Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25833 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 18/06/2021, dep. 23/09/2021), n.25833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4468/2016 proposto da:

Consorzio Census, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via del Corso n. 4, presso lo

studio dell’avvocato Massimo Manfredonia, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Lucio Ghia, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Roma Capitale, già Comune di Roma, in persona del sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove

n. 21, presso l’Avvocatura municipale, rappresentata e difesa

dall’avvocato Angela Raimondo, giusta procura speciale di nomina di

nuovo difensore;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4205/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/6/2021 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 14.7.2015 la Corte d’Appello di Roma adita in via principale dal Consorzio Census, soccombente nel giudizio dal medesimo instaurato avanti al Tribunale di Roma al fine di far dichiarare l’inadempimento del Comune di Roma in relazione alle attività di censimento del patrimonio immobiliare di esso Comune e di addestramento professionale del personale investito della relativa gestione commissionate con contratto stipulato il 6.12.1991 – ha confermato l’impugnata decisione di primo grado sull’assunto del ritardo con cui erano state adempiute le obbligazioni assunte dal Consorzio in relazione al lotto A del contratto (ricognizione e inventariazione di una parte del patrimonio immobiliare del Comune) e del difetto di prova che inficiava le domande attoree in relazione al lotto C del medesimo contratto (erogazione di servizi di supporto alle strutture gestionali di titolarità dell’amministrazione comunale).

La Corte distrettuale ha rigettato invero le ragioni di gravame svolte dal consorzio a sostegno delle domande spiegate in relazione alle prestazioni di cui al lotto A, considerando, per quanto qui ancora rileva, che, previsto contrattualmente che le operazioni commissionate comportassero anche la regolarizzazione catastale degli immobili censiti e che a ciò si era provveduto solo alla data del 26.6.1996 a fronte del termine contrattuale del 31.7.1993, il ritardo con cui il consorzio aveva adempiuto l’obbligazione non era giustificabile né alla luce del ritardo con cui il Comune aveva restituito il 2.10.1995 la relativa documentazione firmata, poiché “non appare ragionevolmente sostenibile, come motivato dal tribunale sotto molteplici aspetti che sussista la prova di un nesso causale tra la intempestiva restituzione degli atti da parte del Comune e l’inadempimento del Consorzio quanto agli adempimenti catastali”, né alla luce della sospensione dei lavori decorrente dal 7.2.1994, “in quanto l’ordine di cessazione di lavori è stato emesso il 29.1.1994 e quindi in epoca in cui il termine del 31.7.1993 era già scaduto”. Ne’, d’altro canto, la decisione impugnata si prestava a riforma in ordine al corrispettivi pretesi, “in quanto in ragione delle penali applicabili e per gli altri titoli indicati (a pag. 24 della sentenza), sussiste al contrario un credito del Comune”.

Quanto invece all’appello motivato in relazione alle domande respinte con riguardo al lotto C) la Corte distrettuale, ripercorsi gli accadimenti penali che avevano fatto da sfondo alla vicenda ed osservato che in quella sede era emerso “un utilizzo di personale di gran lunga inferiore a quello prospettato negli stati di avanzamento dei lavori”, ne ha giustificato il rigetto sul rilievo che, essendo stata accertata tra l’altro la falsità dei predetti SAL, questi “non possono essere posti a fondamento della domanda in sede civile”, né prova di essa può ritrarsi dalle altre evidenze documentali ostese, atteso che nessuna di esse “ha caratteristiche da vincolare questa Corte nel giudizio di attendibilità e veridicità fidefacienti” o è assistita da “valore di prova sino a querela di falso”, tanto più che, provenendo dal consorzio, la loro formazione è avvenuta “sotto il controllo di soggetti (dirigenti della società) di cui è stata accertata con sentenza passata in giudicato la responsabilità per reati connessi proprio all’espletamento delle funzioni”.

Per la cassazione di detta sentenza il consorzio si vale di sette motivi di ricorso, illustrati pure con memoria, ai quali resiste l’intimato Comune di Roma con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. I primi quattro motivi di ricorso investono le determinazioni adottate dalla Corte d’Appello in relazione alle domande esternate dal Census in merito alle attività di cui al lotto A del contratto e lamentano nell’ordine la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1176,1206,1207,1218,1221 e 1375 c.c. e art. 41 c.p., poiché la Corte d’Appello nell’escludere il nesso di causalità tra la condotta del Comune ed il ritardo imputato ad esso ricorrente, avrebbe dovuto, al contrario, riconoscere nell’ostruzionismo del Comune ragione impeditiva dell’inadempimento, avrebbe dovuto da ciò trarre le debite conseguenze sul piano della correttezza e della mora credendi, non avrebbe dovuto giudicare irrilevante con la vista motivazione la circostanza afferente alla sospensione dei lavori ed avrebbe dovuto, quantomeno, attribuire valore di concausa alla condotta dell’ente locale (primo motivo); l’omesso esame di un fatto decisivo, nonché la nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione poiché la Corte d’Appello, sempre in parte qua, nel far propria la motivazione del giudice di primo grado, avrebbe erroneamente attribuito valenza di rationes decidendi agli altri elementi di giudizio in tal senso valutati dal primo giudice, quantunque essi ne fossero privi, in tal modo interpretandone erroneamente il giudicato ed incorrendo perciò nell’omesso esame di un fatto decisivo e nella contraddittorietà della motivazione per aver ascritto rilevanza decisoria ad un elemento di giudizio (il VII SAL) in prosieguo giudicato falso (secondo motivo); la nullità della sentenza poiché la Corte d’Appello, sempre in parte qua, malgrado fosse stata investita di uno specifico motivo di gravame inteso ad evidenziare il nesso di causalità tra la condotta del Comune e l’inadempimento ascritto ad esso ricorrente, avrebbe motivato il proprio rigetto senza dare alcun conto, né diretto, né implicito di aver delibato l’infondatezza del motivo, così incorrendo nel denunciato vizio di omessa pronuncia (terzo motivo); la nullità della sentenza poiché la Corte d’Appello nell’atto di disconoscere il credito del ricorrente riguardo alle opere di cui al lotto A, sul presupposto tra l’altro delle penali applicate, avrebbe omesso di pronunciarsi circa la specifica doglianza fatta valere dal consorzio relativamente alla vincolatività per il Comune delle stime dal medesimo effettuate nel determinare la penale in una misura inferiore a quella applicata dal giudice di primo grado (quarto motivo).

2.2. Il primo motivo di ricorso si duole dell’erroneità del giudizio pronunciato dai decidenti di merito in ordine ai profili causali della vicenda e si sottrae al sindacato di questa Corte, che anche di recente, richiamandosi ad uno stabile insegnamento (Cass., Sez. U., 23/08/1973, n. 2378) ha ricordato che “in tema di responsabilità contrattuale, l’accertamento tanto del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno, quanto della prevedibilità del danno medesimo costituisce un apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ove sorretto da motivazione adeguata e immune da errori” (Cass., Sez. II, 8/09/2017, n. 20961).

Il motivo, che formula solo censure in diritto, è pertanto inammissibile.

2.3. Il secondo motivo di ricorso è declinato in via cautelativa (la locuzione “anche sotto altri molteplici aspetti” impiegata dal decidente “potrebbe essere ritenuta costituire ratio decidendi concorrente, da impugnarsi per vizio della lettura degli atti a pena di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse”, ragione a pag. 15 il ricorso), sicché, posto che l’impugnata decisione mostra di sorreggersi sulla base del visto giudizio espresso riguardo ai profili causali della vicenda, esso non interloquisce su aspetti motivazionali provvisti di portata decisoria, onde ne va perciò dichiarata l’inammissibilità, tanto più considerando che il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, non meno della pretesa contraddittorietà dell’iter decisorio non si prestano ad essere dedotti nei termini capitolati dal ricorrente, l’uno perché il fatto di cui discorre l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è il fatto storico in grado di fondare la pretesa, di modificarla od estinguerla e dunque non può consistere nella denuncia di un errore interpretativo, l’altro perché la contraddittorietà al fine di concretare un’anomalia motivazionale costituzionalmente rilevante deve essere interna al medesimo discorso decisorio e non può fare appello ad affermazioni mutuate da altri contesti argomentativi.

2.4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile poiché intende sollecitare, sotto il diverso profilo del vizio di omessa pronuncia, una rinnovazione del sindacato in punto di nesso di causalità a cui hanno proceduto i giudici di merito.

Al contrario, il fatto che all’esito di questo, per quanto rileva in questa sede, la Corte d’Appello abbia affermato, riflettendo sulla specifica doglianza, che “non appare ragionevolmente sostenibile, come motivato dal tribunale sotto molteplici aspetti che sussista la prova di un nesso causale tra la intempestiva restituzione degli atti da parte del Comune e l’inadempimento del Consorzio quanto agli adempimenti catastali”, non solo priva la censura di fondamento, dato che il decidente del grado non è perciò affatto incorso nel vizio denunciato, ma si è solo pronunciato in modo discorde da quanto auspicato, ma concreta, a ben vedere, una mera istanza a rivedere quel giudizio a cui non è però compito di questa Corte dare alcun seguito.

2.5. Il quarto motivo di ricorso e’, prim’ancora che infondato, di nuovo inammissibile.

Considerato per vero che, secondo quanto consolidatamente si ritiene da questa Corte, “il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto”, (Cass., Sez. VI-I, 16/07/2018, n. 18797), donde esso non è rappresentabile se l’omissione denunciata afferisce, in spregio all’avverso comando di legittimità (Cass., Sez. I, 15/04/2011, n. 8767), al singolo argomento prospettato dalla parte, la doglianza di cui si fa espressione il motivo riposa per il resto su un presupposto che non riflette l’effettiva realtà processuale, dato che il motivo sul punto – e dunque la domanda che vi è contenuta – è stato rigettato dalla Corte d’Appello, con motivazione a cui, peraltro, l’argomento in questione, pur a tacere di quanto si è appena osservato, non è rimasto affatto estraneo (le parole “in ragione delle penali applicabili” lascia intendere che, diversamente da quanto dedotto, il decidente abbia aderito alla perorazione difensiva di cui si denuncia la preterizione), sicché la riprovazione ricorrente non evidenzia alcuna criticità rilevante sotto il profilo sollevato e anella piuttosto ad una rinnovazione del giudizio di merito.

3.1. I restanti tre motivi di ricorso investono le determinazioni adottate dalla Corte d’Appello in relazione alle domande esternate dal Census in merito alle attività di cui al lotto C del contratto e lamentano nell’ordine la nullità della sentenza per vizio di omessa pronuncia poiché, quantunque in sede di gravame si fosse eccepito il vizio di ultrapetizione in cui era caduto il giudice di primo grado nel condannare esso ricorrente alla restituzione di tutti i corrispettivi riscossi, e ciò perché il Comune si fosse limitato a chiedere solo la restituzione di quelli in più rispetto al dovuto, la Corte d’Appello aveva omesso al riguardo ogni pronuncia, limitandosi a constatare che i fatti accertati in sede penale privavano la domanda di ogni riscontro probatorio (quinto motivo); la violazione e falsa applicazione degli artt. 1181,1218,1668 e 2226 c.c., poiché la Corte d’Appello, facendo integralmente proprie le risultanze del processo penale che aveva accertato la falsità dei SAL comprovanti l’avvenuta esecuzione delle attività commissionate, aveva disatteso la domanda ricorrente in ordine ai compensi quantunque in una certa misura le attività in questione fossero state effettivamente prestate ed il Comune non avesse rifiutato l’adempimento parziale (sesto motivo); l’omesso esame di fatti decisivi poiché la Corte d’Appello, nel rigettare ogni pretesa al riguardo, non aveva tenuto conto che in base ai documenti prodotti il Census era risultato adempiente in una misura quantitativamente assai rilevante, di guisa che il fatto che i SAL non offrissero una rappresentazione veritiera della realtà fattuale avrebbe dovuto determinare solo una riduzione dei compensi dovuti, ma non la loro radicale negazione (settimo motivo).

3.2. Il quinto motivo di ricorso è infondato.

La Corte d’Appello, motivando il rigetto del gravame con la considerazione che “il fatto accertato in sede penale quanto alla condotta degli amministratori e direttore dei lavori… per un verso priva di riscontro probatorio la domanda, per altro verso induce a ritenere irrilevante oltre che inattendibile la documentazione prodotta dalla società… essendo la sua valenza inficiata e comunque contraddetta dall’accertata falsità dei SAL, che ne costituisce presupposto documentale”, ha infatti dato puramente e semplicemente atto che nessuna pretesa poteva essere accampata dal consorzio con riguardo alle attività di cui al lotto C). Confermando allora sul punto il capo della sentenza di primo grado che aveva disposto la condanna di questo alla restituzione di tutti i corrispettivi riscossi, essa ha rigettato lo specifico motivo di gravame, disattendendo perciò l’eccepito vizio di ultrapetizione, perché, avendo chiesto il Comune la ripetizione dei pagamenti effettuati in più rispetto al dovuto, era stato accertato in conseguenza degli esiti maturati in sede penale che nulla era dovuto e, dunque, del tutto correttamente il Census era stato condannato al rimborso di tutte le somme riscosse a titolo di compenso per le attività di cui al lotto C.

Il vizio lamentato quindi non sussiste.

3.3. L’infondatezza che infirma l’allegazione operata con il quinto motivo di ricorso assorbe anche quelle operate con il sesto e settimo motivo di ricorso, fondandosi esse sul presupposto, risultato infondato per via del rigetto dell’anzidetto motivo di ricorso, che il Census abbia titolo a percepire “quantomeno” un parziale compenso per le attività prestate in adempimento dell’obbligo contratto in relazione al lotto C della commessa.

Poiché si è detto rigettando il quinto motivo di ricorso che bene hanno fatto i decidenti di merito a smentire totalmente la pretesa in ragione della falsità dei SAL e dell’inattendibilità dell’altra documentazione messa a disposizione dal consorzio, ne discende che il consorzio non ha titolo non solo per reclamare tutto il compenso pattuito, ma neppure una parte di esso, con la conseguenza che le doglianze rappresentate con il sesto ed il settimo motivo di ricorso devono pertanto dichiararsi assorbite.

4. Il ricorso va dunque respinto.

5. Spese alla soccombenza.

Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in Euro 15200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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