Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25828 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 17/06/2021, dep. 23/09/2021), n.25828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8394/2016 proposto da:

Technical S.p.a., in proprio e nella qualità di capogruppo

mandataria dell’Associazione Temporanea di Imprese costituita con la

Tecnic s.p.a. e la C.R.A. s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Piazza San Bernardo n. 101, presso lo studio dell’avvocato Cancrini

Arturo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Ninfadoro Valeria, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Anas S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma, Via Monzambano n. 10, presso la Direzione

Generale ANAS, rappresentata e difesa dagli avvocati Masini Maria

Stefania, Tabarini Alessandro, giusta procura speciale per Notaio

G.E. di Roma – Rep. n. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5477/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/06/2021 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5477/2015, depositata in data 5/10/2015, – in controversia promossa da Technital spa, in proprio e quale mandataria capogruppo della ATI costituita con la Tecnic spa e la CRA spa, nei confronti di Anas spa, per ottenere il pagamento del compenso spettantele per attività ulteriori e corrispettivo di quattro riserve iscritte, in forza di contratto di appalto di servizi (avente ad oggetto redazione di progettazione definitivo, esecutivo, studio di impatto o di inserimento ambientale, nonché elaborazione del piano di sicurezza in relazione al tratto autostradale (OMISSIS), per un corrispettivo di Lire 2.903.000.000 IVA esclusa) tra le stesse parti stipulato il 2/11/1999, – ha confermato la decisione di primo grado, che aveva respinto le domande attrici.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che: a) l’appalto prevedeva un corrispettivo fisso ed invariabile, per tutte le prestazioni oggetto del contratto; b) il progetto preliminare era risultato, all’esito di CTU, fattibile e quello definitivo era risultato conforme a quanto richiesto dall’art. 109/1994; c) il consulente aveva accertato che, rispetto alle opere originariamente stimate dall’Anas nel progetto preliminare (presuntivamente quantificate in Lire 140 miliardi), erano aumentate le opere da progettare richieste da ANAS (avendo poi la Committente approvato il progetto definitivo per un ammontare di oltre Lire 265 miliardi), in quanto, durante la fase istruttoria del progetto fino alla sua approvazione, erano stati necessari approfondimenti tecnici e geologici, nonché, in relazione alla galleria “(OMISSIS)”, modifiche alla sezione di scavo ed ai relativi rivestimenti, l’inserimento della corsia di emergenza per tutta la lunghezza delle gallerie, la realizzazione di un viadotto non previsto, l’adeguamento sismico dell’opera e delle caratteristiche plano-altimetriche, tutti interventi ritenuti dal consulente e dall’appaltatrice non prevedibili; d) l’attività di progettazione, tuttavia, doveva svolgersi secondo la normativa vigente e previa acquisizione delle necessarie autorizzazioni da parte degli organismi competenti, a cura dell’aggiudicatrice, sicché era suo onere approntare le necessarie varianti e gli adeguamenti al progetto preliminare originariamente elaborato dall’ANAS, al fine di assicurare un risultato progettuale utile a dare il via ai lavori di ammodernamento del tratto autostradale in questione ed adeguato alle normative nel frattempo intervenute; e) il corrispettivo di Lire 2.903.000.000 era stato offerto dall’appaltatrice mediante un’offerta economica che prevedeva un ribasso del 38,88% sull’importo a base di gara, che fissava in Lire 4.500.000.000 il corrispettivo per l’opera di progettazione; f) i lavori di progettazione aggiuntiva non erano dipesi da inadempienze della committente ma dall’intervento di nuove norme ed i tempi di esecuzione dell’opera di progettazione avevano risentito dei tempi necessari per ottenere la valutazione ed i nulla osta propedeutici all’ottenimento della valutazione di impatto ambientale, cosicché essi dovevano ritenersi compresi nell’alea contrattuale; g) il patto derogatorio dei minimi tariffari, fissati nelle tariffe professionali, è ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità valido per la determinazione del corrispettivo per l’attività professionale esercitata in favore della p.a. e la clausola contrattuale specifica contenente la relativa pattuizione non poteva ritenersi nulla, ex art. 1418 c.c., comma 3, in relazione alla L. n. 109 del 1994, art. 17, comma 14 quater, anche considerato che la L. n. 155 del 1989, di conversione del D.L. n. 65 del 1989, prevedeva, all’art. 4, che, per le prestazioni rese dai professionisti allo Stato ed ad enti pubblici, la riduzione del corrispettivo non poteva superare il 20% e tale ultima disposizione non era prevista, invece, a pena di nullità, “a prescindere dal rilievo che la prospettata inadeguatezza del corrispettivo rispetto alle tariffe professionali non poteva certo ravvisarsi al momento della stipulazione del contratto”, essendo stato il corrispettivo determinato dall’offerta con un ribasso d’asta del 40% della stessa aggiudicataria, “di talché la dedotta invalidità non potrebbe ricondursi ad un vizio genetico del contratto”; h) anche in relazione alle riserve, il gravame era infondato, atteso che le somme richieste dall’impresa per maggiori oneri e danni non erano addebitabili ad ANAS in ragione di qualsivoglia inadempimento.

Avverso la suddetta pronuncia, Technital spa propone ricorso per cassazione, notificato il 30/3/2016, affidato a sei motivi, nei confronti di Anas spa (che resiste con controricorso, notificato il 9/5/2016). Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, sia la nullità, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1362 c.p.c. e segg. e segnatamente artt. 1363 e 1364 c.c., con riferimento agli artt. 1, 4, 5 e 6 del contratto, atteso che l’art. 1 della convenzione prevedeva la redazione della progettazione “ai sensi delle normative e disposizioni legislative vigenti” (al momento della stipulazione del contratto), nonché sulla base delle indicazioni contenute nel progetto preliminare predisposto e consegnato da ANAS in fase di gara, cosicché il corrispettivo fisso era stato accettato “nell’ipotesi di invariabilità dell’oggetto del contratto”, non verificatasi, sia la violazione e falsa applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 11, in relazione all’art. 1 del contratto, che impone di contenere le varianti ai contratti stipulati nel limite massimo del quinto del prezzo d’appalto; b) con il secondo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 132 c.p.c., in relazione alle risultanze della CTU, letta con riferimento agli artt. 1 e 6 del contratto o, in subordine, la nullità, ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento alle risultanze della CTU, essendo state le stesse “travisate”, per avere la Corte ritenuto tutte le attività esaminate dal consulente come da remunerare con compenso aggiuntivo, in quanto relative a prestazioni non conosciute al momento della stipula del contratto e non prevedibili, fossero invece già comprese nell’oggetto del contratto; c) con il terzo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1418 c.c., con riferimento alla L. n. 109 del 1994, art. 17, comma 14 quater, ed al divieto di derogabilità dei minimi tariffari ivi sancito per gli appalti di progettazione; d) con il quarto motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 109 del 1994, art. 25, avendo la Corte di merito errato nell’applicare all’appalto in esame categorie e logiche, quali la disposizione della L. n. 109 del 1994, art. 25, previste solo per gli appalti di lavori pubblici; e) con il quinto motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione alle risultanze della CTU, con riguardo al rigetto del motivo di gravame concernente le riserve n. 2, atteso che il consulente d’ufficio aveva invece accertato l’esistenza di diverse inadempienze di ANAS; f) con il sesto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione al punto A1 delle previsioni di gara ed all’art. 1 del contratto, con riferimento al rigetto del motivo di gravame concernente la riserva n. 3, riferita alla protrazione del termine di ultimazione della progettazione per cause imputabili ad esclusiva responsabilità della committente.

2. La prima censura è inammissibile.

Invero, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla integrale trascrizione delle clausole individuanti l’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (cfr. Cass. n. 22889/2006; Cass. n. 25728/2013; Cass. 28319/2017).

Le censure, così come formulate, sono pertanto inammissibili in quanto si risolvono nella mera prospettazione di un possibile significato alternativo, delle disposizioni negoziali, diverso da quello accolto dalla Corte territoriale, che è inidoneo ad inficiare la corretta applicazione dei criteri ermeneutici utilizzati dal Giudice di merito, atteso che “l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. 6125/2014).

La Corte d’appello, per contro, ha dato ampia contezza del contenuto degli artt. 1, 4, 5, 6 della convenzione, dell’offerta economica del 4/6/1999 e della dichiarazione resa contestualmente al verbale di consegna del 20/9/1999 dal legale rappresentante della mandataria della ATI.

Il corrispettivo previsto era fisso ed invariabile e non rileva, in quanto non previsto dal contratto in oggetto, il fatto che esso dovesse essere ancorato al valore presunto delle opere da progettare in fase di gara, anche perché la determinazione forfettaria e presuntiva del compenso derivante dal bando di gara è stata prevista proprio allo scopo di evitare una lievitazione dello stesso in sede di liquidazione finale.

Questa Corte (Cass. 5262/2015; principio già affermato da Cass. 18559/2011 e da Cass. 24165/2014, quest’ultima in relazione ad appalto di servizio) ha già chiarito che “in tema di appalto di opere pubbliche a corpo o “a forfait”, il prezzo convenuto è fisso ed invariabile, della L. 20 marzo 1865, n. 2248, ex art. 326, all. F, sicché, ove risulti rispettato dalle parti di quel rapporto l’obbligo di comportarsi secondo buona fede giusta l’art. 1175 c.c. e, dunque, siano stati correttamente rappresentati dall’appaltante tutti gli elementi che possono influire sulla previsione di spesa dell’appaltatore, grava su quest’ultimo il rischio relativo alla ulteriore quantità di lavoro che si renda necessaria rispetto a quella prevedibile, dovendosi ritenere che la maggiore onerosità dell’opera rientri nell’alea normale del contratto, con conseguente deroga all’art. 1664 c.c.. Ciò, peraltro, non comporta un’alterazione della struttura o della funzione dell’appalto, che non si trasforma in un contratto aleatorio, benché l’allargamento del rischio accollato all’appaltatore releghi a situazioni affatto marginali la rilevanza della imprevedibilità delle condizioni di maggior difficoltà nell’esecuzione delle opere, potendo venire qui in considerazione solo situazioni che finiscano per incidere sulla natura stessa della prestazione”.

Questa Corte ha ritenuto che soltanto quando il progetto dell’opera non individui compiutamente e dettagliatamente i lavori da realizzare ed il relativo costo, ovvero quando non siano correttamente rappresentati tutti gli elementi che possono influire sulla previsione di spesa dell’appaltatore, si può ritenere, solo in tal caso, che la maggiore onerosità dell’opera non rientri nell’alea normale del contratto (Cass. 9.9.2011, n. 18559, che in applicazione del principio, ha escluso l’inadempimento dell’appaltatore di fronte ad una riscontrata eccessiva onerosità dell’opera e difficoltà di esecuzione della stessa, qualora l’amministrazione, per negligenza o imperizia in sede di progettazione, per insufficienza di indagini tecniche o studi, abbia ingenerato nell’appaltatore una erronea rappresentazione – che non avrebbe potuto evitare usando la diligenza media richiesta dall’attività da lui esercitata – in ordine ai costi ed alle modalità di realizzazione dell’opera secondo le previsioni progettuali, creando nell’esecuzione dell’opera margini di imprevedibilità).

Ma, nella specie, la Corte di merito ha rilevato che, neppure dall’istruttoria espletata, erano emerse inadempienze imputabili ad ANAS. Ne’ si poneva una questione di eccessiva onerosità o di speciale difficoltà dei servii prestati, e quindi sulla deformazione della causa del contratto, bensì solo di diversità della progettazione in relazione a maggiori opere rispetto a quelle originariamente stimate dall’Anas nel progetto preliminare, in conseguenza anche della variazione della normativa.

La questione relativa alla violazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 11, risulta poi inammissibile, perché nuova e perché la ricorrente, a fronte di una mancata motivazione sul punto nella decisione impugnata, non indica in quale sede di merito essa fosse stata prospettata ed allegata.

3. La seconda censura è inammissibile.

Invero, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 14627/2006; Cass. 24434/2016; Cass. 23934/2017).

Come poi osservato, quanto al vizio di motivazione apparente o omessa o contraddittoria ed illogica, dalle S.U. di questa Corte (Cass. S.U. 22232/2016) “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.

La censura tende, invece, ad un’inammissibile nuova ricostruzione fattuale, riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, al di fuori dei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

4. Il terzo motivo è del pari inammissibile.

La Corte d’appello ha, anzitutto, ritenuto che i compensi per le prestazioni professionali rese da ingegneri ed architetti allo Stato e agli altri enti pubblici per la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico, possono essere concordati, ai sensi del D.L. n. 65 del 1989, art. 4, comma 12 bis (aggiunto dalla L. di conv. n. 155 del 1989), in misura ridotta rispetto ai minimi tariffari, senza che ricorra alcuna nullità del patto derogatorio, né sorga l’obbligo della P.A. committente di liquidare al professionista il maggiore compenso richiesto in base alle proprie parcelle, sulla base di un consolidato orientamento di questo giudice di legittimità (Cass. 18223/2009; Cass. 8502/2015; Cass. 18805/2018).

La ricorrente richiama però la specifica previsione di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 17.

La L. n. 109 del 1994, art. 17, comma 14 quater, applicabile ratione temporis, stabilisce, in effetti, che “I corrispettivi determinati dal decreto di cui al comma 14-bis (14-bis: I corrispettivi delle attività di progettazione sono calcolati, ai fini della determinazione dell’importo da porre a base dell’affidamento, applicando le aliquote che il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, determina, con proprio decreto), nonché ai sensi del comma 14-ter (4-ter: Fino all’emanazione del decreto di cui al comma 14-bis, continuano ad applicarsi le tariffe professionali in vigore) del presente articolo, fatto salvo quanto previsto del D.L. 2 marzo 1989, n. 65, art. 4, comma 12-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 1989, n. 155, sono minimi inderogabili ai sensi della L. 4 marzo 1958, n. 143, articolo unico, u.c., introdotto dalla L. 5 maggio 1976, n. 340, articolo unico. Ogni patto contrario è nullo”.

Il D.L. n. 65 del 1989, art. 4, comma 12 bis, convertito con modifiche dalla L. n. 155 del 1989 (disposizione questa poi abrogata dal D.Lgs. n. 152 del 2008), prevedeva che “Per le prestazioni rese dai professionisti allo Stato e agli altri enti pubblici relativamente alla realizzazione di opere pubbliche o comunque di interesse pubblico, il cui onere è in tutto o in parte a carico dello Stato e degli altri enti pubblici, la riduzione dei minimi di tariffa non può superare il 20 per cento”.

In relazione al contratto d’opera è costante l’affermazione di questo giudice di legittimità secondo cui “la violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari (quale, per gli ingegneri ed architetti, quello contenuto nella L. 5 maggio 1976, n. 340) non importa la nullità, ex art. 1418 c.c., comma 1, del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale” (21235/2009; Cass. 17222/2011; Cass. 1900/2017; Cass. 14293/2018).

Ma questo giudice di legittimità, anche in relazione alla L. n. 109 del 1994, art. 17, ha, di recente (Cass. 22482/2018), ribadito che l’inderogabilità dei limiti tariffari di categoria stabiliti per i professionisti è circoscritta dalla L. 10 luglio 1977, n. 404, art. 6, ai soli incarichi professionali privati e non vale, pertanto, per gli incarichi conferiti da enti pubblici, in quanto detta norma, interpretando autenticamente della L. 5 maggio 1976, n. 340, articolo unico – che sancisce l’inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti – ne ha limitato l’applicazione ai rapporti intercorrenti tra privati, con previsione che non viola l’art. 3 Cost., poiché la derogabilità dei minimi tariffari prevista dall’art. 6 Legge cit. riguarda anche i professionisti privati (Cass. n. 14187 del 27/06/2011; Cass. n. 6156 del 30/03/2016); nella specie si è ritenuto che del tutto legittimamente il Comune avesse stabilito un compenso inferiore ai minimi tariffari professionali, accettato dal professionista.

Ne consegue che correttamente la Corte territoriale ha escluso l’inderogabilità dei minimi tariffari nel caso in esame: stante la derogabilità dei minimi tariffari allorché il rapporto non coinvolga soltanto parti private, non vi è alcun ostacolo a che il soggetto pubblico conferente l’incarico abbia contrattato liberamente con il professionista un corrispettivo forfettario inferiore alle tariffe degli onorari, corrispettivo che quest’ultimo aveva piena facoltà di accettare o rifiutare, salva, ovviamente, la facoltà per l’ente di non procedere alla nomina sottoponendola alla condizione della accettazione della specifica clausola (Cass. n. 20039 del 08/10/2004; nello stesso senso, Cass. n. 20296 del 14/10/2004).

Ora la ricorrente assume che la clausola contrattuale di cui all’art. 6, relativa alla determinazione del compenso per il servizio di progettazione (in maniera fissa ed inderogabile), come interpretata dalla Corte d’appello, si rivelerebbe comunque elusiva dell’obbligatorietà dei minimi inderogabili tariffari, ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 3 (il contratto è nullo “negli altri casi stabiliti dalla legge”), in relazione all’espressa previsione della nullità del patto derogatorio rinvenibile nella disciplina degli appalti pubblici di progettazione.

Tuttavia, a parte la genericità della doglianza, in relazione alla specifica deroga rispetto ai minimi fissati dalle tariffe professionali, con essa non si censura efficacemente la seconda ratio decidendi espressa dalla Corte di merito, laddove questa ha affermato che, in ogni caso, la pattuizione del corrispettivo, determinata, oltretutto, dall’offerta con ribasso d’asta del 40% della stessa aggiudicataria, non inadeguata al momento della stipulazione del contratto, trattandosi di invalidità non riconducibile ad un vizio genetico del contratto.

In sostanza, si dice che non era nulla la pattuizione contrattuale perché al momento della stipula del contratto non vi era alcuna deroga ai minimi tariffari.

Ed in ricorso si deduce che la violazione del divieto di patto derogatorio dei minimi tariffari è stata invocata “in relazione al corrispettivo previsto in contratto (parametrato alla stima operata dall’ANAS spa) rispetto alla progettazione effettivamente realizzata approvata dalla Committente, per un importo più che raddoppiato rispetto alle originarie previsioni”.

Quindi la nullità non scaturisce da un vizio genetico del contratto ma si invoca, come ritenuto correttamente dalla Corte di merito, una nullità sopravvenuta al fine di caducare la pattuizione sulla natura “fissa ed invariabile del corrispettivo”, perché asseritamente non più adeguato, il che non attiene alla invocata nullità del patto derogatorio dei minimi tariffari.

5. Il quarto è inammissibile, in quanto non conferente al decisum, venendo censurata una mera argomentazione ultronea ed ad abundantiam della decisione impugnata.

6. Il quinto motivo è inammissibile, oltre che per le ragioni già esposte in relazione al secondo motivo, perché implicante al più, quanto al dedotto travisamento della prova, un vizio revocatorio, ex art. 395 c.p.c., n. 4.

7. Il sesto motivo è inammissibile, in forza delle precedenti considerazioni, essendo strettamente connesso al primo, assumendosi sempre un’errata interpretazione dell’art. 1 del contratto di appalto (con riguardo alla volontà delle parti di limitare temporalmente l’impegno assunto dall’appaltatrice al rispetto della legislazione vigente al momento del conferimento dell’incarico ed alla conseguente fondatezza della riserva n. 3 relativa a danni derivati dalla protrazione del termine contrattuale), in forza di asserita violazione delle norme di ermeneutica contrattuale.

La formulazione dell’art. 1 è inoltre richiamata parzialmente dalla ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza. In ogni caso l’intenzione delle parti da ricercare, ai sensi dell’art. 1362 c.c., è quella comune non quella di una sola delle parti.

8. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 17.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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