Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25826 del 02/12/2011

Cassazione civile sez. II, 02/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 02/12/2011), n.25826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Est. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M., L.R., L.A. e P.M.,

rappresentati e difesi per procura in calce al ricorso dall’Avvocato

Polinari Gianfranco, elettivamente domiciliati presso il suo studio

in Roma, viale Giulio Cesare n. 118;

– ricorrenti –

contro

M.M. e R.A., rappresentati e difesi per

procura a margine del controricorso dagli Avvocati Lana Mario, Anton

Giulio Lana e Mario Melillo, elettivamente domiciliati presso il loro

studio in Roma, via Emilio Dè Cavalieri n. 11;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 87 della Corte di appello di Roma, depositata

il 12 gennaio 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8

novembre 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese della controricorrente svolte dall’Avv. Mario

Melillo;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 1993 Mo.Ma. e R. A., comproprietari di un immobile sito nel Comune di (OMISSIS), convennero in giudizio il vicino L.F., chiedendone la condanna all’adempimento degli obblighi da questi assunti con la scrittura privata del 1978, consistenti nella realizzazione di un parapetto in muratura su un balcone e nelle opere necessarie per raccogliere e convogliare le acque di scolo reflue provenienti dal piazzale e dal balcone al fine di impedirne la confluenza sulla proprietà degli attori; chiesero, inoltre, la condanna del convenuto alla demolizione di un balcone edificato a distanza inferiore a quella di legge.

Il Tribunale accolse le domande e la relativa decisione, impugnata dal L., venne confermata dalla Corte di appello di Roma che, con sentenza n. 87 del 12 gennaio 2005, per quanto qui ancora interessa, respinse l’eccezione di prescrizione sollevata dagli appellanti, eredi dell’originario convenuto, affermando che nel caso di specie, poichè la scrittura privata del 1978 le parti aveva costituito diritti reali di servitù (di scolo di acque, di veduta e di distanze tra costruzioni), doveva ritenersi applicabile il termine prescrizionale di vent’anni, il quale non era maturato al momento della notificazione dell’atto di citazione in giudizio, avvenuta nel 1993.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 27 febbraio 2006, ricorrono, sulla base di un solo motivo, L. M., L.R., L.A. e P.M., quali eredi di L.F..

Resistono con controricorso, illustrato da memoria, M. M., quale erede di Mo.Ma., e R.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 2946 cod. civ. in relazione all’art. 905 cod. civ., censurando al sentenza impugnata per avere affermato che la scrittura privata sottoscritta tra le parti nel 1978 aveva ad oggetto la costituzione di diritti reali di servitù, mentre la stessa non conteneva alcun specifico riconoscimento di servitù, ma prevedeva soltanto l’obbligo, a carico del L., di eseguire determinate opere, con l’effetto che, vertendosi in materia di diritti obbligatoli, il termine di prescrizione applicabile era quello ordinario decennale e non quello ventennale ritenuto dalla Corte romana. Con riferimento alla statuizione di condanna alla eliminazione del balcone, si assume inoltre che, essendo stato il manufatto costruito nel 1976, la pretesa della controparte doveva dichiararsi parimenti prescritta per decorso del termine decennale. Il motivo è inammissibile.

La lettura del mezzo evidenzia che la critica sollevata si incentra, più che sull’errata applicazione delle norme in materia di prescrizione, sull’esatta qualificazione giuridica del rapporto che le parti avevano inteso regolare con la scrittura privata sottoscritta nel 1978, assumendosi da parte del ricorrente che con essa i suoi autori non avevano inteso nè costituire nè regolare un rapporto di servitù, ma solo imporre taluni obblighi, di carattere personale, a carico del L., con l’effetto che nel caso di specie il termine prescrizionale sarebbe quello ordinario, di cui all’art. 2946 cod. civ.; e non quello, più lungo, previsto dall’art. 1073 cod. civ. Tale doglianza tuttavia, che come si è appena detto condiziona, attraverso la qualificazione giuridica del rapporto intercorso tra le parti, la soluzione della questione relativa alla individuazione dell’esatto termine di prescrizione applicabile nella fattispecie, avrebbe dovuto essere proposta mediante denunzia specifica della violazione dei canoni ermeneutici che sovrintendono l’interpretazione degli atti di volontà (artt. 1362 c.c. e segg.) e, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, mediante trascrizione integrale della missiva. Costituisce diritto vivente della giurisprudenza di questa Corte il principio che l’erronea valutazione ed interpretazione dei contratti e degli atti di volontà può essere sindacata, in sede di legittimità, soltanto per violazione dei canoni ermeneutici e per vizio di motivazione e che la relativa deduzione impone al ricorrente di indicare in modo specifico i canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle ragioni per cui si assume che il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale dell’atto (Cass. n. 19044 del 2010; Cass. n. 4178 del 2007). Nessuna deduzione al riguardo viene svolta dal motivo e ciò è sufficiente a sancirne l’inammissibilità, non avendo questa Corte alcuna facoltà di sindacare, al di là dei motivi del ricorso, l’operazione interpretativa posta in essere dal giudice di merito.

La doglianza che contesta la statuizione della Corte di appello che ha confermato l’ordine di demolizione del balcone posto al primo piano dell’edificio del convenuto, ordine che, dalla lettura della decisione impugnata, appare fondato non sulla scrittura privata del 1978 ma, mediante richiamo agli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio, in forza della accertata violazione delle distanze legali, appare parimenti inammissibile, non avendo parte ricorrente in alcun modo censurato l’affermazione del giudice a quo che ha escluso che il convenuto avesse acquistato il diritto a mantenere l’opera ad una distanza inferiore a quella legale per effetto dell’usucapione ventennale, argomentazione che, merita aggiungere, trova conforto nella stessa prospettazione dei fatti del ricorrente, secondo cui l’opera fu eseguita nel 1976. Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, vanno poste, per il principio di soccombenza, a carico della parte ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2011

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