Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25818 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2021, (ud. 06/07/2021, dep. 23/09/2021), n.25818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreiana – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10949/2015 R.G. proposto da:

C.M., rappresentato e difeso, giusta mandato in calce al

ricorso, dall’Avv. Roberto Bottacchiari, elettivamente domiciliato

presso il suo studio, in Roma, Via Oslavia n. 28;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 2025/1/2014, depositata il 21 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 luglio 2021

dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello proposto da C.M. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pisa (n. 190/2/13), che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2007, ed originato dall’acquisizione di dati dalla c.d. “lista Falciani”, relativa ai contribuenti italiani detentori di disponibilità finanziarie presso la HSBC Private Bank di Ginevra (Svizzera). In particolare, con riferimento ai conti correnti Rosellina e Anthurium, il giudice di appello rilevava che i documenti potevano essere utilizzati, in quanto vi era stata una richiesta di accertamento presso l’amministrazione fiscale francese, attraverso i canali della collaborazione internazionale previsti dalla direttiva n. 77/799/CEE ed alla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia, stipulata il 5 ottobre 1989, ratificata in Italia con la L. 7 gennaio 1992, n. 20. Vi era stato, dunque, lo scambio di informazioni tra Stati, in aderenza a quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31-bis. Inoltre, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, in caso di omessa dichiarazione, l’Ufficio poteva determinare il reddito del contribuente in base ai dati ed alle notizie comunque raccolte, con facoltà anche di utilizzare presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza. Si trattava di documenti che comprovavano la costituzione di disponibilità all’estero con redditi sottratti in Italia del D.L. n. 78 del 2009, ex art. 12 e che si riferivano senza dubbio al contribuente in ragione dell’esatta identificazione dello stesso a mezzo di carta d’identità come intestatario del conto cifrato denominato Rosellina. La documentazione della lista Falciani, sequestrata dalle autorità francesi, è stata successivamente trasmessa ai Paesi interessati. Quanto alla doglianza relativa alla mancata allegazione al processo verbale di contestazione dei documenti non conosciuti della contribuente, in realtà si trattava di ulteriori atti, rispetto alla scheda cliente ed ai saldi mensili, non riguardanti la posizione del singolo, ma relativi allo scambio di informazioni con le autorità francesi che attenevano alla tutela della sicurezza, della difesa nazionale e delle relazioni internazionali. Non vi era alcun contrasto con la normativa di cui al D.L. 78 del 2009, art. 13 bis, “scudo fiscale “, in quanto preclusiva di un nuovo accertamento. Infatti, tale normativa non consente l’accertamento per le somme o altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio. Nel caso di specie, però, le attività di natura finanziaria “scudate” erano pari ad Euro 1.750.337,00, mentre le disponibilità patrimoniali risultanti al 31 dicembre 2006 erano pari ad Euro 2.169.005 86,30. Neppure fondata era la contestazione in ordine alla conversione da dollaro USA a Euro delle disponibilità finanziarie risultanti dalla scheda. Infondata era anche la doglianza in ordine all’utilizzo da parte dell’Ufficio di presunzioni prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza. In realtà, l’avviso di accertamento era basato su un processo verbale di contestazione della Guardia di Finanza, emesso all’esito di una verifica originata all”interno dell’attività di contrasto all’evasione internazionale da parte dei contribuenti italiani.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la “violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 2, art. 10, comma 1, e art. 12, comma 2, primo inciso, nonché violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31-bis e dello stesso D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, nonché violazione o falsa applicazione della direttiva n. 77/799/CE e della Convenzione tra Italia e Francia ratificata con L. n. 20 del 1992; violazione e falsa applicazione di art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. L’Agenzia delle entrate ha sempre sostenuto che la scheda esibita il 15 febbraio 2011 al contribuente sarebbe stata acquisita presso l’Amministrazione fiscale francese, attraverso i canali della cooperazione internazionale prevista dalla Direttiva n. 77/799/CEE del consiglio del 19 dicembre 1977 e dalla Convenzione contro la doppia imposizione stipulata il 5 ottobre 1989 tra Italia e Francia, ratificata con L. 7 gennaio 1992, n. 20. In realtà, però, tale esibizione non ha mai avuto luogo, neppure in sede contenziosa, sicché tale acquisizione resta una mera affermazione dell’Ufficio, priva di qualsiasi evidenza probatoria, smentita dalla mancanza delle prescritte attestazioni nella copia autentica che l’Amministrazione fiscale francese avrebbe dovuto apporre sulla scheda esibita la contribuente. Il giudice d’appello ha recepito acriticamente la mera affermazione dell’Ufficio. Si esclude, dunque, che la scheda esibita al contribuente sia stata acquisita con le modalità genericamente indicate dall’Ufficio. Inoltre, sarebbe errata anche l’affermazione per cui, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, in caso di omessa dichiarazione, l’Ufficio potrebbe determinare il reddito in base ai dati ed alle notizie comunque raccolte, posto che tale norma presuppone il legittimo accertamento di un maggior reddito rispetto al dichiarato.

1.1. Tale motivo è infondato.

1.2. Invero, deve evidenziarsi che il diritto interno, sia in materia di imposte dirette (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 e art. 41, comma 2), sia in tema di imposta sul valore aggiunto (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, comma) consente che gli accertamenti fiscali si svolgano con l’utilizzo di elementi comunque acquisiti, e quindi con “prove atipiche” o con dati acquisiti con forme diverse da quelle regolamentate (D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 22; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51). Peraltro, non è necessario che gli indizi siano plurimi, in quanto anche un unico indizio, se dotato dei requisiti della gravità e della precisione, può fondare una legittima ripresa a tassazione (Cass., sez. 5, 5 dicembre 2019, n. 31779, proprio con riferimento alle uniche risultanze rappresentante dalla lista Falciani; Cass., sez. 5, 12 febbraio 2018, n. 3276).

1.3. Va, poi, confermato l’indirizzo giurisprudenziale consolidato per cui, in materia tributaria, gli elementi raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale sono inutilizzabili in tale sede ai sensi dell’art. 191 c.p.p., ma sono pienamente utilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, stante l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello di accertamento tributario, secondo un principio, oltre che sancito dalle norme sui reati tributari (D.L. n. 429 del 1982, art. 12, successivamente confermato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20), desumibile anche dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p. ed espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale quando, nel corso di attività ispettive, emergano indizi di reato ma soltanto ai fini dell’applicazione della legge penale (Cass., sez. 6, 28 maggio 2018, n. 13353; Cass., sez. 5, 24 novembre 2017, n. 28060); non devono essere violate, però, le disposizioni del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 52 e 63 (Cass., sez. 5, 17 gennaio 2018, n. 959).

1.4. Infatti, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio (Cass., sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27149).

1.5. Peraltro, tale orientamento è stato seguito anche dalla giurisprudenza francese e segnatamente dalla Chambre criminelle, 27 novembre 2013, 1385.042, ove al paragrafo 3 si legge che “3) alors que si les preuves illicitement recueillies par des personnes prive’es sont recevables à la procedure, c’est à la condition que les autorite’s publiques ne soient pas intervenues, directement ou indirectement, dans leur obtention ou leur confection”, ossia “3) mentre se nel procedimento sono ammissibili prove raccolte illegalmente da privati, è a condizione che le autorità pubbliche non siano intervenute, direttamente o indirettamente, per l’ottenimento o la preparazione”; con la conseguenza che “infatti, da un lato, gli archivi informatici contestati non costituiscono, ai sensi dell’art. 170 c.p.p., atti o documenti informativi suscettibili di essere annullati (“Qùen effet, d’une part, les fichiers informatiques contestes ne constituent pas, au sens de l’article 170 du code de procedure penale, des actes ou pieces de l’information susceptibles d’etre annules”). In modo analogo si è pronunciata anche la giurisprudenza tedesca (Bundesverfassungsgericht -9 novembre 2010 – aBvR210/109).

1.6. Peraltro, questa Corte con le ordinanze gemelle nn. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015 ha precisato che “… L’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista-questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia (vedi art. 7 c.p. rispetto alle ipotesi delittuose per le quali è astrattamente profilabile una competenza del giudice italiano in relazione a condotte commesse all’estero)-e comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico dei contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi”. Si è infatti espressamente riconosciuta l’utilizzazione – persino in ambito penale-della lista Falciani sul presupposto che al confezionamento eventualmente illecito delle prove non aveva cooperato l’autorità pubbliche.

1.7. L’Amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico, con esclusione soltanto di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di “diritti fondamentali” di rango costituzionale. Pertanto sono utilizzabili nell’accertamento e nel contenzioso con il contribuente i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all’estero e ottenuti dal Fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, senza che assuma rilievo l’eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso l’istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimo. Spetta al giudice di merito, in caso di rilievi avanzati dall’Amministrazione, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro delle contestazioni mosse dal contribuente (Cass., n. 16951/2015; Cass., n. 32597/2019).

1.8. Tra l’altro, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 70 prevede che “per quanto non è diversamente disposto dal presente decreto si applicano, in materia di accertamento delle violazioni e di sanzioni, le norme del codice penale e del codice di procedura penale”.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31-bis dispone, poi, che “l’amministrazione finanziaria provvede allo scambio, con le altre autorità competenti degli Stati membri dell’Unione Europea, delle informazioni necessarie per assicurare il corretto accertamento delle imposte di qualsiasi tipo riscosse da o per conto dell’Amministrazione finanziaria e delle ripartizioni territoriali”, con l’aggiunta al comma 5 che “non è considerata violazione del segreto d’ufficio la comunicazione da parte dell’Amministrazione finanziaria alle autorità competenti degli altri stati membri delle informazioni atte a permettere il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio”.

Pertanto, il principio di generale inutilizzabilità degli elementi di prova irritualmente acquisiti, sancito dall’art. 191 c.p.p., costituisce regola propria del procedimento penale e non è immediatamente trasferibile in ambito tributario, neppure utilizzando il richiamo contenuto nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 70, stante la natura sussidiaria e residuale di tale disposizione, che legittima il ricorso alle norme del codice penale di rito nel solo caso in cui l’accertamento della violazione tributaria non trovi una specifica disciplina delle disposizioni del Tuir (Cass., sez. 5, 14 novembre 2019, n. 29632; Cass., sez. 5, 17 gennaio 2018, n. 959); tale ipotesi però deve essere esclusa nella fattispecie in esame in cui l’esercizio dei poteri istruttori ai fini fiscali è compiutamente disciplinato del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e s.s. e art. 31-bis, con riferimento agli scambi di informazioni tra l’amministrazione finanziaria italiana e le autorità competenti degli altri paesi dell’Unione Europea, senza possibilità di ravvisare spazi residuali di ricorso alle norme del procedimento penale.

1.9. In relazione alla lista Falciani si è affermato che, è legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. Ne consegue che sono utilizzabili ai fini della pretesa fiscale, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari trasmessi dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della Direttiva 77/799/CEE del 19 dicembre 1977, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33893; Cass., sez. 6-5, 28 aprile 2015, n. 8605; Cass., sez. 6-5, 8606/2015; Cass., 6-5-, 17183/2015; Cass. 6-5, 16950/2015; per la lista Vaduz cfr. Cass., sez. 5, 19 agosto 2015, n. 16950; per la lista Pessina vedi Cass., sez. 5, 26 agosto 2015, n. 17183); peraltro, il giudice può fondare il proprio convincimento anche su una sola presunzione semplice purché grave e precisa (per la lista Falciani cfr. Cass., sez. 5, 12 febbraio 2018, n. 3276; recentemente anche Cass., sez. 6-5, 18 settembre 2020, n. 19446).

1.10. Peraltro, la Direttiva del Consiglio 77/799/CEE prevede al sesto considerando che “gli Stati membri devono scambiarsi reciprocamente, su richiesta, informazioni per quanto riguarda un caso preciso e che lo Stato cui viene rivolta la richiesta deve provvedere a effettuare le ricerche necessarie per ottenere tali informazioni”.

L’art. 1 della Direttiva poi dispone che “le competenti autorità degli Stati membri scambiano, conformemente alla presente direttiva, ogni informazione atta a permettere loro una corretta determinazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio”.

L’art. 4 della Direttiva precisa (scambio spontaneo) che “Le autorità competenti di ogni Stato membro comunicano, senza che ne sia fatta preventiva richiesta, le informazioni di cui all’art. 1, paragrafo 1, in loro possesso, all’autorità competente di ogni altro Stato membro interessato, quando: a) l’autorità competente di uno Stato membro ha fondati motivi di presumere che esista una riduzione od un esonero di imposta anormali nell’altro Stato membro”.

Nella specie, non può ritenersi illegittima l’attività posta in essere dall’Amministrazione fiscale interna su impulso di quella francese in forza della direttiva 77/799, tenuto conto che alla base della riservatezza dei rapporti tra banche e clienti non ci sono valori della persona umana da tutelare, ma ci sono solo interessi patrimoniali ed istituzioni economiche (Cass., sez. 6-5, 18 settembre 2020, n. 19446).

1.11. Peraltro, la Convezione Italia Svizzera in materia di assistenza giudiziaria in sede penale del 20-4-1959 prevedeva all’art. 1 che “le parti contraenti si obbligano ad accordarsi reciprocamente, secondo le disposizioni della presente convenzione, l’assistenza giudiziaria più ampia possibile in qualsiasi procedura concernente reati….”. All’art. 2 si disponeva che “l’assistenza giudiziaria potrà essere rifiutata:a) se la domanda si riferisce a reati considerati dalla parte richiesta come reati politici o come reati connessi con reati politici o con reati fiscali”.

Tuttavia, nel protocollo addizionale del 10-9-1998, entrato in vigore il 1-6-2003, l’art. 1 della predetta Convenzione risulta così modificato, al comma 3 “l’assistenza giudiziaria è concessa anche qualora il procedimento riguardi fatti che costituiscono truffa in materia fiscale così come definita dal diritto dello Stato richiesto”.

1.12. Non rientra, comunque, quale limite alla cooperazione informativa il segreto bancario, come chiarisce la direttiva 2011/16/UE, all’art. 18 (“…non può in nessun caso essere interpretato nel senso di autorizzare l’autorità interpellata di uno Stato membro a rifiutare di fornire informazioni solamente perché tali informazioni sono detenute da una banca, da un altro istituto finanziario, da una persona designata o che agisce in qualità di agente o fiduciario o perché si riferiscono agli interessi proprietari di una persona”).

Ciò è del resto coerente con il diritto interno, stante la disciplina in materia di accesso ai dati bancari introdotta dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 18, non costituendo il segreto bancario, anche nel regime anteriore, un principio inderogabile (Cass., 16950/2015, cit.). Si è anzi precisato che, al dovere del segreto bancario, cui sono tradizionalmente tenuti gli istituti di credito, non corrisponde per i singoli clienti delle banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né un diritto della personalità, poiché la sfera di riservatezza con la quale vengono tradizionalmente circondati i conti e le operazioni degli utenti dei servizi bancari è direttamente strumentale all’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali, che non può spingersi fino al punto di farne un ostacolo all’adempimento dei doveri inderogabili di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, ai sensi dell’art. 53 Cost. (Corte Cost. n. 51 del 1992).

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la ” nullità della sentenza o del procedimento, per violazione degli artt. 112,115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. (resi applicabili del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 61) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4″. Invero, la sentenza d’appello avrebbe omesso l’esame e la decisione su un motivo specifico di censura della sentenza di primo grado, costituito dalla asserita insussistenza di riscontri di attendibilità della scheda, la quale, poiché di origine illecita, se ritenuta utilizzabile, avrebbe valore meramente indiziario e, dunque, necessiterebbe di tali riscontri. La scheda può avere valore di semplice indizio, che il giudice tributario deve valutare nell’ambito del più ampio quadro che emerge dall’istruttoria. La Commissione regionale non ha, dunque, attinto a riscontri che, per essere tali, devono essere esterni alla scheda, i cui contenuti devono essere assoggettati a verifica. Inoltre, gli estremi di una carta identità, non solo dovrebbero essere anch’essi oggetto di riscontro, ma sarebbero sostanzialmente di pubblico dominio e comunque di agevole acquisizione, sicché la loro indicazione nella scheda non consente certamente di attribuire affidabilità agli altri dati, inerenti alla pretesa costituzione di un conto bancario e alle relative movimentazioni. Vi sarebbe, dunque, violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla contestazione della mancanza di verifiche di attendibilità dell’unico indizio in atti, costituito dalla scheda Falciani, oltre alla violazione del principio dispositivo ex art. 115 c.p.c. e di prudente apprezzamento delle prove ex art. 116 c.p.c., in relazione a quanto indicato nella sentenza circa il preteso fatto che “si tratta di documenti che comprovano”. Vi sarebbe anche violazione delle norme in tema di motivazione della sentenza.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Invero, il D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 12 (contrasto ai paradisi fiscali), convertito in L. 3 agosto 2009, n. 102, prevede al comma 1 che “le norme del presente articolo danno attuazione alle intese raggiunte tra gli Stati aderenti alla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in materia di emersione di attività economiche e finanziarie detenute in Paesi aventi regimi fiscali privilegiati, allo scopo di migliorare l’attuale insoddisfacente livello di trasparenza fiscale e di scambio di informazioni, nonché di incrementare la cooperazione amministrativa tra Stati”.

Al comma 2, si dispone che “in deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato…, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 4, commi 1, 2 e 3, convertito dalla L. 4 agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. In tale caso, le sanzioni previste dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, sono raddoppiate”.

2.3.Per questa Corte il D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, ha carattere sostanziale, sicché non può trovare applicazione a fattispecie, come quella in oggetto, verificatesi prima del 1 luglio 2009, non avendo efficacia retroattiva (Cass., sez. 6-5, 18 settembre 2020, n. 19446; Cass., sez. 5, 25 febbraio 2020, n. 4984; Cass., sez. 6-5, 28 febbraio 2019, n. 5885; Cass., sez. 5, 30 gennaio 2019, n. 2562; Cass., sez. 5, 21 dicembre 2018, n. 33233; Cass., sez. 6-5, 2 febbraio 2018, n. 2662; Cass., sez. 5, 14 novembre 2019, nn. 29632 e 29633; Cass., sez.5, 28 novembre 2019, n. 31085).

Pertanto, tale disposizione non può trovare applicazione con riferimento all’atto impugnato che si riferisce all’anno 2007.

2.4. Si è tuttavia ribadito, segnatamente nelle ultime pronunce sopra richiamate, quanto già specificamente affermato in tema di lista Falciani dalle citate ordinanze gemelle nn. 8605 e 8606 del 2015, che l’Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, se grave preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica.

Pertanto, premesso che, come già chiarito in precedenza (Cass., sez. 6-5, ord. 13 maggio 2015, n. 9760), la c.d. scheda clienti non può essere valutata alla stregua di foglio anonimo, l’onere di giustificare l’incoerenza tra l’ammontare delle disponibilità in paese estero a fiscalità privilegiata secondo il Fisco facenti capo al contribuente sulla base delle risultanze della lista Falciani, incombe al contribuente, stante la valenza presuntiva degli elementi desumibili dalla lista Falciani (Cass., sez. 5, n. 4984/2020 cit.).

2.5. Il giudice d’appello ha pronunciato espressamente sulla questione relativa alla valenza probatoria della lista Falciani, ritenendo che la stessa, anche da sola, potesse dimostrare la detenzione all’estero di somme non dichiarate in Italia, anche in considerazione dell’allegazione della carta d’identità del contribuente. In particolare, la Commissione regionale ha affermato che “si tratta di documenti che comprovano la costituzione di disponibilità all’estero con redditi sottratti in Italia D.L. 78 del 2009, ex art. 12 e che si riferiscono senza dubbio al contribuente attesa la esatta identificazione dello stesso a mezzo carta di identità come intestatario del conto cifrato denominato Rosellina”.

Non è riscontrabile, dunque, il vizio di omessa pronuncia o di violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

Quanto, invece, alle deduzioni relative alla motivazione della sentenza, si evidenzia che le stesse sono inammissibili in presenza di una doppia decisione conforme nel merito, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., applicabile agli atti di appello depositati o notificati a decorrere dall’11 settembre 2012. Nella specie, la sentenza è stata depositata il 21 ottobre 2014, mentre l’appello è stato depositato il 30 dicembre 2013, con applicazione conseguente del divieto di articolare censure sulla motivazione della sentenza di appello, in presenza di una doppia decisione “conforme” nel merito. Infatti, la Commissione provinciale di Pisa aveva rigettato il ricorso ritenendo l’utilizzabilità delle prove acquisite legittimamente presso l’amministrazione fiscale francese, secondo le procedure di collaborazione internazionale di cui all’art. 2 della Direttiva 77/799/CE e 27 della Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Francia, reputando la sicura riferibilità al contribuente del documento “peraltro avvalorata dalle dichiarazioni dello stesso rilasciate alla Guardia di Finanza in sede di verifica”.

Pur facendo riferimento alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in realtà il ricorrente chiede una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto, già congruamente effettuata dal giudice di merito, non consentita in questa sede, soprattutto in presenza di una doppia decisione conforme di merito.

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Per il ricorrente l’avviso di accertamento è motivato per relationem facendo riferimento ad informazioni riguardanti il contribuente acquisite presso l’Amministrazione fiscale francese attraverso i canali della collaborazione informativa internazionale. Trattasi di documentazione ulteriore rispetto alla scheda Falciani, allegata al processo verbale di constatazione, che però non è stata resa nota, né tantomeno notificata al contribuente, con conseguente nullità del provvedimento tributario. Vi sarebbe, dunque, difetto di motivazione dell’avviso di accertamento. Ne’ può essere condivisa la motivazione del giudice d’appello che ha ritenuto giustificata la mancata produzione di tale documentazione, per la tutela della sicurezza, della difesa nazionale e delle relazioni internazionali.

3.1. Tale motivo è inammissibile.

3.2. Invero, il ricorrente avrebbe dovuto riportare, almeno per stralcio, i passaggi fondamentali della motivazione dell’avviso di accertamento, in modo da consentire a questa Corte di comprendere se vi sia stata o meno lesione del diritto del contribuente di conoscere le ragioni della ripresa fiscale da parte dell’Agenzia delle entrate.

Inoltre, l’avviso di accertamento si è fondato essenzialmente sulla esistenza del documento che ricomprendeva il nominativo del contribuente nella lista Falciani, oltre che sulla carta identità dello stesso, che ne confermava l’identificazione, con l’indicazione dell’importo detenuto all’estero e non dichiarato in Italia. Tali elementi consentivano al contribuente di prospettare in modo analitico le proprie difese, come peraltro è avvenuto attraverso la proposizione di un ricorso completo e dettagliato, che dimostra l’assoluta comprensione delle ragioni sottese all’avviso di accertamento.

Le procedure utilizzate per l’acquisizione di documenti da parte dell’amministrazione fiscale francese sono si sono conformate sia alla Direttiva dell’Unione Europea sia alla Convenzione contro la doppia imposizione Italia-Francia, sicché nessun pregiudizio può aver subito il contribuente, dalla mancata indicazione particolareggiata della procedura in concreto applicata per l’acquisizione di tali documenti dalla Francia.

Va anche precisato che l’onere di allegazione dell’avviso di accertamento dei documenti su cui questo si fonda, non è necessario nel caso in cui tali documenti siano nella piena conoscenza del contribuente, come accaduto nel caso di specie, con riferimento alla scheda Falciani ed alla carta identità del ricorrente.

4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, comma 4 (modificato e convertito con L. 3 agosto 2009, n. 102) e del D.L. n. 353 del 2001, art. 14, comma 1 (convertito con modificazioni dalla L. 23 novembre 2001, n. 409), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 “. Invero, il contribuente si è avvalso dello “scudo fiscale” sicché era preclusa all’Amministrazione qualsiasi attività di accertamento proprio dagli effetti dell’emersione. Al contrario, per il ricorrente, la ricerca di eventuali imponibili in eccedenza, rispetto a quelli “scudati” avrebbe integrato una vera e propria attività di accertamento, in netto contrasto con il principio per cui la preclusione opera automaticamente, senza necessità di prova specifica da parte del contribuente, in tutti i casi in cui sia possibile ricondurre gli imponibili accertati alle somme o alle attività costituite all’estero oggetto di rimpatrio. Nella scheda Falciani sono espressamente indicati come “saldi mensili” gli importi ivi riportati, per confrontare la loro somma con l’importo “scudato”, in tal modo procedendosi ad un’attività di diversa qualificazione delle risultanze documentali e, dunque, ad un vero e accertamento. Vi sarebbe stata, allora, un accertamento in aperto contrasto con l’effetto preclusivo di quel D.L. n. 350 del 2001, art. 14, comma 1, richiamato dal D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, comma 4.

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. Invero, il giudice d’appello ha correttamente ritenuto che l’importo “scudato” concerneva la somma di Euro 1.750.397,00, mentre disponibilità patrimoniale risultanti al 31 dicembre 2006 erano pari a 2.169.586,30, sicché era evidente che si trattava di somme diverse e di maggiore importo rispetto a quelle “scudate”.

La preclusione per nuovi accertamenti opera limitatamente alle disponibilità detenute all’estero palesate al fisco ed oggetto di rimpatrio, ma non preclude di certo l’accertamento di ulteriori disponibilità che il contribuente ha tenuto nascoste. La preclusione alle ulteriori attività di accertamento e’, quindi, limitata dal legislatore in base ad un parametro oggettivo, che riguarda la somma “scudata”, ma non sotto il profilo soggettivo, che concerne il contribuente che ha palesato l’esistenza di somme all’estero, non dichiarate in Italia. L’immunità fiscale è riconosciuta esclusivamente per quelle somme, detenuti all’estero e non indicate nella radicazione dei redditi, che sono state dichiarate al Fisco successivamente per beneficiare dello scudo fiscale. E’ ovvio, però, che se l’Amministrazione finanziaria viene a conoscenza dell’esistenza all’estero di ulteriori somme, diverse da quelle scudate, sulla base di ulteriori e diversi elementi, fondati nella specie sulla lista Falciani, non può essere opposta in alcun modo la preclusione di verifica fiscale, che concerne esclusivamente le somme oggetto di scudo fiscale.

5. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la “nullità della sentenza o del procedimento, per violazione degli artt. 112,115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp.att. cp.c. (rese applicabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 61) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. La sentenza del giudice d’appello avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sulla reiterata contestazione mossa dal contribuente con riferimento all’attività di accertamento che in concreto ha avuto luogo per pervenire alla contestazione dell’importo di Euro 2.169.536,30, che è stata poi posta a confronto con l’importo scudato per Euro 1.750.337,00.

5.1. Il motivo è infondato.

5.2. Invero, il giudice d’appello ha espressamente pronunciato sulla questione dedotta dal contribuente, evidenziando, da un lato, che il procedimento per l’acquisizione della documentazione si è svolto in conformità alla Direttiva 77/799/CEE ed alla Convenzione Italia-Francia di cui alla L. n. 20 del 7 gennaio 1992, e dall’altro, ha evidenziato la diversa entità delle somme accertate in base alla scheda Falciani, pari ad Euro 2.169.586,30, rispetto alle attività finanziarie scudate pari ad Euro 1.750.337,00.

6. Con il sesto motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “nullità della sentenza o del procedimento, per violazione degli artt. 112,115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. (Rese applicabili del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 61) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Invero, al fine di accertare l’esistenza di importi detenuti all’estero in eccedenza rispetto all’importo scudato, gli agenti accertatori hanno convertito i saldi mensili contenuti nella scheda Falciani da dollaro USA ad Euro, sul presupposto che tali attività finanziarie fossero tenute in moneta statunitense e non in quella Europea. Tale presupposto sarebbe privo di qualsiasi riscontro e non corretto, mentre la formazione delle schede Falciani in valuta statunitense potrebbe giustificarsi con ragioni pratiche, con conseguente effetto distorsivo delle quantificazioni economiche.

6.1. Il motivo è inammissibile.

6.2. Invero, la sentenza della Commissione tributaria regionale è stata depositata il 21 ottobre 2014, mentre l’appello è stato depositato il 30 dicembre 2013, quindi dopo l’11 settembre 2012, sicché trova applicazione, come detto, il disposto dell’art. 348-ter c.p.c., introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, in presenza di una doppia decisione conforme di merito, che non consente l’articolazione del motivo di ricorso per cassazione per vizio della motivazione. In realtà, il ricorrente, pur facendo riferimento ad una violazione di legge compiuta dal giudice di merito, tra l’altro dedotta con la confusa citazione di numerose e diversificate norme del codice di rito, chiede, nella sostanza, una rivalutazione dei fatti da parte di questa corte, non consentita in sede di legittimità.

7. Con il settimo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la “nullità della sentenza o del procedimento, per violazione degli artt. 112,115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp.att. c.p.c. (rese applicabili del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 61) e del D.Lgs. n. 546 del 1982, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Invero, i saldi mensili riportati sulla scheda non rappresenterebbero elementi e circostanze di fatto certi per poter ritenere che essi implichino versamenti su conto bancario. I saldi rilevabili da tale scheda, se anche fossero stati riconosciuti o fossero state diversamente verificati, non sarebbero idonei a far ritenere che vi siano stati versamenti su conto bancario o altri accrescimenti patrimoniali. Tali versamenti non sarebbero stati oggetto di specifica accertamento.

7.1. Tale motivo è inammissibile.

7.2. Anche in questo caso si chiede una nuova valutazione degli elementi di fatto, già congruamente compiuta dal giudice di merito, in presenza, per di più, di una doppia decisione conforme di merito, che vieta la deduzione del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c..

Tra l’altro, costituisce ormai orientamento pacifico di questa Corte quello per cui la scheda relativa alla lista Falciani, costituisce, anche da sola, elemento presuntivo grave e preciso della sussistenza all’estero di somme non dichiarate

al Fisco italiano.

8.Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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