Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25819 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2021, (ud. 06/07/2021, dep. 23/09/2021), n.25819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11933/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

N.G., rappresentato e difeso dall’avv. prof. Giuseppe

Tinelli e dall’avv. Giovanni Contestabile ed elettivamente

domiciliato presso lo studio del primo in Roma, via di Villa

Severini, n. 15.

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 262/27/13 della Commissione tributaria

regionale per la Puglia, depositata il 4/11/2013 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

6/7/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In seguito ad indagini finanziarie effettuate ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7, l’Agenzia delle entrate notificò a N.G., in data 14/3/2012, avviso di accertamento, emesso in seguito all’annullamento in autotutela di altro avviso, col quale determinò un maggior reddito, per l’anno di imposta 2007, a fronte di reddito da fabbricati dichiarato in misura inferiore, recuperando a tassazione gli importi delle movimentazioni bancarie rimaste prive di giustificazione.

Impugnato il predetto atto dal contribuente, la C.T.P. di Foggia accolse parzialmente il ricorso, con sentenza n. 15/02/2013 del 23/1/2013, riconoscendo come giustificati tre importi risultanti da versamenti del 25/10/2007, del 22/11/2007 (come ricavo da vendita di stabilimento balneare) e del 27/2/2007 (come fitto dell’attività) e rideterminando, in riduzione, il maggior reddito accertato. Impugnata detta sentenza dal contribuente con riguardo ai capi di soccombenza e dall’Ufficio, con ricorso incidentale, quanto agli importi riconosciuti come giustificati, la C.T.R., con sentenza n. 262/27/2013, depositata il 4/11/2013, rigettate alcune preliminari eccezioni sollevate dal contribuente, accolse, nel merito, l’appello principale e rigettò quello incidentale, riconoscendo giustificate tutte le operazioni contestate.

2. Contro la predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Il contribuente si è difeso con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. motivato esclusivamente con riguardo a tre versamenti, ritenuti effettuati dalla moglie, che, su autorizzazione del coniuge, aveva eseguito bonifici a favore della società da essa partecipata, senza dire alcunché in merito ad un ulteriore versamento dell’11/7/2007, oggetto anch’esso del ricorso incidentale, che il contribuente aveva giustificato riconducendolo alla restituzione, da parte di una ex dipendente, del maggior stipendio alla stessa erogato e non dovuto e del quale era stata contestata la prova offerta, costituita dalla autocertificazione da quest’ultima resa.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, art. 39, comma 1, lett. d), art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. accolto l’appello di parte, ritenendo giustificati tre versamenti di Euro 25 mila, Euro 15 mila ed Euro 12 mila, in quanto non operati dal contribuente ma dalla coniuge per il tramite del conto corrente dello stesso e poi riversati con bonifico in favore della società da questa partecipata, senza considerare che la contestazione riguardava non l’avvenuta effettuazione del bonifico, ma la legittima provenienza dalle disponibilità della coniuge della somma transitata nel conto corrente del contribuente, rispetto alla quale, a fronte della presunzione legale relativa sulle movimentazioni bancarie, prevista dalla legge in favore dell’Ufficio, lo stesso non aveva fornito alcuna prova contraria, il cui contenuto peraltro non avrebbe potuto essere a sua volta indiziario.

3. Col terzo motivo, si lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. ritenuto che gli otto assegni circolari di Euro 50 mila ciascuno erano giustificati dalla provenienza dal padre del contribuente, ancorché intestati a quest’ultimo, senza prendere alcuna posizione sulle contestazioni svolte (e non analizzate neanche dal giudice di merito) circa la non corrispondenza tra il numero impresso sugli assegni emessi il 25/10/2007 a richiesta del padre del contribuente e il numero di quelli emessi a favore dello stesso contribuente e non del padre dello stesso, risultanti dalla distinta del 25/10/2010.

4. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, art. 39, comma 1, lett. d), art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. rigettato l’appello incidentale, equivocando sul riparto dell’onere probatorio, quanto agli assegni di cui al precedente punto 3, in quanto la contestazione afferiva al fatto che il contribuente non avesse fornito alcuna dimostrazione attestante la legittima provenienza della provvista dal padre, così da assolvere all’onere della prova contraria, a fronte della presunzione legale in favore dell’Ufficio.

5. Col quinto motivo, si lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. rigettato l’appello incidentale senza motivare in ordine ai versamenti di Euro 30.000,00 del 22/11/2007, e di Euro 2.500,00 del 27/2/2007, che il contribuente aveva giustificato come provenienti dalla vendita del (OMISSIS) dello stabilimento balneare di sua proprietà alla società Hotel Mediterraneo G. s.a.s., producendo copia di un assegno bancario, distinta di versamento e contratto di vendita, benché la contestazione si riferisse al “versamento di contante o valori assimilati, compresi il versamento o consegna di contante”, e non al versamento di assegni bancari.

6. Il primo e il quinto motivo sono fondati.

Si osserva, in proposito, come, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940), in quanto, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

Ciò comporta che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente sia tenuto ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Orbene, come si legge nella sentenza impugnata, a fronte della presunzione legale relativa di maggior reddito, fondata sui plurimi versamenti operati sul proprio conto corrente bancario dal contribuente, esercente l’attività di stabilimento balneare, nella misura di Euro 58.665,00 (quanto al primo motivo), quest’ultimo aveva giustificato la somma di Euro 52.000, sostenendo che fosse “nella disponibilità finanziaria della moglie”, e l’ulteriore somma accreditata (ossia quella residua di Euro 6.665,00 dell’11/7/2007), affermando che trovasse titolo nella “restituzione di stipendi”, mentre, con riguardo al versamento di Euro 30.000,00 del 22/11/2007, rispetto al quale l’Agenzia aveva proposto ricorso incidentale, la controparte aveva affermato che tale somma derivasse dalla vendita, il (OMISSIS), dello stabilimento balneare alla società Hotel Mediterraneo G. s.a.s. e aveva prodotto, all’uopo, copia di un assegno bancario privo di data di emissione, la distinta di versamento e copia dell’atto di vendita, rispetto al quale l’Ufficio aveva obiettato che il codice indagine associato all’operazione si riferisse al versamento di contanti o valori assimilati e non di assegni bancari.

Di tali accreditamenti e delle rispettive giustificazioni, però, la C.T.R., pur rigettando l’appello incidentale dell’Ufficio e annullando l’avviso di accertamento, che pure li contemplava, non si è affatto occupata, essendosi limitata a prendere posizione sulle somme riconducibili alla coniuge del contribuente, senza affrontare in alcun modo il superamento della presunzione legale che investiva l’importo di Euro 6.665,00 del 11/7/2007 e quello di Euro 30.000,00 del 22/11/2007, ad opera delle giustificazioni offerte dal contribuente in relazione ad essi, di cui non vi è traccia nella parte motiva.

Ciò comporta la fondatezza dei due motivi.

7.1 Il secondo, il terzo e il quarto sono invece inammissibili.

Preliminarmente, con specifico riferimento al dedotto vizio di violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), appare utile ricordare (si veda da ultimo Cass. Sez. 5, 25/09/2019, n. 23851) che esso “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (e nei limiti in cui essa è consentita dalla “novellazione” del testo del medesimo art. 360 c.p.c., n. 5); “il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi” essendo, peraltro, “segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. 16/02/2017, n. 4125; Cass. 13/10/2017, n. 24155). Il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, inoltre, “comprende anche la falsa applicazione della norma, ossia il vizio di sussunzione del fatto”, il quale, oltre a consistere “nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, può pure sostanziarsi nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione”, ferma restando la necessità che si parta dalla ricostruzione della fattispecie concreta così come effettuata dai giudici di merito, poiché altrimenti si trasmoderebbe nella revisione dell’accertamento di fatto di competenza di detti giudici (cit. Cass. Sez. 5, 25/09/2019, n. 23851, che richiama Cass. n. 4125 del 2017).

7.2 Orbene, costituisce principio pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui, in tema di accertamento, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia solo dimostrando che ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine, sicché quando l’Amministrazione individua un contribuente quale autore di un versamento in contanti delle somme risultanti dal conto corrente e si avvalga perciò legittimamente della suddetta presunzione legale relativa (vedi sulla qualificazione Cass., Sez. 6 – 5, 27/02/2019, n. 5777), ritenendo lo stesso titolare del reddito corrispondente, spetta a quest’ultimo dimostrare di aver tenuto conto di tale importo nella propria dichiarazione dei redditi ovvero che si trattava di disponibilità reddituale esente da imposta (Cass., Sez. 5, 31/1/2017, n. 2432; Cass., Sez. 5, 9/8/2016, n. 16697), fornendo la prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., Sez. 5, 29/7/2016, n. 15857; Cass., Sez. 6-5, 30/3/2018, n. 7951), derivando dalla inidonea dimostrazione del titolo del versamento o dell’origine della provvista la presunzione di corrispondenza di ciascun prelievo o versamento ad un ricavo non contabilizzato (Cass., Sez. 5, 20/6/2014, n. 14045).

In merito al contenuto della prova contraria poi l’indirizzo maggioritario e più recente, cui si intende aderire, è quello secondo cui, a fronte della presunzione legale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, la prova contraria cui è chiamato il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può anche consistere in presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (vedi Cass., Sez. 30/11/2011, n. 25502; Sez. 6 – 5, 12/02/2015, n. 2781; Cass., Sez. 6 – 5, 05/05/2017, n. 11102. Contra Cass., Sez. 6 – 5, 24/07/2012, n. 13035, secondo cui, invece, alla presunzione relativa di legge va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, né è possibile ricorrere all’equità).

7.3 Nella specie, la C.T.R. ha fatto corretta applicazione di tali principi allorché, partendo dalla presunzione legale derivante dall’avvenuto accreditamento di somme di denaro sui conti bancari intestati al contribuente, ha ritenuto che fosse stata fornita la prova dell’origine della provvista afferente alle somme elencate nella terza e quarta censura, rispettivamente ricondotte alla coniuge e al padre del contribuente, senza che rilevi in alcun modo la provenienza della provvista del terzo che, direttamente o per il suo tramite, abbia provveduto al versamento sul conto del contribuente.

Può allora dirsi che le doglianze proposte si risolvano non già in una non corretta esegesi delle disposizioni ritenute violate, ma in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).

Ne consegue l’inammissibilità delle censure.

4. In conclusione, deve essere dichiarata la fondatezza del primo e del quinto motivo e l’inammissibilità delle restanti censure. La sentenza impugnata deve allora essere cassata per quanto di ragione, con rinvio alla C.T.R. per la Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità del secondo, terzo e quarto motivo e la fondatezza del primo e del quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. per la Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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