Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25832 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 17/06/2021, dep. 23/09/2021), n.25832

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21746/2016 proposto da:

B.G., e C.E., rappresentati e difesi, anche

disgiuntamente tra loro, dagli Avv.ti Marta Giovannini, e Prof. Ugo

Petronio, elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in

Roma, via R. Fauro, n. 43, giusta procura a margine del ricorso per

cassazione.

– ricorrenti –

contro

Comune di Alba, nella persona del Sindaco pro tempore, rappresentato

e difeso, anche disgiuntamente tra loro, dagli Avv.ti Angioletta

Coppa, e Luciana Cannas, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo, in Roma, via Sestio Calvino, n. 33, giusta procura

speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale.

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

e nei confronti di:

AIGE s.r.l., nella persona del legale rappresentante pro tempore.

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di TORINO, n. 238/2016,

pubblicata il 17 febbraio 2016, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/06/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Torino, in sede di opposizione alla stima, ha determinato l’indennità definitiva di esproprio in Euro 48.001,50, compensando le spese di causa per un terzo per la parziale reciproca soccombenza e condannando il Comune di Alba al pagamento della restante parte, dovendo comunque un’indennità maggiore di quella riconosciuta, e ponendo le spese della consulenza tecnica di ufficio per intero a carico dell’Ente territoriale che vi aveva dato corso.

2. La Corte territoriale, per quel che rileva in questa sede, dopo avere premesso che le particelle in esame (foglio 22, nn. 108 e 111 di proprietà per il 50% di ciascuno dei convenuti ed estese rispettivamente mq. 1.706,00 e 2.475,00), ricadevano in area AS 4.1 del piano regolatore, destinata a servizi e che erano ricomprese entro la fascia di rispetto cimiteriale ex art. 39 N.T.A. del Piano regolatore generale, ha affermato, anche sulla base di alcune sentenze di questa Corte, che il vincolo cimiteriale determinava una tipica situazione di inedificabilità legale e che, peraltro, il consulente tecnico d’ufficio aveva anche accertato che le particelle in esame ricadevano in classe di rischio geologico III B, con pericolosità geomorfologica alta ed in zona di interesse archeologico generale; inoltre la tematica dell’attività agricola era stata meramente enunciata dalla parte e, oltre alla genericità delle allegazioni delle parti in punto di coltivazione e di singole colture impiantate, anche i danni da mancato raccolto o all’organizzazione aziendale non erano stati provati; che mentre la valutazione ai fini IMU riguardava macroaree e fissava dati indicativi, la determinazione dell’indennità atteneva a singole specifiche particelle.

3. B.G. e C.E. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

4. Il Comune di Alba ha resistito con controricorso e ricorso incidentale fondato su due motivi.

5. B.G. e C.E. hanno deposito controricorso.

6. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37-40 e dell’art. 12 preleggi, per avere determinato, secondo il criterio puramente agricolo e senza tenere conto delle possibilità di utilizzazione intermedia, l’indennità di esproprio dovuta per lavori di ampliamento del cimitero ricadenti su terreni privati soggetto a vincolo cimiteriale.

1.1 Il motivo è inammissibile, poiché i ricorrenti, chiedendo che sia asseverata l’esistenza o meno di un dato fattuale presupposto dalla fattispecie (natura edificabile delle particelle in esame), demanda a questa Corte un accertamento di fatto che è compito esclusivamente del giudice di merito operare e chiedono, perciò, una rivisitazione delle risultanze fattuali e dell’apprezzamento di esse compiutone dai giudici di merito che esula dai limiti istituzionali del sindacato di legittimità, a nulla rilevando, a giustificare l’intervento correttivo di questa Corte, la veste di violazione di diritto conferita dalla ricorrente alla doglianza, giacché intanto può porsi la questione della congruenza giuridica del giudizio di fatto esperito dal giudice di merito in quanto i fatti siano certi e non richiedono, come qui si reclama, di procedere ad ulteriori accertamenti in ordine alla loro ricorrenza.

1.2 In proposito, questa Corte ha affermato che, nell’ipotesi in cui venga proposta domanda di determinazione della giusta indennità spettante ai proprietari in presenza della situazione della perdita in radice del diritto dominicale sul bene in conseguenza della sua formale e sostanziale ablazione, trova applicazione la normativa specifica dettata per la determinazione del valore venale del bene nelle espropriazioni per pubblica utilità, nonché per la determinazione dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili e non edificabili, introdotta dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, ed oggi recepita del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37.

1.3 Come questa Corte ha affermato la determinazione dell’indennità, pertanto, deve avvenire sulla base dell’accertamento non già della contrapposizione di vincoli conformativi o espropriativi, ma della sussistenza o meno delle possibilità legali di edificazione al momento del decreto di espropriazione, tenuto conto del disposto normativo di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 4, secondo cui “non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata” (Cass., 24 febbraio 2016, n. 3620).

1.4 Anche di recente, questa Corte ha statuito che l’indennità di espropriazione va determinata in relazione al valore venale distinguendo tra suoli edificabili e non edificabili in ragione del criterio dell’edificabilità legale, escluse le possibilità legali di edificazione qualora lo strumento urbanistico dell’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale abbia concretamente vincolato la zona ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità, ecc.) sicché, rientrando nella nozione tecnica di edificazione l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area secondo il regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione, ai fini indennitari deve tenersi conto delle possibilità di utilizzazione intermedia tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti, ecc.), sempre che siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative. (Cass., 1 febbraio 2019, n. 3168; Cass., 25 ottobre 2017, n. 25314).

1.5 In siffatta prospettiva, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso la legale edificabilità quanto alle aree destinate a edilizia scolastica, nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, anche sotto il profilo della realizzabilità degli interventi a iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacché l’edilizia scolastica è riconducibile a un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio e istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato (Cass., 8 marzo 2018, n. 5557; Cass., 13 marzo 2017, n. 6388); parimenti è stata affermato con riguardo alla zona concretamente vincolata a un utilizzo meramente pubblicistico, quale quello sussistente nella presente fattispecie (attrezzature pubbliche e uso pubblico di interesse generale) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass., 10 maggio 2017, n. 11445; Cass., 21 giugno 2016, n. 12818).

1.6 Nel caso in esame, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi suesposti, avendo affermato che le particelle in esame ricadevano in area AS 4.1 del piano regolatore, destinata a servizi, entro la fascia di rispetto cimiteriale ex art. 39 N.T.A. del piano regolatore generale e che il vincolo cimiteriale determinava una tipica situazione di inedificabilità legale; né, peraltro, i ricorrenti hanno fornito la prova che il terreno espropriato fosse suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, che, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, potesse condurre ad una valutazione di mercato che rispecchiasse, per l’appunto, possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (Cass., 6 marzo 2019, n. 6527).

1.7 Il motivo, peraltro, trascura del tutto di censurare il secondo iter argomentativo della Corte del merito posto a fondamento della ritenuta natura non edificabile delle particelle in questione, laddove essa ha evidenziato che il consulente tecnico d’ufficio aveva anche accertato che le particelle in esame ricadevano in classe di rischio geologico III B, con pericolosità geomorfologica alta ed in zona di interesse archeologico generale; profilo, come si legge nella sentenza impugnata, su cui la parte resistente è rimasta silente e che il consulente tecnico d’ufficio ha accertato senza avverse contestazioni (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione della L. n. 446 del 1997, art. 59 e l’omessa valutazione di un fatto determinante per la decisione, per non avere tenuto conto come parametro di riferimento della valutazione operata dal Comune ai fini IMU.

2.1 Premessa l’inammissibilità del motivo, formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), deve evidenziarsi che il motivo è pure inammissibile, perché estremamente generico, essendosi limitato l’Ente territoriale a dedurre che tale criterio non poteva essere totalmente ignorato dalla consulenza tecnica d’ufficio, in quanto la valutazione proveniva direttamente dal Comune espropriante.

La censura proposta, inoltre, trascura del tutto di censurare la ratio decidendi della corte del merito, laddove essa ha escluso la possibilità di tenere in considerazione, ai fini della determinazione del valore delle particelle espropriate, i valori venali applicati dal Comune per l’IMU, sulla base della considerazione che l’individuazione operata dall’Ente territoriale atteneva ad un intero territorio distinto per macroaree e non già a singole specifiche particelle e si basava su dati indicativi in un’ottica deflattiva del contenzioso.

3. Il Comune ricorrente ha presentato ricorso incidentale fondato su due motivi.

4. Con il primo motivo il Comune controricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per quanto concerne il riparto delle spese di giudizio nel loro complesso, non essendo stato il Comune soccombente, avendo la Commissione provinciale determinato l’indennità di espropriazione nella misura di Euro 30,00 al metro quadro ed essendo stato nella sentenza riconosciuto un valore inferiore e solo leggermente superiore a quello stimato dagli uffici comunali.

4.1 I motivo è infondato, avendo fatto la Corte distrettuale corretta applicazione del criterio della soccombenza, che va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota al pagamento delle spese stesse e che la valutazione di soccombenza va sempre rapportata all’esito finale della lite (Cass., 27 agosto 2020, n. 17854). 4.2 Senza dubbio la parte soccombente va identificata, alla stregua del principio di causalità – causalità sulla quale si fonda la responsabilità del processo – con quella che, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata, abbia dato causa alla lite ovvero con quella che abbia tenuto nel processo un comportamento rilevatosi ingiustificato (Cass., 16 giugno 2011, n. 13229), così, nel caso in esame, la parte soccombente è il Comune di Alba che, a fronte di una valore stimato dalla consulenza tecnica d’ufficio in Euro 11,50 al metro quadro, aveva chiesto che fosse corrisposto un valore, anche se di poco, ma inferiore (Euro 10,45 al metro quadro).

4.3 Ne consegue che in nessun modo può seguirsi il Comune ricorrente nel tentativo di capovolgere l’esito del giudizio sulla soccombenza globale, mentre la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale – rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, salvo l’onere di motivazione, ma non è mai sindacabile in cassazione la decisione di non compensare le dette spese e di regolarle secondo il criterio di soccombenza globale (Cass., 21 luglio 2017, n. 18125).

5. Con il secondo motivo il Comune controricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e la carenza e/o palese illogicità della motivazione per quanto concerne il riparto delle spese di consulenza tecnica di ufficio, avendo la Corte di appello compensato anche le spese della consulenza tecnica d’ufficio, essendo stata la consulenza richiesta da entrambe le parti ed essendo stata effettuata nel loro comune interesse.

5.1 Anche il secondo motivo è infondato.

Ed invero, la consulenza tecnica d’ufficio è un atto compiuto nell’interesse generale di giustizia e, dunque, nell’interesse comune delle parti, trattandosi di un ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno e non di un mezzo di prova in senso proprio e le relative spese rientrano, pertanto, tra i costi processuali suscettibili di regolamento ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c. (Cass., 10 giugno 2020, n. 11068).

Peraltro, il giudice di merito che, dopo avere dichiarato la compensazione delle spese fra le parti, pone a carico dell’attore quelle della consulenza tecnica di ufficio, non viola l’art. 92 c.p.c., in quanto tale pronuncia sta solo ad indicare che la compensazione ha natura parziale (Cass., 13 settembre 2019, n. 22868).

Così, nel caso in esame, la Corte territoriale, con accertamento peraltro di merito non censurabile in questa sede, ha posto le spese della consulenza tecnica d’ufficio a carico dell’Ente territoriale, che aveva dato causa al giudizio.

6. In conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, in ragione della reciproca soccombenza delle parti, vanno interamente compensate tra le parti.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale.

Compensa interamente tra le parti le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti e del Comune controricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

 

 

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