinio essendone invero l’esame precluso dall’essere stato il pregresso motivo di appello dichiarato inammissibile.

3.1. Con il secondo motivo di ricorso il CO.GE.RI. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1219 e 1220 c.c., censurando il capo dell’impugnata decisione afferente alla rivalutazione monetaria e agli interessi di mora, e ciò sulla considerazione che, avuto riguardo agli antefatti di causa, si sarebbe dovuta escludere la mora debendi di esso ricorrente, posto che l’obbligazione indennitaria era rimasta inadempiuta per la condotta evasiva dell’ente creditore.

3.2. Il motivo incorre anch’esso in una ragione preclusiva di inammissibilità, evidenziabile, sotto un primo aspetto (rivalutazione monetaria), in ragione della sua eccentricità rispetto al tenore della decisione, leggendosi in essa, con riferimento al giudicato di prima istanza, di cui pure si riportano le giustificazioni a sostegno, che “la sentenza non ha liquidato alcuna rivalutazione monetaria in favore dello IACP”; e, sotto un secondo aspetto (interessi moratori), in ragione della sua estraneità alle ragioni del decidere sostenendosi dal giudice d’appello, con chiara allusione all’inconsistenza della doglianza sul punto, che “gli interessi moratori sono dovuti ai sensi degli artt. 1224 e 1282 c.c., in caso di ritardo nell’adempimento di un credito liquido ed esigibile indipendentemente dalla colpa del debitore nel ritardato pagamento”.

4. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

5. Le spese seguono la soccombenza.

Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di ciascuna delle parti resistenti in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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