Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25820 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/10/2017, (ud. 15/06/2017, dep.31/10/2017),  n. 25820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18743-2015 proposto da:

CONSORZIO COOPERATIVE PESCA MARCEDDI’ in persona del Presidente e

legale rappresentante Z.F., considerata domiciliata ex lege

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE CORRONCA giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SO.CO.MAR SPA, T.M., P.S., P.M., P.S.,

P.E., REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA;

– intimati –

Nonchè da:

P.E., P.M., T.M., P.S., P.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA EUSTACHIO MANFREDI N 21,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO ANTONELLI, rappresentati e

difesi dagli avvocati PIER LUIGI MELONI, ENRICO MARIA MELONI, ELIO

MARIA MELONI giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

REGIONE AUTONOMA SARDEGNA, in persona del Presidente Prof.

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCULLO 24, presso

l’UFFICIO DI RAPPRESENTANZA DELLA REGIONE SARDEGNA, rappresentata e

difesa dagli avvocati ALESSANDRA CAMBA e SANDRA TRINCAS, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

contro

CONSORZIO COOPERATIVE PESCA MARCEDDI’;

– intimata –

Nonchè da:

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 276/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 27/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, inammissibilità del ricorso incidentale della REGIONE,

assorbito il ricorso incidentale condizionato di T.;

udito l’Avvocato ENRICO MARIA MELONI;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2001 T.M. convenne in giudizio la Regione autonoma della Sardegna e il Consorzio delle Cooperative Riunite della Pesca di Marceddì Soc. coop a rl., affinchè venisse accertata e ritenuta la responsabilità concorrente e solidale con conseguente condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti dall’attrice per il decesso del marito P.A. verificatosi, il (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), per annegamento. Dedusse l’attrice che il marito si era recato con la famiglia presso lo stagno suddetto per dedicarsi alla raccolta di arselle, zona nota per profondità scarsa e costante delle acque, quando improvvisamente iniziò ad annaspare annegando. Affermò la vedova che il marito ignorava che dove si era fermato per la raccolta delle arselle era stato di recente dragato il fondale e scavato un canalone, per collegare lo stagno al mare aperto, che corre parallelo alla riva per circa 1 km, con una larghezza di circa 60 m, con repentino degradare del fondale dai naturali pochi centimetri ad oltre 3 m di profondità. Dell’esistenza del canalone non vi era sul posto, nè in prossimità dello stesso, alcun segnale o cartello di pericolo per avvertire i bagnanti e pescatori dell’insidiosa condizione dei luoghi. Precisò anche che le acque torbide e di colore uniforme a causa del fondo fangoso dello stagno, non potevano offrire nessun elemento di percezione dell’esistenza della situazione di pericolo determinata da un autentico gradone che interrompeva la continuità del fondo facendo sprofondare il livello delle acque da pochi centimetri a 3 m.

Intervennero nel giudizio P.S., P.M., P.S. e P.E. figli del defunto Aldo formulando richieste conformi a quelle proposte dalla madre.

Si costituirono in giudizio la Regione Autonoma della Sardegna e il Consorzio delle Cooperative Riunite della Pesca di Marceddì.

La prima chiese fosse dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva ed in ogni caso accertata l’infondatezza della pretesa formulata dalla controparte. Chiese, in ogni caso, che fosse in subordine dichiarata tenuta l’impresa Sacomar S.p.a., in amministrazione straordinaria, cui erano stati appaltati i lavori di scavo nelle acque dello stagno.

Dedusse, infatti, che aveva demandato la realizzazione del canale di collegamento dello stagno con il mare aperto alla società So.co.mar spa, che i lavori erano stati ultimati il 9 febbraio 1988 e collaudati il 26 marzo 1990, e che pertanto la responsabilità fosse da ascriversi esclusivamente all’impresa appaltatrice anche alla luce delle clausole del contratto di appalto. E in ogni caso l’area marittima era stata data in concessione al consorzio.

Quest’ultimo costituitosi contestò le avverse domande ed eccepì il suo difetto di legittimazione passiva.

Il Tribunale di Oristano accolse la domanda attorea affermando la responsabilità ex art. 2051 del Consorzio e della Regione condannando entrambe al risarcimento del danno in favore degli eredi di P.A..

2. La Corte di appello di Cagliari con la sentenza n. 276 del 27 aprile 2015 ha confermato la decisione di primo grado.

In particolare, per quanto qui interessa, la C.A. ha osservato che: a) il termine lungo doveva essere computato a decorrere dalla data della pubblicazione e non da quella del deposito della minuta (attestazioni entrambe presenti in calce alla sentenza) poichè non vi erano elementi per escludere che l’attestazione del deposito della minuta si riferisse ad una minuta redatta a mano o priva di intestazione e poichè gli appellati non avevano richiesto un accertamento sulla completezza della sentenza al momento del deposito della minuta; b) l’appello incidentale tardivo della Regione, che contestava la propria legittimazione passiva, era ammissibile in quanto, in una situazione di accertata responsabilità solidale, l’appello principale veniva ad incidere sul complessivo assetto di interessi derivante dalla sentenza impugnata; c) la Regione, in quanto proprietaria dello stagno e perciò tenuta ad evitare situazioni di pericolo occulto, ed il Consorzio, in quanto concessionario con piena disponibilità delle acque ed obblighi di sorveglianza necessariamente estesi alla sicurezza, erano corresponsabili dell’accaduto; d) la responsabilità non era esclusa dal fatto che la Regione aveva appaltato i lavori di dragaggio e scavo a impresa che, secondo il capitolato, aveva l’obbligo della custodia e la responsabilità verso i terzi sino alla riconsegna ed al collaudo; l’incidente si era verificato dopo l’ultimazione dei lavori e la riconsegna dell’area alla Regione (dall’ultimazione dei lavori al collaudo è passato un anno e mezzo) e, quindi, al concessionario la cui concessione scadeva in epoca successiva; e) non esistevano segnali di pericolo come rilevato nelle immediatezze del fatto dai CC; f la condotta colposa della vittima era stata allegata solo in secondo grado; in ogni caso l’evento si era verificato solo per un non segnalato ed imprevedibile pericolo,.

3. Avverso tale pronunzia, il Consorzio Cooperative della Pesca di Marceddì propone ricorso per cassazione sulla base di 2 motivi, articolati in più censure.

3.1 Resiste con controricorso e ricorso incidentale la Regione Autonoma Sardegna. Resistono, a loro volta, T.M. ed i figli P.S., P.M., P.S., ed P.E. con controricorso e ricorso incidentale condizionato. Quest’ultimi depositano anche memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Ricorso Consorzio.

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “violazione dell’art. 12 preleggi in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, falsa applicazione di fonti secondarie”.

Lamenta che il giudice del merito sulla base dell’art. 7 della concessione ha ritenuto che ci fosse un vero e proprio obbligo di custodia da parte del Consorzio con conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c.. La corte d’appello avrebbe quindi errato nell’individuazione dei canoni di ermeneutica sull’interpretazione del provvedimento concessorio: essendo questo emanato sotto forma di decreto dell’Assessore della regione Sardegna, il criterio di interpretazione non può che rinvenirsi nell’art. 12 preleggi.

Il motivo è inammissibile.

A parte i profili di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6 perchè non è riportato l’atto di concessione, il motivo sarebbe ugualmente inammissibile perchè l’interpretazione di un atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., ovverosia di una realtà fenomenica e obiettiva, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione di quelle norme – in particolare, l’art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1363 e 1366 c.c. che, dettate per l’interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo peraltro conto della natura dei medesimi nonchè dell’esigenza della certezza dei rapporti e del buon andamento della pubblica amministrazione. In tale prospettiva, la parte che denunzi in Cassazione l’erronea interpretazione, in sede di merito, di un atto amministrativo, è tenuta, a pena di inammissibilità del ricorso, a indicare quali canoni o criteri ermeneutici siano stati violati; e, in mancanza, l’individuazione della volontà dell’ente pubblico è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì allorchè esse si rivelino insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (Cass. n. 7982/2013; Cass. n. 17367/2010).

Nel caso di specie non trattandosi di un atto regolamentare generale, ma di atto amministrativo di concessione doveva censurarsi attraverso la violazione dell’art. 1362 ss.

4.2. Con il secondo ed articolato motivo, denuncia la “violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2051 c.c.. Erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 circa un fatto controverso e decisivo in ordine alla mancata esplicitazioni delle ragioni per le quali l’obbligo di vigilanza avrebbe dovuto intendersi anche quale obbligo di apporre segnalazioni di pericolo”.

Sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato laddove ha attribuito la responsabilità del ricorrente ex art. 2051 c.c.: a) sulla base di un presunto obbligo di apporre cartelli di pericolo desunto da una clausola della concessione che prevedeva invece solo la vigilanza sulla pesca; b) non ha dato alcuna rilevanza alla condotta gravemente colposa della vittima; c) ha ritenuto che il ricorrente fosse rientrato nel possesso del bene per il sol fatto della ultimazione dei lavori effettuati dall’impresa, senza accertare elementi sulla ripresa della disponibilità.

Il motivo è inammissibile.

Occorre innanzitutto esaminare l’ultimo punto del motivo del ricorrente.

In tema di appalto di opere pubbliche, il verbale di ultimazione dei lavori e la consegna delle chiavi trasferiscono al committente sia il possesso dell’opera sia il conseguente onere di custodia, senza che sia anche necessario il collaudo (o il rilascio del relativo certificato), che costituisce l’atto formale indispensabile ai soli fini dell’accettazione dell’opera da parte della pubblica amministrazione. (Cass. 8874/2014). Pertanto, correttamente la Corte d’Appello ha fondato il suo convincimento sul fatto che i lavori sono stati ultimati il 9 febbraio 1988 e che il bene è stato riconsegnato in tale data con ripresa da parte del Consorzio delle attività previste. Quest’ultima circostanza, oggetto di un accertamento di merito, non censurabile in sede di legittimità, è stata logicamente desunta dal fatto che la concessione del Consorzio sussiste sin dal lontano 1975 senza soluzione di continuità, con conseguente irrilevanza della circostanza che tra la scadenza della concessione e il suo rinnovo ci sia stato un vuoto di pochi giorni.

Ora per quanto riguarda invece il primo punto del motivo ossia il presunto obbligo di apporre cartelli di pericolo desunto da una clausola della concessione che prevedeva invece solo la vigilanza sulla pesca si evidenzia quanto segue. Come è noto la concessione consiste nel conferimento di un diritto di gestione dell’opera o del servizio, che permette al concessionario di percepire i proventi dall’utente a titolo di controprestazione. Il diritto di gestione implica anche il trasferimento al concessionario delle responsabilità di gestione con conseguente assunzione dei rischi. In sostanza il concessionario si sostituisce alla P.A. nello svolgimento dell’attività diretta al soddisfacimento dell’interesse collettivo. La Commissione Europea (comunicazione interpretativa sulle concessioni in G.U.C.E. n. 121/5 dal 29 aprile 2005) ha chiarito che la responsabilità di gestione investe al tempo stesso gli aspetti tecnici, finanziari e gestionali dell’opera e che il concessionario assume non soltanto i rischi inerenti ad una qualsiasi attività di costruzione, ma dovrà altresì sopportare quelli connessi alla gestione e all’uso abituale dell’opera del servizio da parte del fruitore. Alla posizione della Commissione si è allineata anche la Corte di Giustizia la quale con la decisione 10 novembre 2011 in C – 348/2010 che ha precisato, nel caso delle concessioni, la responsabilità per danni legati a carenze di servizio.

Pertanto priva di vizi logico giuridici è la decisione del giudice del merito in relazione alla violazione dell’art. 2051 c.c. da parte del ricorrente nel non aver predisposto tutto quanto era in suo potere per la segnalazione di pericoli.

Per quanto riguarda poi la condotta colposa della vittima trattasi di un accertamento di fatto non censurato negli stretti limiti concessi dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. S.U. nn. 8053-8054/2014).

5. Ricorso incidentale Regione Autonoma Sardegna.

5.1. Occorre innanzitutto precisare che la Regione ha depositato un atto con intestazione “controricorso” ma che in realtà deve essere riqualificato, per il suo contenuto, quale ricorso incidentale.

Si evidenzia anche che la differente prospettazione proposta dalla Regione rende il ricorso autonomo e non semplicemente adesivo al ricorso principale del Consorzio. L’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, ove l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivanti dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, atteso che l’interesse ad impugnare sorge, anche nelle cause scindibili, dall’eventualità che l’accoglimento dell’impugnazione principale modifichi tale assetto giuridico (Cass. S.U. 24627/2007).

5.1. Con l’unico motivo di ricorso la Regione Autonoma Sardegna denuncia l’erroneità della sentenza laddove ha ritenuto del tutto ininfluente la circostanza che l’Amministrazione convenuta avesse affidato in appalto la realizzazione del canale de quo alla So.co.mar., la quale per contratto, era tenuta alla custodia dei cantieri sino alla riconsegna delle aree di lavoro, nonchè ad adottare tutte le cautele idonee ad evitare danni a cose ed a persone. Le citate previsioni contrattuali, secondo il giudice del merito, non possono che operare esclusivamente tra i contraenti essendo inidonee a spiegare effetti nella sfera di soggetti estranei all’appalto, permanendo, così, a carico dell’amministrazione il dovere di vigilanza. Sostiene la ricorrente che l’assunto è erroneo ponendosi in netto contrasto con quanto espressamente previsto dal contratto di appalto che non può avere, per quanto qui rileva, efficacia esclusivamente tra i due contraenti.

Il ricorso è inammissibile sia per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè non indica dove è depositato il contratto di Appalto, nè riporta il contenuto dello stesso, ma è anche inammissibile perchè la sentenza impugnata pone a fondamento della decisione l’avvenuta riconsegna ed il riacquisto della disponibilità di fatto e tale ratio decidendi non viene censurata.

6. Dall’inammissibilità del ricorso incidentale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato degli eredi P..

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile sia il ricorso principale che quello incidentale della Regione, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato degli eredi P.. Condanna i ricorrenti principali ed incidentali al pagamento in favore degli eredi P. controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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