Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25823 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 20/06/2017, dep.31/10/2017),  n. 25823

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. A.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari del 16 dicembre 2013, con la quale è stato rigettato l’appello da lui proposto avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Trani, Sezione Distaccata di Molfetta, nel 2006.

Quella sentenza era stata resa dal Tribunale sull’opposizione proposta dall’ A. avverso un decreto ingiuntivo, ottenuto nei suoi confronti da Pi.Ma. il 28 novembre 2000, in forza di ricorso monitorio depositato lo stesso giorno, per la somma di allora Lire 25.148.500, oltre interessi legali e spese.

Il decreto era stato fondato su un pagherò cambiario emesso per il maggiore importo di Lire 75.445.500, con scadenza al 31 dicembre 1997, sottoscritto, oltre che dall’ A., da D.G. e da Da.Gi., e che la creditrice assumeva soddisfatto per il residuo dai D.. Il decreto veniva concesso in via provvisoriamente esecutiva e anteriormente alla sua notificazione, avvenuta il 18 dicembre 2000, la Pi. decedeva.

1.1. Con l’atto di opposizione al decreto l’ A. chiamava in giudizio in garanzia i D., in relazione alla loro qualità di ex soci, unitamente a lui, della s.n.c. IN.PO.MO., nel presupposto che la cambiale fosse stata rilasciata in relazione alle vicende relative alla compagine sociale.

Costituendosi in giudizio il difensore dell’opposta non dichiarava l’avvenuto decesso della sua assistita, nè ad esso facevano riferimento le altre parti.

Il Tribunale, all’esito dello svolgimento processuale, definiva il giudizio di opposizione rigettando l’opposizione e confermando il decreto, nonchè dichiarando inammissibile la chiamata in causa dei D., in quanto avvenuta direttamente con la citazione introduttiva del giudizio di opposizione.

1.2. La sentenza veniva appellata dall’ A., il quale contestava le ritualità della dichiarazione di inammissibilità della chiamata dei D., nonchè il merito della fondatezza della pretesa creditoria. Nell’atto di appello il difensore dell’ A., previo dell’intervenuto decesso della Pi. ed assumendo che i suoi eredi erano i figli D.G. e Da.Gi., li conveniva sia in tale qualità, sia come costituiti in primo grado quali terzi chiamati. Costituendosi in giudizio gli appellati D. eccepivano l’improcedibilità dell’appello nei confronti della Pi. e contestavano la fondatezza nel merito dello stesso.

Costituendosi successivamente con altro difensore l’ A. assumeva che, essendo avvenuta la notificazione del decreto ingiuntivo dopo il decesso della Pi., il medesimo decreto ingiuntivo era divenuto del tutto inefficace sicchè il giudizio di opposizione si sarebbe dovuto definire con tale declaratoria.

Con comparsa del 29 marzo 2013 si costituivano in giudizio Z.G., D.E. e D.V., quali eredi di D.G., nonchè P.A., D.V. e D.M., quali eredi di Da.Gi..

1.3. Con la sentenza qui impugnata la Corte d’Appello ha disatteso l’eccezione di improcedibilità dell’appello, sollevata dai D. sull’assunto del preteso passaggio in giudicato della sentenza nei confronti della Pi., assumendo che, in ragione della mancata dichiarazione in primo grado, da parte del suo difensore, del decesso della medesima, l’essere stati convenuti in giudizio i medesimi in proprio e quali eredi della Pi., con la notifica dell’atto di impugnazione al procuratore domiciliatario in primo grado della Pi., nonchè personalmente, in relazione alla loro qualità di eredi dei D., aveva avuto piena idoneità ad instaurare il giudizio d’appello nei confronti dei soggetti legittimati.

La Corte territoriale ha poi disatteso l’appello dell’ A. quanto alla dichiarata inammissibilità della chiamata in causa dei D..

Ha, quindi, ritenuto che il difensore della Pi., nonostante il suo decesso, fosse legittimato a notificare il decreto ingiuntivo, non avendo dichiarato all’atto della notificazione l’avvenuto decesso, e ne ha poi inferito che l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo era stato correttamente notificato alla Pi., ancorchè deceduta, nel domicilio eletto presso il suo difensore non avendo l’ingiunto avuto notizia dell’evento (in proposito richiamando Cass. n. 17205 del 2011), ed ha ancora osservato che, “quando agli effetti dell’evento interruttivo non dichiarato antecedente alla costituzione della parte, l’interruzione ex art. 299 cod. proc. civ. (doveva) ritenersi superata in forza della costituzione nel giudizio dei D., unici eredi della Pi.”, come emergeva dal certificato relativo allo stato di famiglia.

La Corte territoriale ha ulteriormente ritenuto che tanto però rilevava ai soli fini della correttezza della verifica del contraddittorio sull’opposizione al decreto, mentre “le domande dovevano essere valutate sulla base delle argomentazioni in fatto e in diritto delle parti”, con la conseguenza che, poichè nel giudizio di primo grado l’opponente aveva proposto nei confronti dei D. in proprio la sola domanda di manleva, essa, in quanto fondata esclusivamente su tale pretesa, non poteva ritenersi ammissibile solo perchè i medesimi avrebbero dovuto rivestire il ruolo di eredi iure successionis, come era stato prospettato erroneamente nell’atto di costituzione del 14 ottobre 2011 in appello da parte del nuovo difensore dell’ A., onde per tale ragione risultava corretta la declaratoria dell’ammissibilità della chiamata dei D..

La Corte territoriale ha poi disatteso nel merito le ragioni della pretesa infondatezza del credito di cui al decreto ingiuntivo.

2. Al ricorso per cassazione dell’ A., proposto contro gli eredi dei D. costituitisi in appello, non vi è stata resistenza degli intimati.

3. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, e sono state depositate conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, nonchè memoria dal ricorrente.

Considerato che:

1. Con l’unico motivo di ricorso, illustrato con un punto 1) e quindi con un punto 2), si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, genericamente “Error in procedendo”.

1.1. Nel punto 1) viene illustrato un primo preteso error in procedendo, prospettandosi, previa evocazione del principio di diritto di cui a Cass. n. 921 del 1962, la tesi secondo cui, essendo avvenuta la notificazione del decreto ingiuntivo da parte del difensore di Pi.Ma. allorquando la medesima era già deceduta ed essendo essa invalida (come si dovrebbe desumere anche da giurisprudenza di questa Corte che, nel caso di sopravvenienza della morte della parte dopo la sentenza non considera il suo difensore legittimato a notificare la sentenza ai fini del decorso del termine breve), il decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 644 c.p.c., doveva ritenersi inefficace, in quanto la morte della creditrice, avendo estinto il mandato ai sensi dell’art. 1722 c.c., n. 4, determinava l’impossibilità di instaurazione del contraddittorio e ciò al contrario di quanto ha ritenuto la Corte d’Appello evocando le disposizioni di cui all’art. 299 c.p.c. e ss..

1.2. Nel punto 2) si argomenta un secondo error in procedendo, prospettandosi la tesi della inesistenza della costituzione in giudizio di Pi.Ma., in particolare sotto il profilo della inesistenza di una procura ai fini del giudizio di opposizione in favore del difensore che aveva ottenuto l’emissione del decreto e la nullità di tutte le domande svolte da quel difensore nell’interesse della Pi.Ma. nei confronti del ricorrente. Ciò, per errata applicazione degli artt. 299 e 300 c.p.c..

Si sostiene ancora che, “a tutto voler concedere”, cioè supponendo – al contrario di quanto sostenuto nel punto 1) – l’efficacia del decreto ingiuntivo e la validità della sua notifica, una volta intervenuta la notificazione della citazione in opposizione presso il procuratore della Pi., come – si concede – era stato ritenuto correttamente dalla Corte d’Appello di Bari, evocando Cass. n. 17205 del 2011, il difensore della Pi. non si sarebbe potuto costituire in giudizio per essa, in quanto il mandato si era estinto a seguito del decesso avvenuto prima della notifica del decreto. Si asserisce che nel giudizio di opposizione avrebbero dovuto costituirsi in giudizio gli eredi della Pi., ed invece non solo ciò non sarebbe accaduto, ma gli stessi chiamati in causa in proprio per la manleva – si erano ben guardati dal dichiarare l’evento interruttivo in primo grado. Nemmeno in appello essi avrebbero sostenuto l’ultrattività del mandato rilasciato dalla defunta madre in favore dell’originario difensore, chiedendo la declaratoria del passaggio in giudicato della sentenza, emessa dal Tribunale di Trani, Sezione Distaccata di Molfetta relativamente alla pronuncia resa in favore della stessa.

Si asserisce ancora che, pure ammesso che il decreto ingiuntivo fosse stato notificato correttamente dal difensore della Pi., nel giudizio di opposizione avrebbero dovuto necessariamente stare in giudizio come contraddittori principali gli eredi Pi., ossia i fratelli D. chiamati in causa per la manleva, mentre gli stessi si erano costituiti solo per difendersi in proprio dalla chiamata in causa.

Per tali ragioni si sostiene che non potesse trovare applicazione “nè l’art. 299 c.p.c., circa l’interruzione del processo perchè, rispetto alla fase a cognizione piena, il mandato si era estinto prima dell’instaurazione del contraddittorio ex art. 643 c.p.c., comma 3, e men che meno l’art. 300 c.p.c., in quanto, a seguito dell’opposizione spiegata dall’ A., Pi.Ma. non era ancora costituita”, spiegando il mandato da essa conferito effetti solo per la fase monitoria.

Si sostiene ancora che le norme in tema di interruzione e successione nel processo non avrebbero potuto trovare applicazione rispetto ai fratelli D., quali eredi della Pi., in quanto essi erano stati evocati per effetto della domanda accessoria di chiamata in garanzia, che, tuttavia, era stata ritenuta inammissibile in primo grado e in appello. Tale domanda era stata decisa, del resto, in via preliminare, benchè all’esito del giudizio di primo grado.

Secondo il ricorrente, non si comprenderebbe, dunque, come la Corte d’Appello, nei righi 12 e seguenti della pagina 6 della sentenza, “abbia potuto ritenere sanata tale interruzione ed integro il contraddittorio con i fratelli D. rispetto alla domanda principale per effetto di una successione nel processo – rispetto a tale domanda – sotto il profilo sostanziale mai verificatosi”, tenuto conto che quella stessa Corte sulla domanda di garanzia si è espressa in termini di sua inammissibilità.

2. Il motivo non è fondato con riferimento ad entrambi i profili che propone.

La prospettazione del ricorrente che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dovesse definirsi con la constatazione che il decreto ingiuntivo era divenuto inefficace in quanto notificato dal difensore della defunta Pi. dopo il verificarsi dell’evento della sua morte è priva di fondamento sulla base delle seguenti considerazioni.

Il Collegio rileva, in primo luogo, che non può essere condivisa la remota Cass. n. 921 del 1962, che effettivamente espresse, sulla base della affermazione che “la morte o la perdita della capacità della parte, sopravvenuta prima della notificazione dell’atto iniziale del procedimento tolgono ogni effetto alla procura ad litem e rendono processualmente inefficace l’ulteriore eventuale attività del procuratore”, il principio di diritto secondo cui “la morte del creditore istante dopo l’emissione del decreto ingiuntivo ma prima della sua notificazione al debitore ingiunto, fa venir meno l’efficacia giuridica dell’ingiunzione”.

2.1. E’ vero che non constano nella giurisprudenza della Corte precedenti che l’abbiano contraddetto expressis verbis.

2.2. Ve n’è però uno che, pur occupandosi degli effetti della morte del ricorrente monitorio dopo il deposito del ricorso e prima dell’emissione del decreto, l’ha implicitamente contraddetto, pur non essendosene fatto carico. Si tratta di Cass. n. 15785 del 2008, secondo cui “Nel procedimento monitorio, la morte del ricorrente, che si verifichi tra il giorno del deposito del ricorso – che coincide con il momento della proposizione della domanda – e quello dell’emissione del decreto ingiuntivo, non determina l’invalidità del decreto emesso, trovando applicazione il principio dell’ultrattività del mandato ex art. 300 c.p.c.”.

Le ragioni che hanno giustificato l’affermazione di tale principio sono state le seguenti: “(…) si deve rammentare che nell’ambito del processo esiste, in forza dell’art. 300 c.p.c., il principio della ultrattività del mandato, allorchè la morte si verifichi dopo la costituzione in giudizio, cioè dopo che l’atto di citazione sia stato notificato alla controparte o che il ricorso sia stato depositato in cancelleria (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 14.8.1999, n 8670). Non vi è ragione per ritenere che tale principio non debba applicarsi nel procedimento monitorio. E’ ius receptum, infatti, che il momento della proposizione della domanda, mentre nel caso di giudizio da iniziarsi con citazione, coincide con quello in cui essa viene portata a cognizione della controparte, mediante notificazione, e del Giudice, mediante la costituzione di una delle parti e il deposito in cancelleria dei relativi atti, nel caso, invece, di giudizio da iniziarsi con ricorso coincide con il giorno del deposito del ricorso (insieme con i documenti) in cancelleria (cfr. fra le tante, Cass. 15/05/1998, n. 4904, Cass. 1 marzo 1997 n. 1819; Cass. 23 aprile 1993 n. 4867). Da quanto sopra si evince la erroneità dell’interpretazione operata a riguardo dai Giudici dei precedenti gradi, dovendosi affermare che, nel caso di decesso del soggetto che promuove la procedura monitoria successivamente al deposito del ricorso, ma antecedentemente alla emissione del decreto ingiuntivo, quest’ultimo è da ritenersi perfettamente valido”.

2.3. Tali affermazioni, là dove attribuiscono al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, il valore di costituzione nel procedimento monitorio agli effetti dell’applicazione della regola dell’art. 300 c.p.c., e, quindi – secondo la regola che dalla sua disciplina si desume, nel senso che il ministero del difensore che ha chiesto il decreto ingiuntivo può continuare ad esercitarsi, se egli non ritenga di dichiarare l’evento (cosa non possibile prima dell’udienza che venga fissata per effetto della proposizione dell’opposizione) o non lo notifichi alle altre parti – l’effetto di lasciar permanere la validità di detta costituzione e, quindi, la legittimazione del difensore a svolgere il ministero, appaiono:

a) non solo pienamente giustificate, non potendosi negare che il deposito del ricorso monitorio integri una costituzione in un processo, sebbene di rito speciale, ma, tuttavia, è da dire, con la necessaria prospettiva di provocare l’eventuale instaurazione del giudizio a cognizione piena, nel quale la domanda oggetto di lite resta quella introdotta con il ricorso stesso;

b) ma anche costituzionalmente necessitate, atteso che, supporre che la possibilità di esercitare il ministero del difensore cessi ai sensi dell’art. 2722 c.p.c., n. 4, oltre a implicare immotivata negazione degli effetti tradizionalmente riconosciuti alla costituzione di una parte tramite difensore, determinerebbe una soluzione confliggente con la tutela del diritto di azione in giudizio, atteso che la parte ricorrente, sebbene non più esistente, ma le cui situazioni giuridiche sono trasferite al successore in universum jus, verrebbe a rimanere priva di tutela ancorchè nell’ambito di un procedimento che, com’è noto, appresta una forma di tutela giurisdizionale privilegiata, qual è quello monitorio e, tra l’altro, impositivo di adempimenti, quali la notificazione in un certo termine del decreto a pena di inefficacia (art. 644 c.p.c.).

L’evocazione della regola di cui all’art. 643 c.p.c., u.c., per ricondurre la situazione della morte del ricorrente monitorio prima della notificazione del decreto ingiuntivo all’ipotesi in cui la parte che abbia conferito il mandato ad un difensore deceda prima della notificazione della citazione (o nel processo che inizia con ricorso prima del suo deposito), risulta priva di pregio, perchè la detta norma, nel disporre la pendenza della lite solo con la notificazione del decreto ingiuntivo, non può essere intesa come previsione intesa a stabilire una totale equivalenza rispetto alla notificazione di una citazione: la ragione è che sussiste prima di essa comunque un’attività processuale, quella della fase monitoria, che si era espressa in un’attività di costituzione.

Ciò, tanto più se si considera che Cass., Sez. Un. n. 20596 del 2007, ha, com’è noto, attribuito effetti ai fini della prevenzione ed in generale degli effetti processuali, al deposito del ricorso monitorio e non alla notificazione del decreto.

Nè può essere seguita la tesi dottrinale che, considerando estinta la procura per la morte del creditore, sul presupposto che il decreto sia equiparabile ad una sentenza, legittima alla notificazione del decreto solo gli eredi: la tesi non è sostenibile, atteso che legittimato alla notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve è anche il difensore della parte vittoriosa deceduta (Cass. (ord.) n. 21287 del 2015) e considerata la valorizzazione dell’ultrattività del mandato alle liti di cui a Cass., Sez. Un. n. 15295 del 2014.

Sulla base delle svolte considerazioni deve allora ritenersi che il difensore della Pi. notificò ritualmente il decreto e che, a seguito dell’opposizione, legittimamente notificata alla Pi. al domicilio eletto presso il difensore nella situazione di ignoranza del suo decesso (come, del resto, ammette Cass. n. 17205 del 2011, evocata dalla sentenza impugnata), altrettanto legittimamente il medesimo difensore si costituì, per l’ultrattività del mandato, anche nel giudizio di opposizione e, astenendosi dal dichiarare l’evento che aveva colpito la sua assistita, determinò l’indifferenza del processo a detto evento. Sicchè il processo di primo grado continuò e venne deciso nella situazione di mancata emersione dell’evento stesso, che finì per emergere nel giudizio solo con l’atto di appello dell’ A., in quanto egli, a conoscenza dello stesso, lo propose contro i D. quali eredi della Pi. e quali terzi chiamati.

Il motivo dev’essere, dunque, rigettato, se del caso dovendosi ritenere la motivazione della sentenza impugnata corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., con le osservazioni sopra svolte, che giustificano l’affermazione del principio di diritto, secondo cui: “nel procedimento per decreto ingiuntivo, poichè la costituzione nella fase monitoria dispiega i suoi effetti anche ai fini della fase eventuale a cognizione piena conseguente all’opposizione, sebbene sia necessario integrarla con la costituzione in essa se l’opposizione risulti proposta, si deve ritenere che, qualora, dopo l’emissione del decreto si verifichi il decesso della parte creditrice, il suo difensore, in forza dell’ultrattività del mandato conferitogli con il ricorso monitorio, è non solo legittimato a procedere alla notificazione del decreto ma anche, a seguito dell’opposizione dell’ingiunto (che legittimamente si notifica alla parte ingiungente al domicilio eletto presso il detto difensore nella situazione di ignoranza del suo decesso), a costituirsi nel giudizio di opposizione. Se egli, costituendosi, si astiene dal dichiarare l’evento che ha colpito la parte, il processo di opposizione resta indifferente all’evento del decesso, in non diversa guisa di quel che accade quando il decesso della parte costituita non è dichiarato dal suo difensore. Se egli si costituisca e dichiari l’evento, si verifica una fattispecie interruttiva. Resta fermo che il medesimo difensore si può anche costituire per gli eredi in prosecuzione, munito di mandato”.

Per completezza è opportuno rilevare che il medesimo difensore, una volta deceduta la parte dopo l’emissione del decreto, previo rilascio di procura degli eredi, possa procedere anche alla sua notificazione del decreto rappresentando la vicenda successoria (il che equivale a notifica della stessa), nel qual caso l’opposizione andrà proposta contro gli eredi, equivalendo quella notificazione a volontaria prosecuzione del giudizio.

3. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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