Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25827 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 17/06/2021, dep. 23/09/2021), n.25827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8386/2016 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pompeo

Magno n. 94, presso lo studio dell’avvocato Longo Mauro, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Impresa Edile Artigiana A.G., in persona dell’omonimo

titolare pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Banco

di S. Spirito n. 3, presso lo studio dell’avvocato Fazi Lucia,

rappresentata e difesa dall’avvocato Tesei Venanzina, giusta procura

speciale per Notaio Dott. S.A. di Foligno – Rep. n.

(OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 631/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 03/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/06/2021 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza n. 631/2015, depositata in data 3/11/2015, – in controversia concernente domanda promossa dall’Impresa Edile Artigiana A.G., nei confronti dell’arch. B.L., nella sua veste di direttore dei lavori nominato dal Comune di Montecastrilli nell’ambito del contratto di appalto di opere pubbliche del 19/1/1999 Rep. N. 4443, di condanna del convenuto al risarcimento dei danni cagionati dal mancato rispetto delle procedure previste dalla legge, al fine di ottenere dal Comune appaltante il pagamento del corrispettivo dei lavori extra contratto eseguiti dall’appaltatrice, – ha riformato la decisione di primo grado, che aveva respinto la domanda dell’attrice.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame dell’impresa, condannando il B. al pagamento in favore dell’impresa A. della somma di Euro 17.396,04, in misura pari al corrispettivo delle opere extra-contratto non pagate dal Comune, oltre interessi dalla domanda al saldo, a titolo di risarcimento danni, hanno sostenuto che, a fronte delle precise prescrizioni dettate dalla L. n. 2248 del 1865, art. 342, all. F, in ordine alla necessità da parte del direttore dei lavori di dare immediata comunicazione alla stazione appaltante della situazione imprevista e di assoluta urgenza venutasi a creare nel corso dei lavori e delle direttive impartite all’appaltatrice, nella fattispecie, emergeva, dalla stessa relazione sull’andamento dei lavori redatta dal direttore dei lavori, che questi aveva ordinato lavori extra-contratto, di carattere indifferibile ed urgente, determinati dalla necessità di mettere in sicurezza una parte del cantiere, lato strada esterno del fabbricato, dove parte del terrapieno stava franando, ma aveva ammesso di non avere proceduto “a tutte le operazioni contabili necessarie”.

Avverso la suddetta pronuncia, B.L. propone ricorso per cassazione, notificato il 22-29/3/2016, affidato a tre motivi, nei confronti di Impresa Edile Artigiana A.G. (che resiste con controricorso, notificato il 27/4-5/5/2016). Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 2248 del 1865, art. 342, all. F, ratione temporis operante, essendo i lavori in oggetto stati eseguiti nel 1999, censurando l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha interpretato la norma che prevede che il Direttore dei lavori possa richiedere all’appaltatore l’esecuzione di opere urgenti ed indifferibili senza preventiva autorizzazione della stazione appaltante; b) con il secondo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, rappresentato dal materiale istruttorio acquisito agli atti, con prova testimoniale e documentazione, in ordine sempre alla sussistenza dei requisiti di indifferibilità ed urgenza per le opere eseguite dall’impresa, su ordine del direttore dei lavori, in variante rispetto al progetto originario; c) con il terzo motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 92 c.p.c., sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di fatto decisivo, in relazione alla mancata compensazione delle spese di lite.

2. La prima censura è infondata.

Nei contratti di appalto con la Pubblica Amministrazione, le varianti non autorizzate dalla stazione appaltante ma eseguite dall’appaltatore su espressa richiesta del direttore dei lavori in presenza di una situazione di assoluta urgenza trovano la loro disciplina, in relazione all’epoca, in cui il contratto è sorto (1999), nella L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 342, all. F (“Non può l’appaltatore sotto verun pretesto introdurre variazioni o addizioni di sorta al lavoro assunto senza averne ricevuto l’ordine per iscritto dall’ingegnere direttore, nel qual ordine sia citata la intervenuta superiore approvazione. Mancando una tale approvazione gli appaltatori non possono pretendere alcun aumento di prezzo od indennità per le variazioni od addizioni avvenute, e sono tenuti ad eseguire senza compenso quelle riforme che in conseguenza l’Amministrazione credesse opportuno di ordinare, oltre il risarcimento dei danni recati. Si eccettuano i casi di assoluta urgenza nei quali l’appaltatore dovrà tosto prestarsi sulla richiesta dell’ingegnere direttore; in questi casi però l’ingegnere

medesimo dovrà darne immediata partecipazione all’Amministrazione, la quale potrà sospendere la esecuzione dei lavori, pagando all’appaltatore le spese sostenute pei lavori ordinati di urgenza”). Tale norma, dopo aver previsto in via generale nei primi due commi la necessità della preventiva approvazione per iscritto da parte della Amministrazione per l’esecuzione di “varianti o addizioni” rispetto all’originario progetto, introduce una deroga per i casi appunto di assoluta urgenza, imponendo all’appaltatore la loro esecuzione su semplice richiesta del direttore dei lavori al quale incombe poi l’obbligo della comunicazione all’Amministrazione.

Si è poi ritenuto (Cass. /2009) che, in tal caso, si instauri un rapporto diretto fra il direttore dei lavori e l’appaltatore, disgiunto dal legame che il primo deve pur sempre tenere con la stazione appaltante attraverso l’immediata comunicazione della situazione imprevista e di assoluta urgenza venutasi a creare nel corso dei lavori o delle direttive impartite per farvi fronte, e che, di conseguenza, si prefiguri un affidamento incolpevole dell’appaltatore sul rispetto da parte del direttore dei lavori degli obblighi di cui è onerato e della cui osservanza l’appaltatore può quindi legittimamente presumere, affidamento che trova la sua tutela nei principi generali e che comporta pertanto il diritto al compenso anche qualora l’Amministrazione, non avvertita tempestivamente, fosse poi di contrario avviso in ordine al carattere di assoluta urgenza dei lavori.

Con successiva pronuncia (Cass. 15029/2016; Cass. 19776/2018) questa Corte ha chiarito che l’appaltatore che abbia eseguito varianti in corso d’opera non previste dal contratto non ha diritto, per ovvie necessità di protezione del pubblico interesse, ad alcun compenso o indennizzo di sorta, neppure a titolo di indebito arricchimento dell’ente committente, ma che “il direttore dei lavori, che ne abbia disposto l’esecuzione, abbia agito al di fuori di suoi poteri, e, perciò, quale “falsus procurator” dell’ente”, avendo la L. n. 2248 del 1865, art. 342, comma 2, all. F e L. n. 109 del 1994, art. 25, sancito il divieto di introdurre varianti come regola generale assoluta, a meno che non siano approvate tramite una regolare procedura di affidamento.

La sentenza, dando atto dell’ammissione da parte del direttore dei lavori della omessa contabilizzazione e regolarizzazione dei lavori extra-contratto, risulta avere fatto conforme applicazione di tali principi.

3. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto non articolato nel rispetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. S.U. 8053/2014; Cass. 23940/2017).

Ora, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011; Cass. 9097/2017; Cass. 29404/2017).

Nella specie, non vi è stato omesso esame di un fatto storico decisivo, avendo la Corte d’appello proceduto ad una propria valutazione delle risultanze istruttorie ed all’esame dei fatti allegati dal ricorrente (in primis, la relazione del Direttore dei Lavori, trasmessa nell’ottobre 1999, a conclusione dei lavori al Comune, che non risulta smentita dagli stralci prodotti nel corpo del motivo, in riferimento agli obblighi di contabilizzazione degli interventi, non adempiuti dal Direttore dei Lavori, che parla invero di una “perizia di variata distribuzione delle opere senza aumento della spesa prevista”).

4. Il terzo motivo (inerente la mancata compensazione delle spese) è inammissibile, alla luce del principio secondo cui la facoltà di disporre la compensazione delle spese tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non è censurabile in cassazione (Cass., sez. un., n. 14989 del 2005; Cass. 24179/2017).

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

 

 

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